Nei primi mesi dell’anno, sui canali social della famiglia dell’associazione NICHE, ossia BL Magazine, Dr. Rainbow e Bearslicious, abbiamo invitato i nostri lettori ad aderire, come campione statistico, all’indagine on-line “Gli anni che passano“, promossa dall’associazione Arcigay in collaborazione con il partner Arci Pesca FISA, nell’ambito del progetto “Silver Rainbow“, dedicato all’invecchiamento e alla vecchiaia delle persone LGBTI+. Il Progetto gode del finanziamento del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
Obiettivo di “Gli anni che passano” è stato quello di tracciare un quadro generale della situazione lgbti+ italiana riguardo a visibilità, appartenenza e partecipazione, salute e benessere, discriminazioni, vissuto rispetto all’invecchiamento (non solo parlando di condizioni di vita delle persone di terza e quarta età ma anche della percezione dello stesso sui giovani), con un focus particolare su quello che oggi viene inteso come “co-housing“.
Nei giorni precedenti sono stati resi noti i risultati del sondaggio sviluppati dal dott. Raffaele Lelleri, autore del questionario e responsabile dello studio scientifico. Al questionario, che ha coinvolto un campione di circa tremila volontari, si sono sottoposti siai omosessuali (77%) di tutte le età che eterosessuali (23%), questo per consentire una migliore interpretazione dei dati intergenerazionali della comunità lgbt rispetto a quella corrispondente eterosessuale.
Persone adulte e anziane
I risultati delle domande sulla visibilità lgbti+ verso famigliari, amici e lavoro mostrano come, con l’avanzare dell’età, aumenti anche la visibilità degli omosessuali nella società.
Se fino a 29 anni meno della metà dei soggetti intervistati (il 46,3%) afferma di essere visibile con “tutti o quasi tutti” i famigliari, la percentuale sale progressivamente fino al 66,7% negli individui oltre i 65 anni. Il 15% dei più giovani vive il proprio orientamento sessuale di nascosto o con poche selezionate persone, mentre lo stesso dato scende sotto il 10% per gli ultra50.
Il medesimo trend si registra nell’ambiente lavorativo: il 42% dei soggetti al di sotto dei 29 anni ha fatto coming out al lavoro e/o con i compagni di studio, mentre la stessa percentuale supera il 50% oltre i 50 anni. Tuttavia, questo ambito risulta essere quello più difficile in maniera trasversale.
L’unico dato più o meno stabile è quello che riguarda le relazioni d’amicizia: oltre l’80% del campione di ogni fascia d’età è visibile con tutti gli amici o con più della metà.
Salute e benessere
Salute fisica e salute psicologica: è curioso come, mentre la percezione della propria salute fisica decresca con l’aumentare dell’età (da una media di 7,5 degli individui sotto i 29 anni al 6,8 degli ultra65), la propria condizione psicologica e mentale migliora con il crescere dell’età anagrafica: da una media del 6,1 di chi è sotto ai 29 anni si passa al 7,5 dei 65+.
Gli stessi giovanissimi sono più propensi a depressione e suicidio, e il 26% degli lgbti con meno di 29 anni ha avuto pensieri suicidi almeno una volta nell’ultimo anno (mentre il 48% ha sofferto di depressione).
Le percentuali, orientativamente, si dimezzano per gli individui eterosessuali.
Quella che si denota è una correlazione inversa tra visibilità in quanto persona LGBTI+ e tendenze depressive. La visibilità attuale non fa invece la differenza per quanto riguarda i pensieri suicidi più datati.
Discriminazione
Gli episodi più recenti di discriminazione per motivi personali sono un’esperienza di minoranza e condivisa tra persone LGBTI+ ed eterosessuali.
Gli individui maggiormente esposti, in tutti i sotto-campioni, sono i più giovani: negli ultimi 12 mesi sono quelli inferiori a 29 anni che registrano il tasso più alto di discriminazioni dovute a caratteristiche personali (tra cui orientamento sessuale), con il 37%. La percentuale scende al 10 per i più anziani.
Il dato “oltre 12 mesi” offre però un’impennata del dato sulle discriminazioni per adulti e anziani: ciò denota che questi individui sono stati vittima di discriminazione quando erano più giovani (a conferma del primo dato).
Vecchiaia e co-housing
A fronte di una disponibilità attuale delle reti di aiuto di 4/10 per le persone LGBT, all’aumentare dell’età diminuisce il contare sulla famiglia di origine. Per le persone eterosessuali la disponibilità delle “reti di aiuto“, ossia delle persone a sé vicine su cui fare affidamento, è di oltre 5/10. Si può ragionevolmente supporre che a fare le la differenza siano soprattutto i figli per i componenti “della famiglia tradizionale” e le amicizie.
Tutti gli indicatori, infatti, registrano una maggiore preoccupazione dei soggetti lgbt ad invecchiare, più diffusa rispetto ai coetanei eterosessuali: il 58% per gli lgbt e il 48% per gli etero hanno risposto di avere molta/abbastanza paura.
Analizzando questo dato, risultano essere piuttosto ininfluenti la macro area geografica di appartenenza, mentre sembra essere determinante la dimensione urbana in entrambi i sotto-campioni: i rispondenti che abitano nelle metropoli sono più preoccupati di quelli che abitano nei centri più piccoli; questo differenziale è più grande tra le persone eterosessuali rispetto che tra le persone LGBTI+.
Cosa può significare? La metropoli consente agli omosessuali una maggiore socialità potenziale rispetto agli eterosessuali, che invece preferiscono realtà più contenute per la loro vecchiaia.
Una soluzione a questo problema potrebbe nascere proprio dal co-housing, ossia strutture dove convivono diversi nuclei familiari, composte sia da spazi privati che da spazi e servizi destinati all’uso collettivo e condiviso (cucina, lavanderia, portierato).
L’idea di coabitazione nella terza età negli spazi di co-housing alletta circa l’80% degli intervistati lgbt e il 77% degli eterosessuali. L’andamento dei due poli è ‘a campana’, cioè speculare: quello del gradimento, aumenta fino ai 50 anni, dove raggiunge il suo apice, per poi diminuire. Se ai giovani piace relativamente meno che agli adulti, agli anziani piace meno di tutti. Evidenza confermata sia tra i rispondenti LGBTI+ che tra quelli eterosessuali.
Ad avere una maggiore convinzione della bontà del co-housing sono coloro che non hanno figli e le persone più visibili in quanto LGBTI+.
Vi invitiamo a scaricare i report completi a questo link.