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Non per tuttə l’aborto è un dramma: per alcunə è addirittura un sollievo.

- 03/03/2021


In moltissime regioni, il tema cruciale delle lotte dei collettivi e delle associazioni femministe è ritornato ad essere l’IVG, l’interruzione volontaria di gravidanza. Un vero passo indietro, in cui bisogna ribadire di nuovo, nonostante una legge che supporta la pratica da più di 40 anni, i nostri diritti che paiono ancora una volta essere una gentile concessione.

Non sarò qui a riparlare della legge, in quanto la nostra Sara, avvocata, ha scritto un pezzo impeccabile a riguardo, ma va fatta una riflessione sulle reazioni, da entrambe le parti, sulla ripresentazione della tematica nel dibattito pubblico e sui social (che ormai, sono diventati quasi la stessa cosa).

La situazione è questa: in alcune regioni, come raccontato anche nel mio scorso articolo, si sta presentando una limitazione e un malcontento circa l’IVG: l’aborto farmacologico in alcune strutture sanitarie viene impedito quasi o totalmente, l’obiezione di coscienza equivale quasi dappertutto al 70% del personale sanitario dei reparti di ginecologia (assurdo, in quanto l’obiezione di coscienza era prevista solo al personale che nel 1978, anno della legge 194, lavorava già in quei reparti), e il dibattito pubblico si sta spostando verso opinioni ultracattoliche no-choice.

Ho sentito anche donne storcere il naso di fronte alla frase “ho abortito e sto benissimo“, come se noi donne dovessimo essere per forza addolorate nel dover interrompere una gravidanza, come se il nostro destino sia totalmente definito nel dare alla luce un bambino o una bambina.

Ho sentito e letto di donne che affermavano che le donne usano l’aborto come se fosse un contraccettivo (che già di suo, è errato), quando bastava essere “più attente” durante l’atto sessuale, e che quindi “non andava bene”. In sostanza, che se ne approfittano, e sapendo che c’è questa possibilità di intervenire dopo, non si proteggono (come se fossi poi così semplice fare una IVG in Italia, con il Vaticano in casa e obiettori anche nelle farmacie).

Ho sentito dire di donne che stigmatizzano e fanno una classifica su quale sia un aborto accettabile o meno. Se prendi la pillola, o si è rotto il preservativo e sei rimasta incinta è “ok, effettivamente non è stata colpa sua, è stata sfiga”, ma se invece hai fatto sesso con uno sconosciuto in una sera mentre eri ubriaca, diventa automaticamente “sei una sgualdrina e te la sei andata a cercare”. Quando si inizierà ad andare oltre a tutto questo?

Questi toni paternalistici, su come una donna deve affrontare il proprio aborto (si, il proprio, perché questo riguarda alla donna incinta e nessun altr) impediscono il progresso molto più dei no-choice che si presentano con le croci e i rosari di fronte agli ospedali. Loro sono grotteschi, facili da individuare e contrastare: ma persone che invece pretendono il dolore di fronte ad una IVG sono il vero freno a mano della liberazione e dell’autodeterminazione delle donne (e persone con utero).

Una parte della società ancora intrisa di clericalismo e paternalismo guarda alle donne come esseri fragili incapaci di scelte autonome e razionali. Ribadisco che ogni donna ha diritto di scegliere se abortire o meno, di decidere del proprio corpo e della propria vita e lo Stato ha il dovere di garantire alle donne il diritto di autodeterminarsi e il dovere di mettere a loro disposizione le migliori soluzioni che la scienza prevede. L’aborto è una procedura medica che nulla a che vedere con le posizioni etiche del politico o del sacerdote di turno. Loro non rientrano minimamente nella discussione.

Prendiamo la palla al balzo e rimettiamoci in discussione: la gravidanza è una questione che riguarda esclusivamente la donna in questione, ed è libera di fare ciò che vuole del proprio corpo in quanto non vi è nessun diretto interessato se non lei stessa.

E vi assicuro che se una donna non vuole avere figl, e no, non cambierà idea fra 10 anni, troverà un modo per sentirsi realizzata senza la maternità.

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Classe 1990, Pescarese di adozione. Attivista transfemminista e co-fondatrice del Collettivo Zona Fucsia, si occupa da sempre di divulgazione femminista. È speaker radiofonica e autrice in Radio Città Pescara del circuito di Radio Popolare con il suo talk sulla politica e attualità "Stand Up! Voci di resistenza". Collabora nella Redazione Abruzzo di Pressenza. È infine libraia presso la libreria indipendente Primo Moroni di Pescara e operatrice socio-culturale di Arci.

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