Circa un anno fa, il 2 maggio 2019, è stata presentata all’Assemblea Mondiale della Sanità una risoluzione per rimuovere la disforia di genere dalla lista dei “disordini mentali” nell’undicesima versione dell’International Statistical Classification of Diseases, la lista che elenca tutte le patologie e le condizioni di salute fino ad oggi elaborate e riconosciute dalla medicina.
La nuova catalogazione, che sarà in vigore dal 1 gennaio 2022, prevede che la sia trasferita in una voce di nuova creazione, “condizioni di salute sessuale” (dove si potranno dare spazio a condizioni legate alla salute sessuale non necessariamente assimilabili alle voci delle patologie previste nell’ICD), perché possano essere garantiti ai soggetti trans* l’accesso a trattamenti sanitari e cure mediche come le terapie ormonali, e i percorsi di sostegno psicologico necessari per fronteggiare al meglio la transizione.
Questo percorso di depsicopatologizzazione della transessualità, che finalmente certifica l’estraneità della condizione di disforia di genere dai disturbi mentali, agevolerà il percorso di transizione legale delle persone transgender superando, di fatto, problemi legati a diagnosi di disturbo mentale.
Un passo in avanti per la lotta allo stigma e alla discriminazione, ricondotta in parte a sistemi medici ormai desueti che hanno storicamente definito espressioni della non conformità di genere come patologia mentale.
Sindaci transgender, la Francia segue l’Italia
Sempre un anno fa, il 28 maggio a Tromello (PV) Gianmarco Negri diventava il primo sindaco transgender d’Italia. Nato Maria, e oggi brillante avvocato, Gianmarco ricopre il ruolo di primo cittadino nel comune pavese che un anno fa lo ha fortemente voluto a capo di una lista civica, battendo la corazzata della Lega che in quel periodo usciva trionfale dalle elezioni europee.
Un esempio di come, anche in una piccola realtà, i pregiudizi si siano piegati ad una visione politica e ad una progettualità condivisa da una popolazione che ad un certo punto non ha più visto in Negri un “candidato transgender”, ma più comunemente il “proprio candidato“, interprete di un sentimento popolare comune.
Ad un anno dall’elezione di Gianmarco anche la Francia può vantare l’elezione di una sindaca transgender, in uno scenario molto simile a quello di Tromello. Nel nord del paese, a Tilloy-lez-Marchiennes, un piccolo comune di 550 abitanti nella regione dell’Alta Francia, Marie Cau è stata eletta alla guida di un comune francese. Marie è un ingegnere, difende lo sviluppo sostenibile e l’economia locale, ed è “completamente donna da circa cinque anni“, dopo aver attraversato una transizione “graduale” di quindici anni.
La Cau non ha ancora cambiato il suo stato civile, ma intende farlo presto “per evitare la burocrazia“. Marie, come si fa ormai chiamare da due anni, è il suo terzo nome all’anagrafe.
“La gente non mi ha eletto perché ero transgender, hanno eletto un programma. Questo è interessante: quando le cose diventano normali, nessuno ti incolpa per quello che sei“. ha dichiarato subito dopo l’elezione
Arcilesbica: “Il soggetto del femminismo non sono gli uomini che si sentono donne”
Se da un lato la popolazione di un piccolo paese si affida ad una donna transgender per la sua valenza politica, in Italia il collettivo Arcilesbica Nazionale, composto da femministe radicali, intende rimettere in discussione i risultati di un attivismo inclusivo che, dopo anni, continua a combattere lo stigma e il cis-spaining ai danni delle donne transgender.
Il collettivo Arcilesbica si è fatto promotore, sulla propria bacheca, di una serie di messaggi tratti dalla Declaration on Women’s Sex-Based Rights, dalla natura piuttosto controversa.
Negli stralci della dichiarazione Arcilesbica si pone in maniera critica rispetto al concetto di identità di genere riaffermando il diritto (o piuttosto il “dovere”) di appartenenza al sesso biologico, liquidando le donne transessuali come “uomini che si sentono donne”, in ottica escludente rispetto al “soggetto del femminismo”.
“La sostituzione del concetto di sesso con quello di “identità di genere” conduce a raccolte di dati scorrette e fuorvianti sulle donne in tema di violenza, accesso al lavoro, parità di stipendio, partecipazione politica, accesso ai fondi statali” si afferma in un’altra diapositiva, sostenendo quindi che le donne transgender altererebbero le statistiche sul gender gap in quanto meno discriminate delle donne cisgender. Al contrario, la raccolta dei dati inerenti alle donne dovrebbe includere gli uomini transgender.
In queste riflessioni, lontanissime dalle concezioni di intersezionalità e inclusività che ci stanno a cuore, è chiaro come il concetto di identità di genere, riconosciuto dalla comunità scientifica sin dagli anni settanta e alla base di cui sono state elaborate le legislazioni in tema di transgenderismo più avanzate del pianeta come quella argentina, secondo Arcilesbica sarebbe una menzogna della lobby trans-attivista.
Inoltre, pericolose dichiarazioni come “riaffermiamo il diritto delle lesbiche a definirsi e a riunirsi in base al sesso e non alla “identità di genere“, se prese sul serio, condurrebbero a conseguenze altamente discriminatorie nei confronti delle donne transgender lesbiche, rimettendo in discussione concetti già notoriamente acquisiti dalla psicologia come la differenza tra sesso biologico, orientamento sessuale, identità e ruolo di di genere.
Le attiviste TERF (Trans-Exclusionary Radical Feminism) continuano, nel 2020, a definire binariamente l’identità di un essere umano praticando transmisoginia e adottando in negativo un privilegio cisgender che è casuale, e non meritorio, dannoso e del tutto parallelo alla transfobia di matrice misogina ereditata dal patriarcato. Tutto questo è inaccettabile per l’intera comunità lgbt+ nel duro percorso di acquisizione di pari diritti che continua, e che da Stonewall ha dato ragione ad un sistema dove l’associazionismo, e non la prerogativa escludente del singolo, ha cementato il senso di appartenenza ad una lotta senza sconti per l’eguale dignità di tutt*.
Immediata la risposta della Rete Donna Transfemminista di Arcigay a ogni singola dichiarazione rilasciata da Arcilesbica: “Le organizzazioni che negano i diritti delle donne trans* sulla base della loro identità di genere, chiedono emarginazione ed esclusione sociale in nome di un dannoso e arbitrario biologismo“, aggiungendo che “la reiterata ossessione per il concetto di “sesso” e la conseguente negazione del concetto di identità di genere ostacolano lo sviluppo di leggi e strategie efficaci per il progresso di tutte le donne“.