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Jebreal, Propaganda Live e la sottorappresentazione delle donne in TV.

- 19/05/2021


Il dibattito principale della settimana scorsa che è rimbalzato su tutti i social è la questione del rifiuto della giornalista Rula Jebreal nell’essere ospite al noto programma televisivo di La7 Propaganda Live. Il motivo del rifiuto è quello che non accettava di essere l’unica donna su ben 7 ospiti, destando così una divisione dell’opinione pubblica.

Propaganda Live va tutelata, ma non assecondata.

Tanto fervore sicuramente dipende dal fatto che Jebreal abbia rifiutato l’ospitata non ad un programma qualunque, ma forse all’unico programma di “sinistra” di tutto il palinsesto televisivo italiano.

#NonToccatePropaganda è uno degli slogan e hashtag più utilizzato da uomini (e donne) di sinistra, difendendo a spada tratta il programma che pare abbia vinto il premio del Diversity Media Award, il primo evento europeo dedicato al valore dell’inclusione, che crea un cambiamento positivo sulla società.

Propaganda è in effetti un ottimo prodotto televisivo, uno dei migliori sia per le tematiche che affronta e sia il modo in cui vengono affrontate: è ironico, puntuale e profondo, e rappresenta in pieno il paradigma del pensiero progressista del 900.

Riprendendo il post di Tlon: “È una trasmissione che va tutelata ma non assecondata, proprio perché è espressione di una postura secolare che oggi fatica a tenere il passo delle grandi trasformazioni in atto. Proteggerla dalle critiche a prescindere dagli avvenimenti perché in fondo “il resto fa schifo” rischia di farla diventare solo uno strumento di consolazione per i tanti che non hanno più rappresentanza politica.”.

Propaganda è un programma che va assolutamente difeso, in quanto unico media italiano che riesce spesso a far andare d’accordo la sinistra in Italia, dalla più centrista-liberale alla più radicale, ma questo non significa non poter sollevare critiche costruttive, anzi: proprio perché forse è l’unico programma “di sinistra”, è nostro compito non farlo ancorare ad una realtà passata, e quindi di farlo evolvere con noi insieme al cambiamento socio-culturale.

Perché non dare una mano a Propaganda, così come tutti i media che cercando di raccontare la sinistra, di trovare una nuova narrazione e in questo caso ancora più inclusiva? Proprio perché Propaganda è un programma fondamentale in Italia, può e deve crescere e progredire. Invitando qualche donna in più, magari.

La questione #tuttimaschi ovvero: le platee tutte al maschile.

Bene. Dopo aver chiarito che Propaganda è in effetti un buon programma ma che non si deve per questo adagiare sugli allori, parliamo dunque di quel cambiamento di cui il programma, proprio perché unico del suo genere, ha bisogno di affrontare. Anche perché, i numeri parlano chiaro: dal primo Gennaio al 14 Maggio ci sono state 30 ospiti donne contro 97 uomini. Come si può reputare inclusivo e paritario un tale risultato?

Alcune persone fanno notare che ci sono ospiti donne fisse nel programma, come se questo fosse abbastanza ma non solo: Francesca Scianchi e Costanza Reuscher, se ci fate caso, non contribuiscono sostanzialmente al programma, vengono interpellate per alcune battute. Un gradino più alto del soprammobile. Basta questo per raggiungere la parità? Va bene, ma non benissimo.

La questione delle platee tutte al maschile si è fatta notare in maniera piuttosto massiccia al Festival della Bellezza di Verona, nel settembre dell’anno scorso, grazie alla spinta mediatica di alcune scrittrici e giornaliste come Giulia Blasi, Michela Murgia e Jennifer Guerra che hanno organizzato il contro-festival “Erosive”. Nel palinsesto infatti, si era fatto notare che erano, come dice l’hashtag creatosi in quell’occasione, #tuttimaschi, quindi non c’era alcuna donna a parlare di arte e bellezza, aprendo il dibattito sulla parità di visibilità nei dibattiti pubblici e nei festival. La risposta a tale obiezione era che si prediligeva la competenza invece che il sesso dell’ospite: una risposta che di primo acchito potrebbe essere condivisibile, che ha usato anche Zoro nel suo discorso per riparare il danno. Ma va fatta una riflessione in merito.

Se usciamo in giro possiamo ben vedere che ci sono tante donne quanti uomini per strada, ma se accendiamo la TV non troviamo la stessa proporzione: è chiaro dunque che c’è uno squilibrio di visibilità. Ma ciò non è dovuto dal fatto che le donne siano meno competenti degli uomini (e dire questo è estremamente discriminatorio). Dire che si scelgono gli ospiti in base alla competenza fa intendere che si considerano le donne meno brave degli uomini quando in realtà è la società patriarcale che invisibilizza le donne competenti e non si da loro il microfono per far sentire la loro voce. Ed è un circolo vizioso: più visibilità dai agli uomini nei talk e più verranno chiamati, acquisendo sempre di più popolarità ed audience, mentre le donne vengono messe in disparte e vengono dimenticate nei palinsesti. Il risultato? Che li uomini sembrano esperti un po’ di tutto, e le donne invece solo sulle questioni”femminili” scadendo spesso a “La TV delle ragazze”

Il gesto di Jebreal (che può essere o meno una mera giustificazione per non parlare della Palestina, ma questo è un’altro discorso) è il modo più efficace per spezzare questa catena: boicottare, far notare che c’è effettivamente una disparità, anche negli ambienti consacrati della sinistra. Poteva Jebreal accettare l’invito e far presente che era l’unica donna su 7 ospiti? Certamente, ma avrebbe avuto lo stesso eco mediatico? Non di certo.

Quello che noi vediamo nelle tribune dei talk show sono delle cartine tornasole della nostra società, e se una donna di un certo rilievo come Jebreal poteva permettersi di boicottare il #tuttimaschi, allora ben venga, iniziamone a parlare. E non è un atto narcisistico: ma un atto di ribellione al sistema sessista che è presente anche negli ambienti di sinistra, che usano come scusa il benaltrismo (“ci sono cose più importanti”) per difendere l’indifendibile e cioè che la sinistra ha un problema con le donne, e non considera la parità di genere (alias, femminismo) una tematica degna di essere trattata con lo stesso interesse rispetto alle altre problematiche (che guarda caso, li riguarda in prima persona…).

In conclusione, non sto difendendo Jebreal a spada tratta e non sto dicendo che Propaganda non sia un programma inclusivo, ma è anche vero che include solo le categorie vulnerabili che decidono loro, e le donne non vengono considerate. Credo che sia un gravissimo errore cestinare un programma come Propaganda ma credo che possa, anzi dovrebbe, essere migliorato, andando di pari passo con il cambiamento socio-culturale che sta venendo in atto.

Non credo sia saggio andare contro Jebreal o Zoro, credo però che sia intelligente portare alla luce un argomento che finalmente è stato sollevato, e cioè che le donne preparate non hanno la stessa visibilità di un uomo con egual preparazione. E’ fattuale, e penso che insistere nei programmi di sinistra come Propaganda possa essere un buon inizio.

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Classe 1990, Pescarese di adozione. Attivista transfemminista e co-fondatrice del Collettivo Zona Fucsia, si occupa da sempre di divulgazione femminista. È speaker radiofonica e autrice in Radio Città Pescara del circuito di Radio Popolare con il suo talk sulla politica e attualità "Stand Up! Voci di resistenza". Collabora nella Redazione Abruzzo di Pressenza. È infine libraia presso la libreria indipendente Primo Moroni di Pescara e operatrice socio-culturale di Arci.

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