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Finalmente “una donna”! E magari un giorno ci diranno anche il suo nome.

- 18/10/2020


Quante volte vi è capitato di leggere titoli di giornali come “Premio vinto da due donne” oppure “Eletto sindaco donna nella città PincoPallo”. Basta anche solo mettere su google le parole “una donna” e nella sezione notizie troverete titoli di questo tipo.

Ad oggi, 18 Ottobre, sto leggendo: “Accademia Militare, per la prima volta una donna è la più meritevole degli allievi”. E ancora: “Il video dello squalo insieme ad una donna” e così via.

Con la vittoria del premio Nobel per la chimica della francese Emmanuelle Charpentier e dell’americana Jennifer A. Doudna si è affrontata sui social una delle conseguenze del linguaggio sessista: l’utilizzo della locuzione “una donna” per indicare una persona che è sì di genere femminile, ma senza indicare nome e cognome di quella persona, spersonalizzandola.

Utilizzando questa “perifrasi” nei titoli di giornale si fa intendere che sia il genere di quella persona la notizia e non quello che ha effettivamente fatto o detto, come se possa essere qualcosa di eccezionale il fatto che “una donna” possa “fare cose”.

Michela Murgia, divina, ha creato una serie di stories su Instagram in cui ha spiegato, in maniera impeccabile, perché questo fenomeno de “una donna” sia profondamente sessista. Vi riporto il contenuto qui, per chi se lo fosse perso.

Perché utilizzare nei titoli “una donna” senza fare il nome e cognome è sessista?

Quando è un uomo, ad esempio, a vincere un premio, ha vinto lui. Quando invece vince una donna, vince la sua femminilità. Quindi, seguendo questa logica, scrivere il suo nome e cognome non serve, perché bsta indicare il genere, scrivendo quindi solo “una donna”.

La conseguenza più grave di questo fenomeno è la perpetuazione dell’invisibilizzazione della donna in eventi e contesti importanti, quali convegni, programmi televisivi, festival, proprio perché a nessuno viene mai in mente un nome di donna da invitare. Se un nome di una persona non viene letta, sentita o scritta è più difficile, logicamente, ricordarsi di quel nome e automaticamente ricordarsi di quella persona.

Al contrario, può capitare che al posto suo poteva essercene un’altra purché uteromunita. Ma in quel caso quella donna è lì in quanto donna, quindi a causa del suo sesso e non per il suo merito.

La differenza sostanziale è quindi grande: non può più fare notizia il fatto che “una donna” abbia fatto cose, come se la cosa fosse eccezionale. Raccontare i traguardi di una donna come una costante eccezione, ha soltanto un effetto: confermare la regola!

Il significato che passa non è “quella donna ha raggiunto un traguardo” ma è “ha conseguito quel traguardo perché è una donna”, quindi se tu cancelli il nome della persona, trasformi il suo sesso nell’unica notizia.

Ma le notizie seguono una gerarchia, quindi non a tutte le donne capita la spersonalizzazione nei titoli di giornali: infatti, se fosse stata eletta Hillary Clinton come presidente degli Stati Uniti, la prima notizia sarebbe stata il suo nome e il fatto che sia una donna una semplice notazione aggiuntiva.

E’ scontato dire che se, ad esempio, a quella carica è stata eletta per la prima volta una donna è una notizia. Ma se il tuo sesso conta più di te, è sessismo. La stessa cosa vale per il colore della tua pelle e della tua nazionalità: qualora contassero più della persona di per se, è razzismo. Quante volte infatti leggiamo notizie in cui si connota subito la nazionalità del soggetto interessato? Anche quello è un modo errato e ingiusto di comunicare una notizia.

Infatti, riprendendo l’esempio del presidente degli Stati Uniti, se avesse vinto Obama alle presidenziali un conto sarebbe stato scrivere “Obama è stato eletto presidente USA” e un conto invece è scrivere “Un afrodiscendente alla presidenza degli Stati Uniti”.

Quindi scrivere “Una donna alla direzione dell’Osservatorio Romano” è un modo sessista di dare la notizia. Scrivere invece “Maria Rossi va alla direzione dell’Osservatore Romano. E’ la prima donna in 130 anni” è un modo corretto di dare la notizia.

Che magari poi, questa Maria Rossi, verrà ricordata e magari invitata in uno di quei festival dove di solito ci sono solo uomini.

In Francia hanno addirittura creato la pagina wikipedia sulla voce “una donna”, un modo ironico per indicare come questa pratica di spersonalizzazione sia stupida e sessista.

La voce inizia proprio così:

Una donna è una giornalista , leader aziendale , chimica , diplomatica , economista , vescova , rabbino , imam , fisica , atleta di punta , direttrice sportiva, pilota di caccia , birraia , lavoratrice , autrice di fumetti , calciatrice , direttrice di Orchestra e politico lituano e francese ,Belga , britannico , namibiano , senegalese , sudcoreano , iraniano , giapponese , etiope , svizzera , americana , australiana , marocchina , tedesca , svedese , israeliana , greca , gabonese e olandese . La sua attività scientifica le è valsa cinque premi Nobel [rilevanza contestata] in chimica, ma solo una Medaglia Fields . È anche la migliore lavoratrice in Francia.

La data di nascita di una donna non è nota con certezza. Sua madre, anche lei donna, vinse il Prix ​​de Rome nel 1911.”

La nascita di “una donna”.

Consigliata la lettura di tutta la pagina.

E’ chiaro quindi che il cammino verso un giornalismo senza stereotipi, improntata sulla parità di genere è ancora lunga e tortuosa. Ma è e sarà fondamentale il lavoro de* attivist* e de* giornalist* segnalare, sollevare questioni e far presente che una comunicazione giusta e inclusiva esiste.

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Classe 1990, Pescarese di adozione. Attivista transfemminista e co-fondatrice del Collettivo Zona Fucsia, si occupa da sempre di divulgazione femminista. È speaker radiofonica e autrice in Radio Città Pescara del circuito di Radio Popolare con il suo talk sulla politica e attualità "Stand Up! Voci di resistenza". Collabora nella Redazione Abruzzo di Pressenza. È infine libraia presso la libreria indipendente Primo Moroni di Pescara e operatrice socio-culturale di Arci.

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