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La parola TERF non è un insulto, ma discriminare le persone trans lo è: dibattito sul DDL Zan.

- 12/05/2021


Scrissi già un articolo riguardante questo argomento, ovvero delle terf che attaccavano il DDL Zan soprattutto sulla questione dell’identità di genere e del sesso biologico. Ad oggi il disegno di legge è stato approvato alla Camera e attendiamo l’esito del Senato, e nell’attesa il dibattito pubblico si è acuito e diventa sempre più polarizzante. Tantissimi sono gli articoli illuminanti che hanno destato di nuovo il dibattito alla tematica: uno scritto da Elena Tebano, su La 27esima ora il 5 maggio, uno di Chiara Zanini su RollingStone (nello stesso giorno) e uno di Antonia Caruso per Domani pubblicato il 7 maggio.

L’attacco di questa branca di femminismo è concentrato prettamente nell’utilizzo del concetto di identità di genere, in quanto, come ben sappiamo, non coincide alcune volte con il sesso biologico, ovvero quello assegnato alla nascita.

TERF e l’identità di genere.

Le TERF, che non è una parolaccia e ve lo assicuro (ne riparleremo), ovvero le Trans-Exclusonary Radical Feminist, ritengono l’inesistenza del concetto di identità di genere quindi l’assegnazione del genere dipenda esclusivamente dal sesso biologico. Come dicevo nel mio scorso articolo, va ribadito che esistono più femminismi, e questo femminismo in particolare è chiamato “essenzialista” in cui il concetto di donna viene definito in base al sesso biologico e quindi in base agli organi genitali e alla conformazione del corpo.

Questo concetto è stato fondamentale per quanto riguarda la storia del femminismo, poiché ha portato all’emancipazione e alla consapevolezza delle donne, ma oggi si può tradurre in un idea transfobica poiché va ad appesantire la discriminazione delle persone trans.

Come sappiamo, ma è sempre bene ripetere, le persone trans sono quelle persone che non si sentono di appartenere al genere che è stato loro assegnato dalla nascita in base al sesso biologico, quindi assegnato dal pene o dalla vagina.

Ed è qui che si comprende la differenza tra identità di genere, quindi la percezione che un* ha di se, e il sesso biologico che è prettamente fisico.

La paura principale delle femministe trans-escludenti è che l’identità di genere possa travolgere il sesso biologico, andando incontro ad un “self-id”, ovvero che ognun* possa decidere la propria identità come vuole e senza un percorso. Ma è molto più complicato di così: il procedimento per ottenere un documento con la propria identità di genere e un nuovo nome (Legal Gender Recognition, LGR) è molto lungo e richiede procedure burocratiche e/o mediche laboriose, un percorso estremamente difficoltoso da portare a termine, smontando così l’idea semplicistica che un uomo possa svegliarsi la mattina e decidere di essere donna per usufruire così delle “tutele” alle donne.

Le femministe trans-escludenti considerano la parola TERF un insulto, perché?

Mentre nel Luglio dell’anno scorso potevamo contare le TERF sulla punta delle dita, ad oggi l’esclusione delle Trans nella lotta femminista è diventato più comune di quello che temevamo. Mentre prima, veniva spontaneo riconoscere come sbagliato l’esclusione delle persone trans in una lotta femminista ora la questione si riempie di grigi.

La diffusione così grande di questo tipo di femminismo escludente (che a mio avviso è un ossimoro) è dovuto principalmente da due fattori: in primis hanno accesso ai mezzi di comunicazioni mainstream, in quanto le femministe radicali vengono per lo più dal mondo dei media, di cui conoscono bene i meccanismi, come la regista e scrittrice Cristina Comencini e la giornalista Marina Terragni (autrice di «Gli uomini ci rubano tutto») avendo così un corposo numero di lettori e lettrici a cui fanno affidamento alla loro “credibilità” per costruirsi un opinione sull’argomento.

Avendo consapevolezza di come funziona lo strumento del mainstream e dei media, è facile l’influenza, dimenticandosi però di essere corretti e dare voce alla controparte: di fatto loro discriminano una parte delle donne che vivono in questo mondo ed è molto raro vedere sui giornali la loro opinione e difesa.

Le ho sentite lamentarsi che non vengono ascoltate, ma io trovo spesso online articoli con firme illustri e in giornali famosi, in cui si difende a spada tratta il sesso biologico, come se l’ID possa distruggere un pene o una vagina con un documento di identità.

In secondo luogo c’è anche la leva del populismo, che dilaga anche a causa dei social, e che ad oggi va tanto di moda. Si appellano alla misoginia che il DDL Zan combatte e in quanto TERF, a loro detta, verrebbero discriminate e insultate solo perché vorrebbero “migliorare” la legge Zan.

Quindi, tenetevi forte, delle donne bianche, etero, cis e borghesi si sentono discriminate in quanto discriminano le donne trans e non solo: fanno leva sulla stessa legge che non vorrebbero far approvare al senato per piangersi addosso, perché a loro detta, quando vengono interpellate come TERF, si sentono insultate e messe alla berlina. “Non chiamateci TERF” ci chiedono, dicendo che ad oggi è un insulto. Ma come chiamare tecnicamente le femministe che escludono le trans dalla lotta?

Come dice la femminista Judith Butler: «Non sono a conoscenza del fatto che terf sia usato come un insulto. Mi chiedo: con quale nome dovrebbero essere chiamate le autoproclamate femministe che vogliono escludere le donne trans dagli spazi femminili? Se favoriscono l’esclusione, perché non chiamarle escludenti? Se si dichiarano appartenenti a quella linea del femminismo radicale che si oppone alla riassegnazione di genere, perché non chiamarle femministe radicali? Il mio unico rimpianto è che c’è stato un movimento di liberazione sessuale radicale che una volta andava sotto il nome di femminismo radicale, ma si è tristemente trasformato in una campagna per patologizzare le persone trans e gender non conforming».

Il concetto che la parola TERF sia un insulto parte dall’Inghilterra, patria di J.K: Rowling (anche lei trans-escludente). L’ Economist, il settimanale d’informazione politico-economica in lingua inglese, ha definito, in un loro articolo, la parola TERF come slur, ovvero calunnia, e da li hanno puntato tutto su quel pezzo. Ma la realtà è più semplice di quello che sembra: non sopportano essere chiamate così perché non ammettono a loro stesse che vogliono discriminare una categoria ben precisa, esattamente come si discriminano le persone non bianche e non etero. Come i no-vax che non vogliono essere chiamati tali: sotto sotto non vogliono guardare in faccia la realtà di ciò che sono? Anche perché basta analizzare l’acronimo: non c’è alcun insulto all’interno, ma la descrizione “tecnica” del loro punto di vista. Se per loro essere definite per quello che sono è un problema, forse bisogna essere ottimist* perché c’è davvero speranza.

E’ vero, le donne non sono una minoranza: ma vengono trattate come tali!

Altra critica sollevata nel Ddl Zan è proprio quello di inserire la “categoria donne” come minoranza al pari della comunità lgbt, quando invece siamo la metà del mondo. Assolutamente corretto, e qui mi faccio aiutare da un articolo di ValigiaBlu, citandolo: ” È vero che le donne sono la metà del mondo! Ma negare che le donne siano discriminate in tutto il mondo è altrettanto velleitario anche perché chi non vuole definirsi minoranza poi è lo stesso pezzo di mondo femminile che chiede anche con le altre femministe le quote di genere o leggi che puniscano il femminicidio. La legge Zan punisce chi commette il reato, non la vittima. E punisce chi commette un reato contro qualcuno per il proprio orientamento sessuale o per la propria identità di genere.

C’è davvero il rischio che la proposta di legge “cancelli” le donne e la differenza sessuale? No. Si tratta anzi di un arricchimento, e non di una cancellazione. Come già spiegato tra le caratteristiche personali che possono determinare discorsi e crimini d’odio è stato aggiunto, accanto al genere, proprio il sesso.”

Ma escludere le TERF non è poco femminista?

Questa è una delle obiezioni più sentite, insieme alle altre che ho cercato di smontare. Qui non si parla di escludere o di mettere alla gogna un gruppo di femministe, in cui ci si ritrova assieme in tantissime altre battaglie, ma bisogna trovare il proprio spazio per dire la propria soprattutto di fronte ad una approvazione di una legge così importante come quella di Zan. Il dibattito a colpi di articoli fanno parte del processo di evoluzione del movimento femminista: ascoltare e leggere la “controparte” porta alla riflessione e all’avanzamento del pensiero critico circa la parità di genere. Ma l’ascolto non deve togliere, da entrambe le parti, la possibilità di obiettare e criticare l’altro sopratutto quando i tempi politici sono stabiliti.
Credo comunque che quando si parla di “discriminazione” verso un determinato gruppo di femministe bisogna prima capire perché vengono “discriminate”: l’esclusione di un determinato gruppo di persone, Trans nello specifico, non è forse a priori anti-femminista? E perché vengono definite tali…?

A questo punto e in questo momento, poi chissà dove mi porterà la ratio, mi appello al paradosso della tolleranza di Popper, che mi porta a non tollerare gli intolleranti, continuando però a studiare.

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Classe 1990, Pescarese di adozione. Attivista transfemminista e co-fondatrice del Collettivo Zona Fucsia, si occupa da sempre di divulgazione femminista. È speaker radiofonica e autrice in Radio Città Pescara del circuito di Radio Popolare con il suo talk sulla politica e attualità "Stand Up! Voci di resistenza". Collabora nella Redazione Abruzzo di Pressenza. È infine libraia presso la libreria indipendente Primo Moroni di Pescara e operatrice socio-culturale di Arci.

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