Edito da LetteraVentidue, il libro riassume i risultati della ricerca Sex & the City – condotta da Florencia Andreola e Azzurra Muzzonigro fondatrici dell’omonima Associazione di promozione sociale – che ha l’obiettivo di decostruire lo spazio urbano milanese contemporaneo attraverso lenti di osservazione specifiche utili a leggere le risposte che la città offre alle esigenze di donne e minoranze di genere.
Il progetto, commissionato da Milano Urban Center (Comune di Milano e Triennale Milano) esamina, attraverso dati, interviste e questionari, la vita delle donne fuori e dentro le mura domestiche facendo emergere necessità specifiche, limiti e ostacoli della città. Risulta evidente, intrecciando studi urbani e di genere, l’urgenza di generare strumenti per pianificare città più attente ai differenti target.
La ricerca, durata due anni e culminata nella stesura dell’Atlante, fornisce uno strumento teorico e pratico per progettare contesti più inclusivi e attenti alle necessità dei molteplici soggetti e dei differenti corpi che abitano lo spazio urbano. Le lenti attraverso le quali Milano è stata osservata sono: la violenza e l’insicurezza nello spazio domestico e nello spazio pubblico, gli usi della città, la sua simbologia, il sex work e la sanità.
In particolare, queste rilevazioni mettono a fuoco la condizione delle donne, sia dal punto di vista della violenza di genere, sia per quanto riguarda i dispositivi di supporto alla vita quotidiana che la città offre. Anche se Milano, da alcuni punti di vista risulta una città virtuosa (anche grazie a un forte sviluppo del terzo settore e forme di mutuo aiuto), restano aperte numerose criticità: i posti disponibili negli asili pubblici, l’accesso ai mezzi di trasporto, le barriere architettoniche, la mancanza di servizi igienici e di spazi pubblici inclusivi, la percezione di insicurezza. Oltre il 50% delle donne intervistate ha infatti dichiarato di sentirsi in pericolo di notte per le strade di Milano.
L’Atlante allarga poi lo sguardo ad alcune “buone pratiche”, già adottate nelle grandi città europee come Vienna, Parigi, Barcellona e Berlino. Queste città, che hanno incluso in maniera strutturata e trasversale la prospettiva di genere all’interno della macchina amministrativa (gender mainstreaming), sono nelle condizioni di sperimentare, attraverso progetti pilota, con una forte regia pubblica, nuovi strumenti di progettazione della città, capaci di ascoltare e interpretare i bisogni non solo delle donne, ma di tutte le persone che la vivono quotidianamente.
La città di prossimità – che sia la Città dei 15 minuti di Anne Hidalgo, o la Città dei 5 minuti di Ada Colau – realizzata anche attraverso gli interventi di urbanistica tattica, va incontro alle esigenze della vita quotidiana delle donne la cui mobilità è fortemente legata alle molteplici responsabilità legate al lavoro di cura, di cui sono le principali fautrici. Ciò non significa che le donne devono restare incatenate nel ruolo di caregiver, ma piuttosto che la cura può diventare motore di un nuovo tipo di socialità, a prescindere dal genere che se ne fa carico.
L’Italia è ancora oggi carente di contributi utili a elaborare una operatività su questo tema. La pianificazione di genere è al massimo citata in qualche convegno ma mai applicata, e le poche pubblicazioni trattano il tema perlopiù in forme ormai superate.
È dunque fondamentale che studiosi e amministratori comincino a osservare le nostre città per comprendere come, in un Paese in cui ancora molte donne non lavorano, l’urbanistica possa contribuire alla reale parità tra i generi.
I servizi previsti nelle città permettono alle donne di liberarsi – almeno in parte – dal peso del lavoro di cura, soprattutto in una società mobile come quella contemporanea, dove il supporto familiare spesso è molto scarso; ma è soprattutto necessaria una mentalità condivisa che consideri le donne e tutto ciò che non è “maschio bianco eterosessuale” al loro pari: le persone in quanto tali, con bisogni differenti, devono essere al centro del pensiero della città.
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