Ieri è stato il 25 Aprile, festa della Liberazione d’Italia dal nazifascismo. Nell’aprile del 1945, i movimenti antifascisti e di resistenza italiani emanarono ordini di insurrezione generale a tutti i loro gruppi; il 25 aprile Benito Mussolini fuggì da Milano e la città fu liberata dagli occupanti tedeschi e fascisti. Circa un anno dopo, il governo provvisorio di Alcide De Gasperi stabilì con un decreto che il 25 aprile dovesse essere “festa nazionale”.
Certo non ci aspettavamo di festeggiare questo 75esimo anniversario di libertà in una situazione tale che ci impedisce di essere nelle piazze a cantare Bella Ciao. Moltissime associazioni si sono organizzate con palinsesti sulla Resistenza online e flash-mob, cercando di stare insieme seppur distanti, tra le quattro mura.
Fondamentale in questo periodo dell’anno è proprio quello di ricordare cosa significa questa data perché dobbiamo molte delle nostre libertà alla Resistenza italiana. E’ una storia che ci viene ripetuta da sempre, sappiamo bene come va a finire ma non per questo dobbiamo smettere di raccontarla. Raccontarla anno dopo anno è un dovere politico che ognuno di noi deve mantenere per evitare di dimenticarci di come si viveva in un periodo buio come quello della dittatura fascista.
Ma oltre a questa storia che sappiamo già, ma non per questo non degna di essere ripetuta, ci sono moltissimi aspetti che spesso ci si dimentica di raccontare: un po’ perché in principio venivano ritenute superflue e un po’ perché non se ne sapeva abbastanza. Parlo delle donne nella Resistenza e alle partigiane. Sono state troppo poco nominate, ma hanno avuto un ruolo fondamentale per la liberazione del nostro paese.
In tutte le città le donne lottarono per riconquistare la libertà e la giustizia, impegnate nella propaganda antifascista, raccolsero fondi e fornivano assistenza ai bisognosi, lottarono per l’emancipazione e per i propri diritti e donne impegnate in prima linea nelle operazioni militari. Noi donne dobbiamo moltissimo alle nostre nonne partigiane.
Anche se con un giorno di ritardo, mi sento di contribuire nel mio piccolo a perpetuare questa memoria troppo spesso dimenticata.
LA RESISTENZA TACIUTA
Secondo alcune stime le donne che hanno partecipato alla resistenza sono state settantamila, ma probabilmente sono molte di più e il loro ruolo è stato fondamentale per la Liberazione. Tuttavia il loro ricordo è entrato solo recentemente nella storia ufficiale della resistenza italiana. Dopo la fine della guerra c’è stato una specie di silenzio generale sulla resistenza femminile anche perché molte donne che hanno partecipato alla resistenza non hanno chiesto un riconoscimenti perché sentivano di aver fatto solo il loro dovere. A partire dagli anni sessanta, con le lotte per l’autodeterminazione femminile e i cambiamenti profondi in corso nella società, si cominciò a rivendicare un ruolo per le donne che affondasse anche nella storia della repubblica e nella resistenza.
LE DONNE NELLA RESISTENZA
I compiti ricoperti dalle donne nella Resistenza furono molteplici: fondarono squadre di primo soccorso per aiutare i feriti e gli ammalati, contribuirono nella raccolta di indumenti, cibo e medicinali, si occuparono dell’identificazione dei cadaveri e dell’assistenza ai familiari dei caduti.
Non si limitavano a cucinare, lavare e cucire ma partecipavano alle riunioni portando il loro contributo politico ed organizzativo. Particolarmente prezioso era il loro compito di comunicazione eseguendo il ruolo di staffette.
Le loro azioni erano soggette a rischio quanto quelle degli uomini ed erano brave nel camuffare armi e munizioni: quando venivano fermate dai tedeschi con addosso qualcosa di compromettente, riuscivano spesso ad evitare la perquisizione dichiarando di dover compiere mansioni per familiari ammalati e per i propri bambini.
Nell’epoca del secondo conflitto mondiale le donne acquisirono un ruolo importante anche a livello economico-produttivo poiché dovettero sostituire gli uomini, richiamati alle armi, nell’industria, in particolar modo nel settore tessile e nelle catene di montaggio, e nell’agricoltura dove affrontavano le attività più faticose.
LE STAFFETTE PARTIGIANE
Il ruolo della staffetta era spesso ricoperto da giovani donne di 16-18 anni poiché si pensava che destassero meno sospetti. Il loro compito era quello di garantire il fondamentale collegamento tra le varie brigate e tra i partigiani e le loro famiglie. Prendevano contatto con i militari e li informavano dei nuovi movimenti senza farsi scoprire dal nemico.
Spesso avevano anche il ruolo di infermiera tenendo i contatti con il medico e il farmacista per curare i soldati.
Nonostante il ruolo fosse molto pericoloso, effettuavano le comunicazioni senza armi, proprio per non destare sospetti. Si vestivano con abiti comuni e con una borsa con il doppio fondo per nascondere tutto quello che dovevano trasportare di nascosto.
Percorrevano chilometri in bicicletta, a piedi, talvolta in corriera e in camion, pigiate in un treno insieme al bestiame, per portare notizie, trasportare armi e munizioni, sotto la pioggia e il vento, tra i bombardamenti e i mitragliamenti, con il pericolo ogni volta di cadere nelle mani dei nazifascisti.
LE COMBATTENTI
Tante furono le donne che combatterono al fianco dei partigiani contro il nazifascismo. Imbracciarono le armi, si misero al fianco degli uomini e in alcuni casi venivano scelte come capi squadra e dirigevano l’intera brigata.
Un esempio è quello dato da Carla Capponi, che partecipò alla Resistenza romana e divenne vice comandante di una formazione operante a Roma. I compagni le avevano impedito il possesso di armi, perché preferivano che si occupasse di altre mansioni; così nell’ottobre del 1943, sopra un autobus affollato, Carla rubò una pistola ad un soldato della GNR che si trovava al suo fianco.
Utilizzando le armi, le donne, invasero all’epoca un mondo prettamente maschile. Non lo fecero per la semplice emancipazione del loro ruolo ma per una mera questione di necessità in una situazione dove era giusto collaborare per una causa che coinvolgeva l’intera popolazione.
Nelle formazioni nei primi tempi vi furono delle contestazioni da parte di alcuni partigiani, contro la presenza femminile, ma alla fine anche i più scettici dovettero ricredersi. Le donne combattevano al fianco degli uomini, nelle montagne, al freddo, in alcuni casi si dedicavano a delle vere e proprie azioni di sabotaggio militare, mettendo a rischio la loro vita.
Tante sono state le donne combattenti catturate e seviziate, portate in campi di concentramento e poi condannate a morte.
LE DONNE NELLE ISTITUZIONI E IN POLITICA.
Nel momento del bisogno le donne ricoprirono anche cariche istituzionali.
Erano donne istruite, colte e intelligenti e presto divennero punti di riferimento per tutti i movimenti antifascisti italiani. A loro si deve la fondazione dei Gruppi di Difesa delle Donne, organizzazioni che avevano come obiettivo quello di coinvolgere il maggior numero di donne in attività resistenziali.
Inizialmente il loro ruolo doveva essere di tipo assistenziale e propagandistico, ma ben presto si trasformò in una vera lotta armata, con tanto di proteste e comizi in piazza.
Molte le donne che nella Resistenza ricoprirono ruoli di carattere politico. Nilde Iotti fu una di quelle. Giovanissima seguì le orme del padre, morto quando lei era ancora adolescente, e si iscrisse al Partito Comunista Italiano. Il suo primo impegno importante fu quello di responsabile dei gruppi di difesa della donna essenziali nella raccolta di indumenti, medicinali, alimenti per i partigiani.
Dopo il Referendum del 2 giugno del 1946, Nilde Iotti fu eletta in Parlamento, prima come semplice deputato e poi come membro dell’Assemblea Costituente e contribuì a creare l’articolo 3 della Costituzione italiana dove si sancisce l’uguaglianza dei cittadini:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Praticamente il primissimo mattoncino verso il Femminismo Intersezionale.
LE PARTIGIANE DI OGGI
Ieri, durante questo giorno di festa, mi sono interrogata a lungo. Può la nostra lotta femminista, che va dalle grandi manifestazioni al nostro personale (che è politico!), essere paragonata alla Resistenza di 75 anni fa?
Assolutamente si.
“Il Femminismo è un lavoro ostinato di liberazione quotidiana, di gesti di resistenza e non di azioni eclatanti.
Perciò il Femminismo é Resistenza e Liberazione da quei sistemi che si basano sulla violenza, sulla colonizzazione dei corpi e dei territori.
Per noi femministe, il Fronte esiste ancora e varia di volta in volta: è la violenza strutturale e di genere verso il nostro corpo e verso la nostra salute, a scuola, nei luoghi di lavoro; è la violenza dei tribunali e dei confini.
Su questa barricata quotidiana, noi donne, donne trans, donne migranti agiamo i valori della Resistenza ogni volta che un potere, un padrone, una frontiera ci toglie libertà o possibilità di scegliere. Scegliamo il conflitto e lo facciamo insieme, con la forza della creatività, del divertimento e della passione, perché il desiderio rivoluzionario è anche questo: solidarietà, sorellanza, comunità e gioia.
Con le nostre vite e con i nostri corpi, come femministe e transfemministe, lottiamo ogni giorno per liberarci da patriarcato, maschilismo ed eteronormatività che ancora oggi ci reprimono, degradano, silenziano.
Lottiamo in ogni lingua del mondo per liberarci da ogni forma di discriminazione, di sfruttamento, contro i terricidi e contro i colonialismi.
Il 25 aprile non è per noi una ricorrenza. È soprattutto una data di consapevolezza, per costruire un presente e un futuro di libertà e giustizia partendo dai nostri desideri.”
Non una di Meno.
Le combattenti Curde sono partigiane, Marielle Franco era una partigiana, Angela Davis, Carola Rackete, Ilaria Cucchi, Nicoletta Dosio… sono tutte partigiane. Ma anche chi scende in piazza per protestare una violazione, chi condanna una battuta sessista, chi si batte per l’inclusione di tutte le minoranze e chi difende la democrazia è un* partigian* e sono tutti atti di Resistenza.
Essere partigian* significa non essere indifferenti davanti alle ingiustizie.
Tutte noi potremmo essere partigiane. Tutte noi potremmo combattere il patriarcato che ha reso questa società sessista, omofoba, razzista, classista fascista.
Resistiamo!
Segnalo inoltre un documentario sulle Partigiane “Bandite”. Buona Visione!