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Giornata contro la violenza sulle donne: storie vere di patriarcato.

- 25/11/2020


Oggi è il 25 Novembre, la Giornata Internazionale Contro la Violenza sulle Donne e come al solito tutte le associazioni, i giornali, TV e radio iniziano a parlare del fenomeno, dei diritti delle donne, di femminismo e così via. Peccato che la prossima settimana si continuerà a parlare di tutt’altro, ma sempre meglio di niente, non sono qui per lamentarmi.

Questa giornata è significativa e prima della storia di Marte, un* attivist* di NUDM Marche, che ha voluto condividere con me la sua storia di violenza, bisogna fare un paio di riflessioni, maturate in questi giorni di assemblee, incontri online, interviste fatte e comunicati stampa.

Prima di tutto vi voglio ricordare che oggi non è né la giornata contro la violenza in generale né la giornata della pace: oggi si ricorda quel fenomeno sistemico e sistematico, frutto e conseguenza del patriarcato, che è la violenza di genere e quindi (prevalentemente) sulle donne. E’ un fenomeno peculiare, ben specifico, perché dietro a questa violenza non solo c’è quella fisica, ma una violenza feroce e totalizzante, su più punti di vista, che va a sminuire il potenziale della donna. La violenza è sulla donna perchè viviamo in una società in cui viene ancora considerata di serie B, una creatura nata per realizzare lo stereotipo che ci ingabbia, che merita una punizione qualora non vuole impersonarlo.

Quando si parla di violenza sulle donne, subito pensiamo alla donna con i lividi in faccia, a terra, indifesa: immagine pubblicitaria tipica della giornata, ma che dimentica totalmente la reale causa della violenza che è l’uomo patriarcale. E non commette solo violenza fisica, ma anche psicologica, sessuale ed economica.

Foto random presa su google digitando “25 Novembre”. Dov’è l’uomo in questa immagine che commette la violenza?

Se ne sta parlando tanto in questi giorni, noi femministe e attiviste ne parliamo tutto l’anno. Credo che dopo tante nozioni, in questa giornata così importante, bisogna parlare dei fatti: nella storia del* compagn* Marte, c’è la violenza a 360 gradi. Leggetela, riflettete, perché per troppi anni esiste il 25 Novembre, e dobbiamo continuare a lottare ogni giorno affinché questa data non sia più utile.

La Storia di Marte.

“La violenza di genere la conosciamo dagli articoli di giornale, dalle realtà che fanno un lavoro quotidiano sul territorio ed è una questione ancora centrale i dati lo confermano ogni tre giorni una donna viene uccisa (NdE: pare anche una su due giorni con il lockdown).

Le storie sono ognuna a sé perché la violenza di genere viene perpetrata in diversi aspetti della vita relazionale può essere fisica, psicologica, economica o può racchiuderle tutte in un escalation di tempo che può durare anni.

La mia storia da sopravvissuta è durata 12 anni ed ha avuto profonde conseguenze per altrettanti anni di seguito.

Mia madre è arrivata in Italia negli anni 80 e si scontrò con una mentalità fortemente chiusa e razzista dove il ruolo di madre è donna le è sempre stato stretto. Laureata in lingue non riuscendo a trovare un lavoro si
adeguó a piccoli lavori sottopagati e di conseguenza era legata economicamente a mio padre.

Lei è sempre stata molto positiva amava scrivere. era riuscita tramite delle amiche scrivere piccoli racconti per delle riviste ed anche se non era la sua aspirazione la faceva sentire realizzata.

Passava i pomeriggi a battere con la macchina da scrivere, e per noi due era una sorta di gioco: io dovevo decidere le sorti dei personaggi e doveva essere un nostro segreto perché temeva la reazione di mio padre che in infatti non tardò ad arrivare.

Mio padre quando lo scoprí le distrusse la macchina da scrivere e le intimó di interrempore immediatamente perché doveva prendersi cura della casa e assolvere i suoi doveri familiari. Avevo neanche una decina di anni e quel frangente per me segnó l’inizio della spirale di violenza sempre più in crescente nei confronti di mia madre.

Mio padre doveva avere il controllo assoluto di tutti, ogni minimo spostamento, ogni persona che incontrava, con cui parlava, allontanó le sue amiche, l’obbligó a fare un part time, poteva uscire con noi o per fare la spesa, ogni suo acquisto veniva vagliato da mio padre mentre smantellava pezzo dopo pezzo l’autonomia e l’autostima di mia madre, la fece passare per una donna instabile mentalmente, leggeva le lettere delle sue sorelle, le tolse i libri, la musica la ascoltava solo quando mio padre usciva. Per tre anni le tolse sistematicamente tutto.

Mia madre si sfogava con le amiche e chiese aiuto ai parenti ma nessuna si prese la briga di vedere la realtà: tutto veniva giustificato perché era lei si “poneva male”, non capiva perché essendo straniera… magari non riusciva ad adattarsi ad un nuovo ambiente.

Ogni volta che scappava la riportavano a casa.

La violenza che spacca le ossa.

Ero alle medie quando una sera la mia vicina mi porta a casa sua con mia sorella di peso, non capivo, farfugliava che mia madre era stata portata in ospedale con diverse fratture. QUINDICI punti in mezzo al cranio, ematomi su tutto il corpo, prima denuncia.

Ne arriveranno altre. Ed ogni volta che mio padre bastonava mia madre era la prassi a casa mia, quando qualcosa non andava come diceva lui. Afferrava il bastone, rincorreva mia madre terrorizzata, buttava me e mia sorella da una parte e partivano una raffica di colpi.

È come se li avessi registrati nella mente colpi secchi che ti esplodono dentro e risuoneranno nella mia testa per decenni anche dopo essere andato via di casa.

La violenza te la porti dentro e non va via, ti rimbomba e ti trapana dentro l’anima. Le urla, il terrore che vivi quotidianamente… e sai che prima o poi esploderà per qualsiasi motivo. Sono le porte spaccate dalla sua
ferocia quando mia madre si proteggeva chiudendosi a chiave con noi.
Le notti insonni perché non sai se ti sveglierai con l’ennesima aggressione violenta.

Ho vissuto per 12 anni attendendo che mia madre e noi fossimo credute ed ascoltate, servizi sociali che venivano ma puntualmente si ritornava alla stessa situazione di prima, le denunce rimaste lì con le forze dell’ordine che
lo allontanavano per qualche ora per riportarlo a casa più incarognito di prima.

La colpevole era mia madre non l’uomo violento.

Lei che non rispettava il suo ruolo di donna sottomessa e madre.
Ridussero mia madre in un fantasma di sé stessa, non reagiva più completamente rassegnata. Nei suoi confronti si disse di tutto: che era un ingrata verso chi le aveva dato un tetto e la cittadinanza italiana a lei e a me, che non era adeguata a gestire la vita familiare, troppo irruenta, poco adattabile, troppo appariscente, c’era sempre un troppo che copriva e si rendeva complice dell’uomo violento perché “lui è fatto così”, “devi sopportare per il bene delle figlie “erano queste le frasi piú ricorrenti di chi le stava intorno.

Avevo 15 anni quando trascinai di peso mia madre e chiesi ad una mia amica di accompagnarci da un giudice per fare qualcosa, la mandó a casa ammonendola che era abbandono del tetto coniugale e potevano sottrarre i minori, fu il tracollo. La supplicai migliaia di volte di lasciarlo per il suo e nostro benessere ma le stette affianco finché morì.

Lei si era arresa.

L’unica cosa che mi fece resistere era quella di salvare la mia sorellina più piccola. Sapevo esattamente cosa fare quando captavo la furia di mio padre: avevo lo zaino sempre a portata di mano ed uno per mia sorella. Ormai sapevo a memoria la trafiła da fare, chiamare le mie amiche poi i carabinieri che puntualmente arrivavano lo portavano via e portavano mia madre al pronto soccorso per medicarla.

Mai nessuno che si sia chiesto come mai una donna ogni tre per due finisse in quelle condizioni in un ospedale?

Possibile che gli spigoli, le scale, le cadute accidentali furono la prassi per non vedere le violenze domestiche? Le conseguenze della violenza riguarda sia chi la subisce sia chi la assiste con ricadute traumatiche pesanti.

Ho sofferto di attacchi di panico, disturbi alimentari e tutta una serie di difficoltà relazionali anni di terapia, incubi ricorrenti, insonnia.

Dopo 22 anni di silenzio sono riuscito a scrivere e parlare della violenza domestica che ho vissuto a casa, due decenni di elaborazione faticosa e lunga.

Una cosa vorrei ribadire: si è vero oggi c’è più attenzione ed abbiamo qualche strumento in più rispetto a quando l’ho vissuto negli anni 90 ma spesso si fa una narrazione semplicistica di come si deve affrontare la
violenza
, raramente si denuncia al primo schiaffo o si allontana una persona abusante.

Non giudichiamo con tanta facilità chi rimane in una relazione violenta perché i fattori sono molteplici e le risposte esterne non sempre sono immediate, non tuttə riescono a fronteggiare processi dove sono loro le
imputate e le sentenze non sempre tutelano le sopravvissute.

Non basta una giornata per ricordare la violenza di genere perché è 365 giorni l’anno che si perpetra nei confronti delle donne.

Non chiamatele vittime ma sopravvissute.

La mia è la storia di tantə figliə che hanno assistito alla violenza sulle madri e se la sono portate dentro la mia rinascita dalle ceneri è stato quando 4 anni fa ero in piazza con 250 mila persone a gridare contro la violenza di genere non era l’unico ad averla vissuta era l’urlo potente di migliaia di persone che dicevano BASTA.

Non vogliamo una di meno ma tutte vive e libere dal patriarcato.
Marte

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Classe 1990, Pescarese di adozione. Attivista transfemminista e co-fondatrice del Collettivo Zona Fucsia, si occupa da sempre di divulgazione femminista. È speaker radiofonica e autrice in Radio Città Pescara del circuito di Radio Popolare con il suo talk sulla politica e attualità "Stand Up! Voci di resistenza". Collabora nella Redazione Abruzzo di Pressenza. È infine libraia presso la libreria indipendente Primo Moroni di Pescara e operatrice socio-culturale di Arci.

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