Il 25 aprile rimane una Festa divisiva, lo si sente dire spesso. Certo, lo è per chi è ignorante, e per chi è fascista.
Meglio partire dalla seconda categoria, sulla quale forse non vi è molto da indagare. Ormai non crea problemi a “nessuno” dichiarare la propria simpatia verso “il Cerutti”, che pare abbia fatto (soprattutto) qualcosa di buono. D’altronde, alzare il braccio ad un grado con una certa ampiezza sembra desti, se non simpatia, perlomeno indifferenza. E l’indifferenza, si sa, è sempre il primo passo per lasciar affondare la nave della democrazia in un mare di nebbia.
La stessa che annienta una visione lucida della realtà a chi appartiene alla prima categoria, gli ignoranti. Semplicemente, ignorano per definizione la storia, quello che è accaduto in Italia non solo durante il ventennio fascista, ma soprattutto nel periodo precedente alla Marcia su Roma. Le squadracce hanno pestato e assassinato molte persone prima di quel fatidico 1922, già dal primo anno dopo la conclusione della Prima Guerra Mondiale. Essere socialisti o comunisti non faceva grande differenza, tanto per le camicie nere, tanto per gli industriali. Infatti, questi ultimi approfittarono delle azioni violente per tenere sotto controllo le proteste della classe operaia.
Peggio ancora della nebbia è il nero di quelle camicie a dare l’impressione di macchiare i neuroni dei geni revisionisti della storia, che dipingono come salvatori della patria i peggiori criminali che potessimo avere in qualità di governanti. Così, quel famoso doppio decennio è descritto come un quadretto felice in cui le donne avevano l’unico scopo di procreare, nessuno disturbava, la mafia era sparita e i delinquenti pure. Anzi, questi ultimi si erano semplicemente trasferiti in posizioni di comando; sembrerebbe quasi una battuta, se non si stesse descrivendo una tragedia tutta italiana.
In tale occasione, da osservare con curiosità allucinante, emergono in una regione italiana i simpaticoni del “Buona Festa di San Marco”. Un augurio all’apparenza pregno di riferimenti storici gloriosi alla Serenissima; peccato che venga utilizzato come triste surrogato per negare l’importanza della Festa della Liberazione, considerata quasi inutile, più che divisiva. Sorge un sorriso amaro al pensiero di quanti siano morti in nome della libertà, di quanti abbiano creduto davvero nella democrazia e nella Repubblica, nate tramite una Resistenza composita (e non solo comunista, come si vuol far credere), e di come invece oggi prevalga l’indifferenza.
Chissà che oggi augurare “Buona Festa della Liberazione” non significhi, sotto sotto, sperare di liberarsi dai commenti di tutte le categorie scritte sopra. Purtroppo, però, non è possibile: la democrazia permette anche a loro di parlare – la stessa a cui non danno nessun valore.