Quando, qualche giorno fa, la redazione di Bl Magazine chiesto di scrivere un “editoriale” nella rubrica Desdemona non sono rimasta entusiasta, di più.
Non era tanto per la fiducia che è stata riposta nei miei confronti, che fa sempre immenso piacere e che spero davvero di non deludere, ma per il percorso di liberAzione che sono riusciti a crearmi con questa loro meravigliosa proposta.
Quando mi è stato chiesto di parlare di femminismo intersezionale (ci arriveremo!), di quello che penso io, Benedetta La Penna, ho sentito la necessità di accettare immediatamente, ma non perchè penso di esserne all’altezza (lo spero davvero) ma per tanto altro.
Le motivazioni sono molteplici ma è importante, anche per iniziare a conoscersi, esporvi qui le più importanti.
Ho un programma radiofonico che parla di attualità e lì raramente si riesce ad esprimere così apertamente la propria opinione . La linea editoriale è giornalistica e quindi “neutrale”. Scrivo anche per una testata online e ,ovviamente, bisogna riportare i fatti come sono e di solito se ci metti del “tuo” l’editore ti manda una mail killer e ti elimina il pezzo più “personale” (come è giusto che sia).
E perchè non il social network?
Beh, il social, anche se lo utilizzo moltissimo, per come la vedo io, è diventata una piazza confusionaria. Molto spesso i contenuti vengono surclassati dalla necessità di prendere like e si tenta sempre di scrivere un post che abbia come obiettivo quello di prendere un maggior numero di reazioni e non di far riflettere.
Senza contare poi la crescita esponenziale di haters che invadono le bacheche di chiunque abbia voglia di esprimere un concetto che non sia “Dio, Patria e Famiglia”.
Anzi, se fai un post sulle donne e sulla parità, puoi stare cert* che verrai innondat* da molte più critiche e insulti del solito. E se il post raggiunge una certa visibilità, forse ci fanno anche un articolo su di te (true story!), su qualche sito di “padri separati” (ebbene si, ne esistono moltissimi…), frustrati da quelle brutte e cattive femministe che non solo pretendono gli alimenti dal marito, ma vogliono pure gli stessi diritti dell’uomo (ma come osano queste qui, mah)!
Ovviamente non smetterò di usufruire del social, anzi, più vedo che c’è un riscontro positivo o negativo che sia, e più sarò presente su queste piattaforme con le mie idee.
Ma, insomma, una boccata di ossigeno non fa mai male. Allargare le mie parole ad una piattaforma che seppur più vasta è meno confusionaria, mi permetterà di fare costantemente il punto della situazione sulle tematiche che mi stanno più a cuore.
Altro motivo fondamentale che mi ha spinta ad accettare con immenso piacere senza esitazioni è che guardandomi intorno mi sono resa conto che non si parla mai abbastanza di femminismo. Il fatto che venga confuso con tanto altro (superiorità della donna, violenza sugli uomini ecc) è il sintomo di un problema molto più ampio e complesso. E qual è il modo più bello, se non sviscerandolo in un blog? Ho tantissime tematiche di cui vorrei scrivervi, piano piano sono certa che riusciremo a toccarle tutte.
Ma… dove iniziare?
Avrei potuto iniziare con uno scontato “Femminismo VS Maschilismo” (scontato, ma non banale, purtroppo!) Ma mi sento in dovere di iniziare a parlare invece di un fatto di cronaca. Che è anche un altro motivo che mi ha spinta ad iniziare qui, oggi. Voglio trattare, seppur brevemente, dell’ennesimo episodio di violenza di genere, conseguenza di una società patriarcale che purtroppo non tutti riescono a percepire come tale.
Il 29 Novembre nella mia regione, Abruzzo, praticamente a pochissimi chilometri dal mio paese natale, un uomo ha ucciso la moglie a sassate in seguito ad una lite.
https://www.today.it/citta/uccide-moglie-pietra-torino-di-sangro-chieti.html
Nanni Moretti diceva: le parole sono importanti. Incominciamo a dare il giusto spazio al linguaggio, che è la forma più diffusa di violenza, se usata scorrettamente.
Iniziamo quindi con la parola giusta: è stato un caso di FEMMINICIDIO.
Ed è il terzo episodio nel giro di pochissimi mesi, nella mia zona.
Diciamola questa parola e ad alta voce. Perché questa donna non è stata uccisa da un uomo a seguito di una rapina, ne in un incidente stradale. E’ stata uccisa perchè Luisa, la vittima, si è permessa di dire al marito che non doveva prendere la macchina poiché non era nelle condizioni psichiche per farlo. Così l’ha percossa (forse non si doveva permettere di dirglielo…?) anche con delle pietre, fino a farla morire, lasciando il corpo in un dirupo.
E qui la violenza continua, anche se la donna è già deceduta. E come?
La violenza continua tutte quelle volte che una donna dice, di fronte a questa tragedia “poteva starsi zitta!”, quando invece dovrebbe essere il marito che non doveva uccidere la moglie solo perchè si è “azzardata” a dirgli che non doveva guidare (e scusate l’inciso lapalissiano!)
Continua quando sminuiscono il gesto dell’assassinio dicendo che il colpevole è stato in preda ad un raptus, quando il raptus clinicamente non esiste, quindi poverino, non è stata COMPLETAMENTE colpa sua, perchè in quel momento non era capace di intendere e di volere.
(Messaggero Abruzzo)
Continua anche quando in alcune testate giornalistiche, narrano la tristezza e la penitenza del marito-femminicida:
(qui addirittura è l’avvocato che cerca di impietosire l’opinione pubblica, dichiarando che il suo cliente è “Confuso, molto provato, parla della moglie in terza persona come se fosse ancora viva.”)
Quando un giornalista racconta , anzi, ipotizza come sono andate le cose, entrando nella testa dell’assassino, facendoci mettere nei suoi panni, compatendolo:
Perchè nessuno mette attenzione a quello che invece poteva pensare la vittima?
Luisa, quando è stata uccisa a sassate (o a bastonate, ma poco importa a questo punto) cosa stava pensando? Prima di tutto, non è tanto quello che pensava di per se, ma il porre attenzione ad un punto di vista invece che ad un altro. Perchè ai mass media interessano più cosa pensa l’uomo, carnefice, cercando anche una flebile giustificazione del suo gesto con atti di follia, invece che pensare all’orrore che ha provato in quel momento la donna, vittima?
Allora per Par Condicio, cerchiamo noi di capire cosa stava pensando Luisa, visto che la maggior parte dei giornali non lo fa, non gli interessa.
Eh ho paura che Luisa pensava a quello che molte donne sono indotte a pensare di fronte alla violenza:
“E’ stata colpa mia, non dovevo dirgli di non prendere la macchina.”
“E’ colpa mia, dovevo scaldare di più la zuppa.”
“E’ colpa mia, non dovevo uscire con le amiche.”
“E’ colpa mia, non dovevo lasciarlo, anche se non lo amo più.”
Perchè bisogna parlare di femminismo, quindi? Perchè forse se ne parliamo di più, se iniziamo a dire che un mondo femminista potrebbe esistere, che possiamo vivere nella parità… Forse nessuna donna dovrà sentirsi in colpa per aver subito violenza.
Forse più nessuno si sentirà autorizzato a dare la colpa di un femminicidio alla vittima.
Forse nessuna più avrà paura di andare in giro da sola la notte per strada.
Forse nessuno più chiederà ad una donna stuprata cosa indossava durante l’atto.
Forse.
Nel dubbio, però, possiamo iniziare.