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Perché le donne devono votare NO al taglio dei Parlamentari?

- 13/09/2020


Il giorno del Referendum sta arrivando: la prossima settimana, 20 e 21 Settembre, gli italiani andranno nelle urne per decidere se ci debba essere o meno il taglio dei Parlamentari.

Di primo acchito si pensa che sia una buona idea: meno poltrone, quindi meno stipendi di politici che non fanno il proprio lavoro, amministrazione più snella. Ma siamo sicuri che sia così?

Il Referendum sul taglio dei parlamentari è uno specchietto per le allodole: si pensa che cambiando gli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione ci possa essere un vero e proprio risparmio sulle casse degli italiani. Ma così non è, e il gioco non vale la candela visti gli effetti collaterali che ci potrebbero essere.

Ma andiamo per ordine.

Si risparmia davvero?

Allarme spoiler: No.

Se consideriamo che, in base a quanto riporta il bilancio della Camera, nel triennio 2018-2020 per pagare indennità e rimborsi a 630 deputati lo Stato spende ogni anno 144,9 milioni di euro, ricaviamo un costo annuo di 230 mila euro a deputato.

Una riduzione di 230 deputati, dunque, creerebbe un risparmio potenziale di 52,9 milioni di euro ogni anno. Il Senato spende invece 249.600 euro l’anno per senatore. Un taglio di 115 membri di Palazzo Madama farebbe risparmiare circa 28,7 milioni di euro ogni anno. Si tratterebbe quindi rispettivamente del 5,5% delle spese totali di Montecitorio e del 5,4% di quelle di Palazzo Madama.

Tra Camera e Senato, quindi, i risparmi sarebbero di 81,6 milioni di euro ogni anno, che, rapportato al nostro debito pubblico, significa lo 0,005% e un seicentesimo scarso di quanto spende l’Italia ogni anno solo di interessi sul debito stesso.

Cifre ben lontane da quanto sostenuto da Luigi Di Maio, secondo il quale dal taglio dei costi dei parlamentari avremmo potuto ricavare 100 milioni di euro l’anno, cioè 500 milioni a legislatura e dunque un miliardo di euro in dieci anni.

E come se non bastasse, come dicevo prima, le conseguenze sulla nostra democrazia sarebbero devastanti.

Cosa comporta per la nostra democrazia?

Se si approvasse il taglio, si passerebbe da 630 a 400 seggi alla Camera e da 315 a 200 seggi al Senato, con un taglio complessivo di 345 parlamentari, pari al 36,5%. Tra questi, verrebbero ridotti i parlamentari eletti all’estero (18 a 12).

Con il taglio dei seggi, aumenta il numero di abitanti per parlamentare. Per ciascun deputato si passa da 96.006 a 151.210 abitanti e per ciascun senatore da 188.424 a 302.420 abitanti. Di conseguenza, nel caso di approvazione, sarà necessario ridefinire i collegi elettorali tramite una nuova legge che richiederà ulteriore tempo per l’approvazione.

Dunque la riforma costituzionale, in assenza di una contestuale riforma elettorale e dei partiti, è un salto nel buio che compromette la rappresentanza parlamentare e il ruolo stesso del Parlamento. I cittadini verrebbero ancor meno rappresentati in parlamento, rendendo meno efficace la democrazia.

“La riforma svilisce il ruolo del Parlamento e ne riduce la rappresentatività, senza offrire vantaggi apprezzabili né sul piano dell’efficienza delle istituzioni democratiche né su quello del risparmio della spesa pubblica sia perché si tratta di risparmi irrisori sia perché la democrazia ha un valore che non può essere sacrificato per esigenze di risparmio.

La riforma riduce in misura sproporzionata e irragionevole la rappresentanza dei territori con il rischio che alcune Regioni finirebbero con l’essere sotto-rappresentate rispetto ad altre. Un Senato composto da 200 membri non può rappresentare tutte le identità politiche, sociali, culturali ed economiche se ogni eletto dovrà rappresentare circa 300mila abitanti.”

Quali effetti collaterali per le donne in politica?

Le donne vengono già enormemente marginalizzate nel mondo della politica, l’approvazione del taglio acuirebbe questo gap di genere.

Tra i vari comitati per il No al Referendum, spicca uno in particolare, chiamato “Comitato delle donne per il No al Referendum“, composto da donne e per le donne, ed ha come slogan “E invece no”.

Il comitato ha diffuso il loro manifesto in cui palesa evidenti criticità a discapito delle donne qualora il taglio venisse approvato.

Cito qui parte del loro manifesto :

“[…]A questi argomenti si aggiungono le perplessità sugli effetti negativi che si avrebbero sulla rappresentanza politica delle donne.

  • Mancanza di riforma elettorale e di una legge sulla democrazia interna dei partiti. In assenza di questi interventi – necessariamente correlati – si accentua il potere dei capi-partito e l’importanza dei finanziamenti delle lobbies. Le donne sono ancora marginalizzate nei luoghi decisionali politici ed economici, quindi avranno minori chances di essere elette.
  • Muta il rapporto con l’elettorato, e dunque con i territori. L’eliminazione di 230 deputati e 115 senatori muta il rapporto di rappresentanza e affievolisce il legame con i territori, penalizzando ad esempio le esperienze delle donne come amministratrici locali. I dati sulle competizioni elettorali mostrano minore visibilità delle donne nei media e nelle tribune politiche. Risulterà ancora più esigua la possibilità di accesso ai media (che è decisa dai capi-partito) e quindi di essere elette.
  • Leadership maschile nei partiti e nei movimenti. L’entrata in Parlamento è nominalmente aperta a tutti, ma di fatto risulta rigidamente controllata dai partiti. Questo dato mostra di avere un effetto relativamente negativo sulle chances di carriera politica delle donne. La misura prevista nella legge elettorale volta all’incremento della rappresentanza femminile non ha consentito il raggiungimento del 40% di donne elette.
  • Ruoli centrali negli organi parlamentari. I dati tendono a confinare la rappresentanza femminile in aree settoriali e a ricostruire situazioni di marginalità all’interno del Parlamento: è significativo il fatto che le donne siano assenti in dicasteri importanti quali quelli economici e che siano prevalentemente presenti nelle commissioni parlamentari che trattano questioni tradizionalmente considerate come di pertinenza delle donne.
  • Distorsioni sulla rappresentanza territoriale. Minore rappresentanza delle regioni più piccole e dei partiti minori – se non vi è un mutamento profondo nei partiti – concentrerà la scelta sui soli candidati uomini, come dimostrano i principali report nazionali e internazionali.
  • Mancanza di una campagna informativa e uso di un linguaggio demagogico dell’antipolitica che offende la democrazia parlamentare. E’ molto grave che la riforma costituzionale sia priva di un adeguato dibattito pubblico, anche all’interno dei partiti, e comunque si fondi su un linguaggio proprio dell’antipolitica. L’assunto di fondo della riforma si basa sul discredito del ruolo dei parlamentari e dell’Istituzione, ma non si preoccupa affatto di migliorare il processo di formazione delle leggi. La gran parte dei movimenti femministi che hanno promosso norme di garanzia sono mosse dalla convinzione che la democrazia parlamentare e la democrazia paritaria siano strettamente connesse.

Per queste ragioni di fatto la riforma penalizzerà l’elezione delle donne perché meno rappresentanti significa competizione più dura e più cooptazione e più difficolta’ per le donne di essere elette.”

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Classe 1990, Pescarese di adozione. Attivista transfemminista e co-fondatrice del Collettivo Zona Fucsia, si occupa da sempre di divulgazione femminista. È speaker radiofonica e autrice in Radio Città Pescara del circuito di Radio Popolare con il suo talk sulla politica e attualità "Stand Up! Voci di resistenza". Collabora nella Redazione Abruzzo di Pressenza. È infine libraia presso la libreria indipendente Primo Moroni di Pescara e operatrice socio-culturale di Arci.

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