A quasi tre mesi dalla sottoscrizione di due accordi di pace, uno tra Turchia e Stati Uniti, l’altro tra Turchia e Russia , le truppe di Erdogan continuano, indiscriminatamente, ad invadere la regione di Rojava a nord est della Siria.
Inquietanti sono le testimonianze quotidiane: rapimenti, fustigazioni pubbliche e gli stupri di gruppo perpetrati alle donne curde.
Quella che doveva essere la creazione di una safe zone per la turchia, ponendo le proprie truppe a 30 km a sud del confine siriano, si sta dimostrando una vera e propria invasione.
L’occidente tace e resta a guardare la nuova composizione dello scacchiere internazionale. Mentre il Parlamento di Ankara vota gli aiuti militari in Libia, sul fronte siriano si sta avverando una vera e propria mattanza del popolo curdo.
L’attivista curda Lana Hussein a dichiarato che «Dal 17 ottobre al 3 dicembre ci sono stati 143 attacchi di terra, 124 dal cielo e 147 di artiglieria pesante. Sono state usate anche armi chimichee munizioni al fosforo bianco. Per non parlare dei massacri e delle atrocità compiute contro la popolazione civile».
1.100 chilometri invasi fino ad oggi e 88 villaggi occupati. Dall’inizio dell’offensiva 478 civili hanno perso la vita, 1.070 sono stati feriti e più di 300 mila sfollati. Ottocentodieci scuole sono state chiuse, di cui 20 sono andate completamente distrutte, e 86 mila studenti oggi non possono più studiare.
Purtroppo l’attenzione delle armate della mezzaluna bianca a fondo rosso si stanno concentrando sulle donne.
Celebri sono state le immagini che i reporter hanno scattato alle donne combattenti curde, l’anima attiva delle battaglie contro l’Isis. Il mondo intero è testimone della caparbietà di queste donne che ora si vedono voltare le spalle da quel mondo occidentale che stavano proteggendo.
Sono circa 60 gli stupri di guerra che le truppe turche hanno inflitto a madri e ragazzine. Lo scopo è quello di piegare l’intera comunità curda tentando di islamizzare e sottomettere tutta l’area colpendo “chirurgicamente” proprio il simbolo della resistenza Curda: le Donne.
“La mia vagina era il mio villaggio
La mia vagina era verde, campi d’acqua rosa tenero, mucca che muggisce sole che si posa dolce ragazzo che tocca leggero con un morbido filo di paglia bionda.
C’è qualcosa tra le mie gambe. Non so cos’è. Non so dov’è. Io non tocco. Non ora. Non più. Non più da allora.
La mia vagina era chiacchierona, non vede l’ora, tante, tante cose da dire, parole parlate, non posso smettere di provare, non posso smettere di dire oh sì. Oh sì.
Non da quando sogno che c’è un animale morto cucito là sotto con grossa lenza nera. E il cattivo odore dell’animale morto non si riesce a togliere. E ha la gola tagliata e il suo sangue inzuppa tutti i miei vestiti estivi.
La mia vagina che canta tutte le canzoni da ragazze, campanacci delle capre che suonano canzoni, selvagge canzoni dei campi d’autunno, canzoni della vagina, canzoni del paese della vagina.
Non da quando i soldati mi infilarono dentro un lungo e grosso fucile. Così freddo, con quella canna d’acciaio che annienta il mio cuore. Non so se faranno fuoco o se lo spingeranno su attraverso il mio cervello impazzito. Sei uomini, mostruosi dottori con maschere nere che mi ficcano dentro anche bottiglie, bastoni, e un manico di scopa.
La mia vagina che nuota acqua di fiume, acqua pulita che si rovescia su pietre cotte al sole sopra clitoride di pietra, pietra e clitoride mille volte.
Non da quando ho sentito la pelle strapparsi e fare rumori striduli da limone strizzato, non da quando un pezzo della mia vagina si è staccato e mi è rimasto in mano, una parte delle labbra, ora da un lato un labbro è completamente andato.
La mia vagina. Un umido villaggio vivente di acqua. La mia vagina, la mia città natale.
Non da quando hanno fatto a turno per sette giorni con quella puzza di escrementi e carne affumicata, e hanno lasciato il loro lurido sperma dentro di me. Sono diventata un fiume di veleno e di pus e tutti i raccolti sono morti, e anche i pesci.
La mia vagina
umido villaggio vivente di acqua.
Loro l’hanno invaso. L’hanno massacrato e bruciato.
Io non tocco adesso.
Non ci vado mai.
Io vivo in un altro posto, adesso.
Io non so dov’è, adesso.”
da “I monologhi della vagina (The Vagina Monologues) di Eve Ensler