Vediamo un po’. “E questo è il fiore del partigiano, morto per la libertà” Ce la ricordiamo un po’ tutti. È “Bella Ciao”, colonna sonora del furto più famoso dello streaming. Vero. Tristemente vero aggiungerei. Da Netflix in poi, i primi flash con cui assoceremo queste note saranno una tuta rossa e una maschera di Dalì. Effetto di non so quale cortocircuito sociale malriuscito.
L’inno della nostra resistenza, l’outfit del proletariato industriale e l’icona del surrealismo moderno, fantasiosamente accostati in un fenomeno di costume, ad altissimo audience mediatico. Rinuncio all’analisi di come ciò sia successo. Però è successo.
Il problema, o semplicemente la realtà, è che ci stiamo evolvendo. Che il ricordo sbiadisce. I nonni si spengono. I genitori si dimenticano. I bambini non lo sanno. Forse lo studieranno. O forse no. Intanto, mentre aspettiamo che la scuola lo insegni davvero, andiamo avanti così. Coniugati al futuro semplice e non al passato remoto. Però c’è poco da stupirsi. È questo l’andazzo, da Federico II a Conte, passando per SPQR, i Borboni e la culla del Rinascimento. Se i popoli sapessero imparare dal passato, i libri di storia sarebbero le più belle pagine di civiltà mai scritte.
Torniamo a noi. 2020. Ormai ci siamo e ce lo teniamo così com’è. Frivolo, patinato e decisamente ancora acerbo. Il 25 aprile è la giornata in cui l’Italia celebra sé stessa e “Bella Ciao” è la sua bandiera. Raccontare le vicende storiche di un lontanissimo ‘45, sarebbe un autogol. Nessuno arriverebbe a metà articolo e stavolta più che mai vale la pena leggerlo fino alla fine. Quindi assegniamo un sei politico a tutti e diamo per buono che l’epilogo della Seconda Guerra Mondiale sia un passaggio noto.
BL magazine ha scelto di dedicare l’editoriale di oggi alla memoria di 75 anni fa. Io ho scelto di scriverlo con la dolcezza di una chiacchierata in famiglia. Se tutti avessimo ancora i nonni, a tavola oggi non si parlerebbe di Covid, gossip o pizze a lunga lievitazione. E nemmeno di Badoglio e degli americani. Si parlerebbe della gente. Degli aneddoti della guerra. Delle polente scure che si facevano con la farina grezza perché quella raffinata non esisteva. Degli amori che nascevano sottecchi e che non si potevano vivere. Delle serate davanti al camino perché non c’era altro. Ecco. Questo è il nostro omaggio alla Liberazione d’Italia. Una chiacchierata con i nonni. E siccome in giro ce ne sono pochissimi, ne ho scelto uno per tutti. Una donna. Crocerossina. Una signora con tanto da raccontare e che per oggi sarà la nonna amorevole di tutti quelli che leggeranno queste righe.
Santina Teti. Crocerossina e nonna d’Italia
Grazie per averci rilasciato l’intervista
Oddijè, per così poco?” Santina è abruzzese, ogni tanto le scappa una parola in lingua abruzzese.
Non è poco, suo marito rappresenta un caso unico in Italia…
Mio marito era eccezionale e non perché era mio marito”
Ci sta.
Da dove devo cominciare?
25 aprile, il primo aneddoto che Le viene in mente?
“Sì ma togli questo Lei, pe’la Majell”. Riformulo ridendo.
Un ricordo per quel giorno?
La jeep! Quella che guidava mio marito. Aveva 16 anni. Con il fucile addosso. Un ragazzino. Mi raccontava che una volta gli dissero di portare le munizioni in un campo vicino, lui salì in macchina e mise in moto. Poi fu richiamato per seguire un gruppo a piedi e fu sostituito da un compagno più grande. Quella jeep saltò in aria per una mina sulla strada. Doveva esserci lui. La morte si scansava per caso. E non potevi fare niente. Semplicemente la sera si contavano i presenti e si ringraziava di esserci ancora
Che cosa c’era nel cuore?
Gli ideali. Loro erano convinti di poter fare qualcosa. Erano partiti così, chi dalla campagna, chi da qualche paesino vuoto, chi dalle case con troppi figli. Ci credevano. Mio marito si unì al gruppo senza dire nulla ai genitori. Doveva andare. E andò.
Dove andò?
Partì da Casoli (provincia di Chieti, ndr) ed arrivò fino a Bologna!
Con la jeep?
No, le macchine erano per le emergenze. A piedi, con la neve, per le montagne.
Giusto per cronaca, nel 1943, a luglio, Mussolini viene destituito, arrestato per l’esattezza. Cade il fascismo italiano, resta quello tedesco. Arriva settembre. Badoglio, succeduto al Duce, si arrende agli alleati anglofoni. Cambiamo colore nello scacchiere mentre i nostri pedoni sono ancora mescolati tra cavalli e alfieri di Hitler. Avevamo il nemico in casa. Gli americani sbarcano sulla penisola per aiutarci ma… dalla Sicilia. E per salire ci mettono un po’, circa 2 anni. Il popolo deve sopravvivere. Inizia la resistenza. Nascono i partigiani. Bande, squadre, brigate, gruppi smistati su tutto il territorio nazionale. Uomini normali. Non sanno nulla di strategie ma non c’è altro da fare. È l’amore umano che li guida. Quello fraterno. Quello laico. Quello che c’è per il solo fatto di parlare la stessa lingua. Si impegnano per 20 mesi nella difesa delle città e delle famiglie. Vivono sulle montagne. Tra sentieri e cunicoli che il nemico non può conoscere. Si arrangiano. Se la paura paralizza la vita, la speranza rafforza l’unione. #uniticelfaremo. Vi suona familiare?
Il marito di Santina era un partigiano. Tra tanti, però, uno speciale.
GIOVANNI TETI, il Partigiano medagliato.
È successo una sola volta nella storia d’Italia. Tra quei 37mila partigiani che hanno combattuto, ad un gruppo ristretto è stata assegnata la Medaglia al Valor Militare. Che a guerra finita, lo Stato Italiano si sia ricordato di loro e li abbia decorati con lo stesso fregio dedicato ai grandi onori della bandiera, è, come dice Santina, un fatto veramente eccezionale. Cominciarono in pochi. Conquistarono la fiducia della gente. Crebbero di numero. Acquisirono carisma. Usavano le armi non solo per difesa ma per scendere in campo come fossero veri soldati. Al posto della divisa, un bavero al collo. Una parte dell’Italia l’hanno liberata loro. Apoliticamente. Erano abruzzesi. Si nascondevano tra le rocce della montagna madre. Si chiamavano Brigata Majella, e Giovanni era uno di loro..
Che cosa sperava Giovanni?
Di poter dormire la notte. Per due anni non ha mai dormito, solo riposato. Nei rifugi di montagna, sul terreno, sempre pronto a scappare o attaccare.
E ti pensava?
Non mi conosceva ancora. Però c’era qualche ragazza che gli piaceva. Ma che doveva succedere? L’amore era semplice, batteva il cuore ma finiva lì.
Si sognava di abbracciarsi, quando tutto sarebbe finito?
No fijà mè, si sognava di essere vivi.
Questo articolo non entra nella politica di fazione, trascrive un po’ di ricordi, anzi, li fa raccontare. Ricordi che stanno dietro “Bella Ciao”. Memoria musicale di chi resisteva, nascosto tra le montagne. Montagne che sanno di storia. Storia di donne e di uomini. Uomini spinti dalla speranza. Speranza di non rivivere i ricordi. Ricordi di una guerra di sangue. Sangue italiano. Italiano senza divisa.
Buon 25 aprile a tutti. La carezza a nonna Santina la faccio io, a nome di tutti i nipoti d’Italia.