Martedì 18 Gennaio, esattamente una settimana dopo la morte di David Sassoli, è stata eletta come presidente del parlamento Europeo Roberta Metsola, maltese di 43 anni, la più giovane presidente (e donna!) della storia europea.
Metsola è riuscita a raggiungere una maggioranza netta: è stata eletta al primo scrutinio con 458 voti (per essere eletta ne bastavano 309, la maggioranza assoluta dei voti validi più uno). La sua maggioranza così schiacciante è dovuta dall’alleanza tra il suo partito il Partito Popolare Europeo (di cui è parte dell’ala più moderata), di centrodestra, i Socialisti e Democratici (S&D), di centrosinistra, e il gruppo liberale Renew Europe. Era un nome che girava da subito, in quanto è sempre riuscita, nel corso della sua carriera, a mettere d’accordo centro e centro sinistra, con un lavoro di mediazione lodevole. Ed era già programmato che dopo Sassoli, si lasciava il posto di presidenza al centro-destra.
Quindi, ce lo aspettavamo. Ma cosa ci spaventa più di tutto?
Non siamo contente che finalmente c’è una donna al capo del PE?
Assolutamente si.
E vedere che in Europa ci siano moltissime donne ai vertici ci fa capire quanto l’Italia sia indietro con la democrazia paritaria (ne parlai qui, per la questione de “una donna al Quirinale”).
Metsola è totalmente e apertamente antiabortista. Non a caso Malta è l’unico paese di tutta Europa in cui l’aborto è illegale per qualsiasi motivo (ne scrissi un articolo tempo fa, intervistando le Voice for Choice, l’unico gruppo femminista che si batte per l’abrogazione del divieto).
Come è potuto succedere? Come ha potuto un partito progressista accettare una donna al capo del PE, di fronte ad una posizione così grave di fronte ai diritti delle donne?
Come diceva Obama, scagliare pietre non significa fare attivismo, e non si può scagliare pietre di fronte ad un fenomeno che sta diventando sempre più raro: avere una grande maggioranza. Ed ha assicurato che prima rappresentava un Paese antiabortista come Malta e doveva dunque seguire la linea politica di ciò che rappresentava mentre ad oggi seguirà, a sua detta, la linea europea, e che non tratterà di temi come l’IVG. Ma questo non basta.
(Anche se Macron ha sollevato la questione di inserire il diritto all’aborto nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, proprio per rendere la tematica centrale all’interno del Parlamento, in previsione di una possibile influenza antiabortista)
Sicuramente però un concetto va sottolineata, e con questa elezione va fatta una riflessione ulteriore: essere donna non significa essere femminista.
Essere donna, non significa essere automaticamente dalla parte delle donne e delle minoranze. Non tutte le donne sono di sinistra e certamente non basta essere donna per garantire certe qualità invece che altre (sarebbe un auspicio alquanto stereotipato…).
Siamo tutte e tutt noi nati e cresciuti in una società sessista che ci porta a pensare che la disparità sia normale, il che porta anche le donne ad essere sessiste.
Quindi aggiustiamo il tiro: vogliamo più donne in politica, assolutamente si, ma femministe.
Perché altrimenti non serve avere più donne se però non difendono i diritti delle donne.
Ha ragione la giornalista Lea Melandri quando dice che “non ha senso, ed è rischioso, chiedere una rappresentanza di ‘genere’, in assenza di una candidatura che possa entrare nell’istituzione con la consapevolezza e la combattività prodotta dalla cultura e dalle pratiche politiche del femminismo”.
Insomma, una donna si, ma le vorremmo progressiste, socialiste, intersezionali: femministe, per l’appunto. E per farlo bisogna iniziare a fare quello che da decenni abbiamo paura di fare: farci avanti. Entrare nella politica sapendo che all’inizio sbatteremo contro un soffitto di cristallo costruito dal sessismo istituzionalizzato, ma i tempi forse sono maturi.
E forse più siamo e meglio è. E forse più diventiamo e più sarà facile romperlo quel soffitto. Forse.
Le destre lo hanno capito, quando lo capirà anche la fazione opposta?
E intanto il tempo passa, a breve si eleggerà il nuovo Presidente della Repubblica che porterà ad un nuovo mescolamento delle carte nel governo.
E da donne, e da femministə, due sono le cose fondamentali che possiamo fare: mettersi in gioco o sostenere, con il voto, lə femministə che vogliono mettersi in gioco.