Con il 2022 si conclude il mandato del uscente presidente Sergio Mattarella, dopo 7 anni di servizio. Tutti i giornali ormai ne parlano: il 24 Gennaio inizieranno le votazioni per rieleggere un nuovo presidente, e trovare un sostituto non è poi così tanto semplice come sembra.
Un Mattarella bis pare sia fuori discussione: è stato molto chiaro, soprattutto nel suo discorso di fine anno, facendo intendere che è stanco e che vuole andare in pensione. Quindi è iniziata la corsa ai nuovi candidati e candidate.
Il più famoso, in quanto si è proposto prima di tutti e tutte è proprio Silvio Berlusconi, che inizialmente ha messo d’accordo tutto il centro destra ma che ad oggi pare che sia stata una candidatura ai soli fini di visibilità. Poi c’è Mario Draghi, ma li bisogna andare poi a trovare un ulteriore Primo Ministro tecnico ed un insieme di candidati, di sesso maschile, proposti sia dalla destra che dalla sinistra.
Ma non è forse arrivato il momento di una donna al Quirinale?
E’ questo l’appello alle forze politiche firmato da Dacia Maraini, Edith Bruck, Liliana Cavani, Michela Murgia, Luciana Littizzetto, Silvia Avallone, Melania Mazzucco, Lia Levi, Andrèe Ruth Shammah, Mirella Serri, Stefania Auci, Sabina Guzzanti, Mariolina Coppola, Serena Dandini e Fiorella Mannoia.
“Tra poco sarete chiamati ad eleggere il Presidente della Repubblica, e crediamo sia giunto il momento di dare concretezza a quell’idea di parità di genere, così tanto condivisa e sostenuta dalle forze più democratiche e progressiste del nostro Paese. Vogliamo dirlo con chiarezza: è arrivato il tempo di eleggere una donna” affermano in una nota le note intellettuali e artiste.
E l’appello continua. “Non è questa la sede per fare un elenco di nomi ma molte donne hanno ottenuto stima, fiducia, ammirazione in tanti incarichi pubblici ricevuti, e ci rifiutiamo di pensare che queste donne non abbiano il carisma, le competenze, le capacità e l’autorevolezza per esprimere la più alta forma di rappresentanza e di riconoscimento. Questo è il punto. Non ci sono ragioni accettabili per rimandare ancora questa scelta. Ci rivolgiamo a voi, fate uno scatto. L’elezione di una donna alla Presidenza della Repubblica – conclude l’appello – sarà la nostra, e la vostra, forza”.
Ma di donne candidate al Quirinale sono state numerose ma praticamente tutte con pochissimi voti: dai 4 voti presi dalla giornalista Camilla Cederna nel ’78 ai 256 di Nilde Iotti (1992), l’unica ad aver preso un numero consistente di preferenze. Nel 2015 c’è stata la deputata Luciana Castellina, che è riuscita a prendere solo 37 preferenze.
Nella storia del colle i nomi dei candidati al femminile si contano su un palmo di mano, nonostante la parità di genere è ben incisa negli articoli 3, 37 e 51: “La Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.
Ma in 75 anni di vita della repubblica italiana, sono state solo tre le donne assurte alla terza carica dello stato, la Camera dei deputati: è il 20 giugno 1979 quando viene eletta Nilde Iotti. Un incarico che detenne per quasi 13 anni, attraverso tre legislature, attraversando gli anni del terrorismo, fino al 22 Aprile 1992: il terremoto giudiziario di “mani pulite”. Poi fu la volta di Irene Pivetti (16 aprile 1994), e di Laura Boldrini (16 marzo 2013).
E per il Senato della repubblica? Bisogna attendere il 24 marzo 2018 per avere la prima presidente donna, Maria Elisabetta Alberti Casellati, nata nel 1946: l’anno prima della nascita della Costituzione italiana. C’è voluto tutto l’arco di vita della democrazia repubblicana per avere una seconda carica dello stato al femminile.
Da sempre quindi le donne hanno cercato di rompere il soffitto di cristallo (glass ceiling) nella politica, ma hanno sempre incontrato ostacoli. Forse in questo mandato le cose sono cambiate?
Perché più donne in politica?
Come giustamente hanno scritto nell’appello le artiste, avere un maggior numero di donne in politica rispecchierebbe quella parità di genere non solo richiesta in termini legislativi negli articoli 3, 37 e 51 ma anche e soprattutto culturale. E non solo per questioni puramente meritocratici, ma anche di metodo politico.
Nel dibattito pubblico sulla parità di genere, il tema delle donne in politica è sempre più rilevante, soprattutto in un ambiente nel quale la disuguaglianza di genere è molto maggiore rispetto agli altri ambiti.
La rappresentanza femminile è certamente aumentata in Italia, sia in Parlamento, sia nel governo che nelle amministrazioni comunali, ma difficilmente le donne ottengono ruoli di leadership.
Se si guardano i numeri appare infatti evidente che la parità di genere non è stata ancora raggiunta, nonostante le azioni per promuovere una democrazia paritaria: in 70 anni di Repubblica, quelle permanenti presiedute da una donna sono state 30 (su un totale di 450), di cui 8 (su 28) nell’attuale legislatura, 3 al Senato e 5 alla Camera.
Disuguaglianze ancora più notevoli si possono riscontrare nelle amministrazioni comunali e regionali: anche se la rappresentanza locale è sempre più inclusiva, secondo il rapporto del Senato sulla parità di genere, meno del 15 per cento dei sindaci sono donne.
Sono diversi infatti gli ostacoli da superare nel processo politico di selezione ed elezione, ma che si possono ricondurre a due principali: la scarsità di figure di modello a cui ispirarsi, che può portare ad uno scoraggiamento delle donne nell’interessarsi alla politica, basse aspettative di successo, disincentivando la partecipazione creando così un vero e proprio circolo vizioso e la concreta mancanza di tempo da dedicare all’attività politica poiché maggiormente impegnate (se non totalmente) al lavoro di cura domestica e/o famigliare, o alla propria occupazione lavorativa.
Questi ostacoli, se ben analizzati, riconducono al reale problema, ovvero l’esistenza di un sistema sociale che alimenta disuguaglianze con meccanismi di esclusione.
“Una donna”a caso.
Quante volte vi è capitato di leggere titoli “una donna vince il Nobel”, “una donna al capo della polizia” senza il nome della suddetta? Perché a fare notizia è il genere della persona in questione e non il suo merito.
Scrissi un articolo a riguardo, e la stessa Murgia ci fece un discorso a riguardo, di cui ve ne riporto una parte:
“Quando è un uomo, ad esempio, a vincere un premio, ha vinto lui. Quando invece vince una donna, vince la sua femminilità. Quindi, seguendo questa logica, scrivere il suo nome e cognome non serve, perché bsta indicare il genere, scrivendo quindi solo “una donna”.
La conseguenza più grave di questo fenomeno è la perpetuazione dell’invisibilizzazione della donna in eventi e contesti importanti, quali convegni, programmi televisivi, festival, proprio perché a nessuno viene mai in mente un nome di donna da invitare. Se un nome di una persona non viene letta, sentita o scritta è più difficile, logicamente, ricordarsi di quel nome e automaticamente ricordarsi di quella persona.
Al contrario, può capitare che al posto suo poteva essercene un’altra purché uteromunita. Ma in quel caso quella donna è lì in quanto donna, quindi a causa del suo sesso e non per il suo merito.
La differenza sostanziale è quindi grande: non può più fare notizia il fatto che “una donna” abbia fatto cose, come se la cosa fosse eccezionale. Raccontare i traguardi di una donna come una costante eccezione, ha soltanto un effetto: confermare la regola!
Il significato che passa non è “quella donna ha raggiunto un traguardo” ma è “ha conseguito quel traguardo perché è una donna”, quindi se tu cancelli il nome della persona, trasformi il suo sesso nell’unica notizia.”
Seguendo questa logica, quindi, il pericolo è dietro l’angolo: il volere una donna al Quirinale, a tutti i costi, non da tutt* viene visto come un passo verso il raggiungimento della parità di genere, anzi: rischia di seguire lo stesso meccanismo del pinkwashing, un azione di sessismo benevolo, poiché si inseriscono persone di sesso femminile all’interno dei luoghi di potere in quanto solo ed esclusivamente di sesso femminile, e non per le sue me
Non basta dunque avere più donne in politica.
Ci vorrebbero più femministe in politica.