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Compagni (di sinistra), siate femministi!

- 19/01/2020


Premessa: mi rendo conto che mi trovo in un’epoca in cui non piace più dire che si è di “destra” o di “sinistra” e va tanto di moda la parola “post ideologico”. Ma le due ideologie di base esistono e continueranno ad esistere all’interno dei collettivi, nei movimenti, in qualche piccolo partito e nei centri sociali. In questo articolo farò riferimento a questi ambienti.

Quante volte vi è capitato di sentire della battute sessiste da parte di attivist* di movimenti e/o collettivi politici di sinistra e/o da compagn* di partito?

Non so voi, ma io (e molte altre compagne) le abbiamo sentite tantissime volte e la cosa mi sconcerta.

Certo, mi sconcertano la maggior parte delle battute sessiste, dalle donne soprattutto.

Ma ancora di più non riesco a capire come una persona che dovrebbe avere una certa sensibilità alla discriminazione ed alla disuguaglianza (e quindi con un certo livello di consapevolezza) non si faccia problemi a fare certe battute. O, per lo meno, che non abbia una certa cultura femminista.

Anche solo un minimo.

Per me è politicamente ed eticamente ancora più inaccettabile.

E’ vero che per essere femminista non serve essere di sinistra. Ma se dici di essere di sinistra devi essere, a mio avviso, anche femminista.

Perchè se sei di sinistra non puoi non essere femminista?

Se sei di sinistra ti sta a cuore il raggiungimento dei diritti civili ed umani di tutt*. Non parlo banalmente dell’integrazione del più “debole” consentendogli quindi di avere una vita dignitosa, ma anche di ri-descrivere la loro condizione, facendolo scoprire più “forte” di quello che i poteri dominanti, i privilegiati, gli lasciano immaginare.

Il femminismo, soprattutto quello della quarta ondata che è quella attuale, ha un metodo intersezionale che mette l’accento sul privilegio che ogni persona ha e che quindi dovrebbe mettere a servizio per la lotta di acquisizione di diritti per chi quel privilegio non ce l’ha. Ad esempio:

  • Un uomo etero ha il privilegio di non essere vittima di omofobia, quindi può mettere a servizio questo suo privilegio per combattere per i diritti lgbtqi+.
  • Io sono una donna bianca, non subisco discriminazione a causa del colore della mia pelle, è dunque mia responsabilità lottare per i diritti delle persone di colore ecc.

Questa intersezionalità del femminismo è un arma molto potente poiché rende la voce di chi lotta molto più autorevole: non soltanto perché siamo di più numericamente, ma perché il fatto che nella lotta ci siano persone a cui tale discriminazione non viene toccata loro la rende più potente e … credibile.

E’ impensabile infatti al giorno d’oggi combattere per se stessi e per le proprie discriminazioni o ingiustizie senza pensare che c’è qualcuno che ne subisce molte più di noi. E’ ovvio che ogni ingiustizia deve essere combattuta, ma non possiamo dimenticare del privilegio che ognuno di noi può avere (soprattutto rispetto ad un altro).

La discriminazione di genere è una piaga sociale che colpisce più o meno tutto il mondo. Non si può negare che esiste. E’ ovunque. Quanto sarebbe più semplice se tra le donne, che sono vittime dirette di tale discriminazione, ci fossero anche uomini? Quanto saremmo più ascoltate se tra di noi ci fossero anche “ i non diretti interessati” (anche se, in fondo, la lotta femminista riguarda tutt*) ?

Perché dunque un uomo, un “compagno” in particolar modo, proprio perché dovrebbe avere una maggiore sensibilità alla disuguaglianza, non si unisce alla lotta insieme alle femministe? O meglio, perché i compagni non sono quindi femministi, movimento che ha come obiettivo finale la parità di una delle tante discriminanti nella società, cioè del genere?

Qualsiasi uomo dovrebbe esserlo, ma se un uomo dice di essere di sinistra, e quindi che dice di combattere per i diritti di tutt*, come fa a non supportare ancora di più questa battaglia?

In realtà in moltissimi manifesti o programmi di partiti/movimenti di sinistra c’è come obiettivo la parità di genere. E’ fisiologico, in effetti. Quindi dove si trova il “gap”?

Che ci troviamo in una società in cui il patriarcato ci sommerge fino ai capelli è scontato, ma lo ripeterò fino allo sfinimento. I compagni uomini, anche se “vantano” una certa sensibilità, non riesco ad ammettere il loro privilegio, spesso non lo vedono o non lo vogliono vedere. Ciò comporta il pensiero che ci siano delle lotte “più urgenti” rispetto a quella femminista.

La lotta di classe, ad esempio, è nelle priorità nei partiti/ movimenti di sinistra. Ci vogliono far credere che quando ci sarà la fine della lotta di classe avverrà quella femminista. Ma tale lotta non finirà presto e la situazione attuale ce lo dimostra. Non sarebbe quindi più logico che la politica si occupi di nuovo di più fronti? (Anche se, in effetti tutte le lotte sono inevitabilmente collegate tra di loro. Combattere il patriarcato è, di fatto, combattere anche il capitalismo che premia il privilegiato.)

Questo atteggiamento di procrastinazione della lotta femminista deriva anche da un retaggio politico e culturale passato. Sin dagli anni 60 le compagne all’interno del partito hanno sempre avuto la semplice funzione di supporto e mai di vera leadership (se non di facciata). Tant’è infatti che molte donne hanno dovuto esercitare una “doppia militanza” tra il movimento femminista e il partito (comunista).

E dopo tutto questo tempo, quasi 50 anni, davvero non siamo riuscite a trovare una strada unica, in cui si possa unire le (poche) forze che si hanno?

Non basta più far candidare delle donne solo per far vedere che si è a favore della gender equality. Non basta più scrivere “femminismo” nei punti programmatici, quando poi durate le riunioni c’è sempre una donna a scrivere il verbale, si fanno battute maschiliste, tra fragorose risate di tutti e tutte e si fa la gara a chi fa più minchiarimenti (mansplaining) alle compagne.

Vediamo uomini che utilizzano i contesti politici per autoaffermarsi e per prevalere sull’altro, per sentirsi forti e al vertice di una gerarchia. Un modo di pensare che non è solo fascista (e quindi, scusate se sono lapalissiana, molto poco di sinistra…) ma fortemente patriarcale.

Insomma, ne abbiamo abbastanza, compagni!

Il privato è politico: basta essere femministi a parole, siatelo nei fatti e quindi anche nel privato.

Basta a dirci si con la testa con il solo scopo di farci stare zitte e poi ci chiedete di stare dietro le quinte a farvi la campagna elettorale.

Basta a far finta di non essere in una società patriarcale.

Siete contro il privilegio del “padrone” ma vi dimenticate del vostro più grande privilegio: quello di essere uomo, spesso bianco, spesso etero.

Usate il vostro privilegio anche per la nostra lotta… esattamente come fate per le altre lotte.

Quindi, compagni: siate femministi!

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Classe 1990, Pescarese di adozione. Attivista transfemminista e co-fondatrice del Collettivo Zona Fucsia, si occupa da sempre di divulgazione femminista. È speaker radiofonica e autrice in Radio Città Pescara del circuito di Radio Popolare con il suo talk sulla politica e attualità "Stand Up! Voci di resistenza". Collabora nella Redazione Abruzzo di Pressenza. È infine libraia presso la libreria indipendente Primo Moroni di Pescara e operatrice socio-culturale di Arci.

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