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In Corea del Sud crescono i gruppi antifemministi: perché?

- 16/01/2022


Fortunatamente nell’ultimo periodo in Corea del Sud i movimenti femministi hanno iniziato a prendere piede ed hanno raggiunto una grande visibilità conquistando alcuni risultati concreti per il raggiungimento della parità dei diritti. Ed è forse proprio per questo, insieme alla crescita della consapevolezza femminista del paese, sono aumentati, facendo molto parlare di se, i movimenti antifemministi sostenendo che sia una cospirazione tra femministe, governo e aziende per colpire invece i diritti degli uomini.

Sono aumentati dunque gli MRA (ne parlai qui, e mi feci intervistare da uno di loro).

Si tratta di un vero e proprio movimento: gli uomini (ma anche alcune donne) scendono in piazza per protestare contro il #MeToo e le discriminazioni che, secondo molti giovani coreani, oggi discriminerebbero i maschi, nonostante la cultura sia tradizionalmente molto conservatrice e patriarcale. Si tratta di un vero e proprio rifiuto delle femminismo, che ha portato alla formazione di gruppi, di cui Man On Solidarity è il più popolare ed è capitanato da un popolare youtuber.

Stanno facendo parlare molto di loro non solo per la visibilità che stanno avendo, soprattutto online, ma anche grazie alle loro campagne di pressione verso le aziende che utilizzano messaggi femministi nei loro brand, accusandoli però di sminuire il valore dell’uomo.

L’esempio più lampante: lo scorso maggio GS25, una catena di minimarket, aveva pubblicato un annuncio in cui si vedeva l’immagine stilizzata di una mano che, tra pollice e indice, pizzicava una salsiccia. Si tratta, ovviamente, del gesto che si usa per mostrare che una cosa è piccola ed è facile trovarlo nelle pubblicità. Nel gesto però alcuni hanno visto qualcosa di diverso: un messaggio “subliminale” femminista per ridicolizzare la lunghezza del pene degli uomini, il cui unico riferimento pregresso era comparire nel logo di un gruppo di donne sudcoreano attivo online nel 2015 e che ora non esiste nemmeno più.

La campagna di boicottaggio, si è diffusa in fretta e ha portato alla rimozione del manifesto di GS25, al licenziamento del responsabile marketing e al ritiro di diversi altri annunci dove erano presenti immagini simili. Smilegate ha rimosso l’icona delle dita da Lost Ark e decine di altre grosse aziende hanno cancellato le proprie pubblicità e si sono scusate pubblicamente con gli uomini che si sono sentiti turbati.

Chi sono questi uomini antifemministi?

Secondo Bae In-kyu, 31 anni, a capo di uno dei gruppi antifemministi più attivi in Corea del Sud – “le femministe sono una piaga sociale”.

“Non odiamo le donne e non ci opponiamo all’elevazione dei loro diritti”, ha spiegato al New York Times che in questi giorni ha pubblicato un pezzo dedicato proprio all’antifemminismo che si sta facendo strada nel Paese.

“Il sentimento anti-femminista è forte tra gli uomini tra i 20 e i 30 anni, così come nella generazione che sta diventando adulta”. Lo scorso maggio, la società locale di marketing Hankook Research ha fatto una ricerca concludendo che oltre il 77 per cento dei ventenni e più del 73 per cento dei trentenni erano contro il femminismo.

Questo sta portando a forti polemiche al limite tra il ridicolo e l’allarmante, proprio perché la situazione delle donne coreane è tutto tranne che privilegiata.

Per di più, la loro influenza non solo ricade nelle aziende, come scritto prima, ma anche nell’agenda politica: il prossimo 9 marzo ci saranno le elezioni presidenziali e nessuno dei principali candidati sta dando spazio alla questione dei diritti delle donne, ma si accordano invece con questi movimenti maschilisti.

Yoon Suk-yeol, il candidato dell’opposizione conservatrice, si è schierato apertamente con il movimento antifemminista: ha accusato il ministero delle Pari opportunità di trattare gli uomini come «potenziali criminali sessuali» e ha incluso nel suo staff per la campagna elettorale un importante e giovane leader di un gruppo antifemminista.

Mentre Lee Jae-myung, il candidato del Partito Democratico, il partito dell’attuale presidente, ha a sua volta dichiarato: «Proprio come le donne non dovrebbero mai essere discriminate a causa del loro genere, nemmeno gli uomini dovrebbero subire discriminazioni in quanto uomini». Parole senza alcun senso in quanto gli uomini non vengono discriminati, ma che supportano un sentimento sessista che dilaga.

La critica alla società patriarcale, quindi, in Corea del Sud è stata presa come un attacco agli uomini, la parità di genere come una concessione che non deve superare certi limiti e il femminismo come un sentimento di odio. La situazione è talmente tanto allarmante che la parola “Femminista” racconta una donna coreana al New York Times “è diventata una parola così sporca che le donne che portano i capelli corti o che portano in giro un romanzo di una scrittrice femminista rischiano l’ostracismo”.

“My life is not your porn”: la situazione dei diritti delle donne in Corea del Sud.

Come scritto prima, la situazione dei diritti delle donne in Corea Del Sud non è tra le migliori, nonostante l’avanzamento delle battaglie femministe, il che rende ancor più ridicolo lo sviluppo smisurato dei gruppi antifemministi.

Secondo il giornale online Il Post, la Corea del Sud ha infatti di gran lunga il divario salariale di genere più ampio tra i paesi che ne fanno parte: solo il 5 per cento circa di chi siede nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa è donna, rispetto alla media OCSE che è di circa il 27 per cento, e i dirigenti d’azienda sono soprattutto uomini che hanno più di 50 anni.

Parlando invece di democrazia paritaria, nel parlamento sudcoreano ci sono 57 donne su 300 parlamentari e i dati mostrano, come avviene anche altrove, che la percentuale delle donne che devono lasciare il lavoro dopo il parto è alta.

Anche qui, sono ancora le donne a farsi carico di gran parte del lavoro domestico, non retribuito, e quello delle molestie è un problema strutturale e molto radicato.

Per rendere ancora più emergenziale il quadro, in corea del sud dilaga un particolare tipo di molestia, che è stata analizzata in un recente rapporto di Human Rights Watch intitolato “My Life is Not Your Porn”: consiste nel filmare con telecamere nascoste le donne nei bagni pubblici o in altri luoghi con lo scopo di divulgarli all’insaputa delle ragazze filmate.

La giustizia spesso non punisce tali reati, e nel 2019 quasi la metà di questi casi è stata archiviata dai tribunali.

Insomma, le sud coreane non se la stanno passando bene. Eppure continua questa lotta insensata contro il femminismo, incentrato per lo più ad un incomprensione che troppo spesso ostacola la parità di genere ovvero che il femminismo non è il contrario di maschilismo e non significa in alcun modo odiare gli uomini.

E se si parte da questo, forse, si inizierebbe a lavorare insieme.

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Classe 1990, Pescarese di adozione. Attivista transfemminista e co-fondatrice del Collettivo Zona Fucsia, si occupa da sempre di divulgazione femminista. È speaker radiofonica e autrice in Radio Città Pescara del circuito di Radio Popolare con il suo talk sulla politica e attualità "Stand Up! Voci di resistenza". Collabora nella Redazione Abruzzo di Pressenza. È infine libraia presso la libreria indipendente Primo Moroni di Pescara e operatrice socio-culturale di Arci.

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