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Non tutti i troll sono uguali: ecco cos’è il sealioning

- 21/04/2021


Oggi cercherò di spiegare un fenomeno che in parte sembra discostare dalle tematiche femministe, ma in realtà questa tipologia di troll si trova spesso e volentieri sotto i post femministi e più in generale sulla parità di genere, perché è un tipico attacco del MBEB (maschio bianco etero basic), alleati fidati del patriarcato.

Come ben sappiamo i troll sono, nel gergo di Internet, utenti di una comunità virtuale, solitamente anonimi, che intralciano il normale svolgimento di una discussione inviando messaggi provocatori, irritanti o fuori tema. È un termine molto generico, perché in effetti, dopo l’esponenziale utilizzo dei social come punto di incontro tra comunità durante la pandemia, i troll si sono diversificati ed hanno trovato maggiori escamotage per creare scompiglio nelle discussioni, soprattutto quelle scomode (stranieri, comunità LGBTQ, donne).

Il classico troll è quello che, appunto, sotto nome falso, inizia a imprecare, offendere e a criticare la tesi iniziale, che può essere più o meno condivisibile, ma senza alcun tipo di dialogo, senza argomentare. Disturba, in effetti, ma se lo si ignora e il gioco è fatto.

Si sta sviluppando però una nuova tendenza, che possiamo anche chiamare come un “trollaggio 2.0” in cui l’impedimento alla discussione si fa (passatemi il termine) più intelligente e furbo. Dare il nome ai fenomeni è importante per il loro riconoscimento, e se lo si riconosce è anche più semplice contrastarlo.

Ed ecco qui un nuovo termine per voi: il sealioning.

Cos’è il sealioning?

Il sealioning, il cui termine significa letteralmente “fare il leone marino”, nasce da un fumetto del 2014 e ha preso piede non a caso durante il famigerato Gamergate, la campagna di molestie online ai danni di alcune sviluppatrici che avevano introdotto il discorso femminista nel mondo dei videogiochi.

Come scrive The Vision, il fenomeno, seppur il nome bizzarro, ha delle caratteristiche ben definite: come spiega l’antropologa del Berkman Klein Center dell’Università di Harvard Amy Johnson, si tratta di una “performance di ingenuità oppositiva e consapevole”, che combina domande insistenti, spesso relative a informazioni facilmente reperibili altrove o già condivise più volte dall’interlocutore, con la ricerca ostinata e molesta di instaurare un dibattito “costruttivo” a prescindere dalla volontà di parteciparvi di chi si ha di fronte.

L’obiettivo è drenare la pazienza e l’attenzione del bersaglio, facendolo poi passare per irragionevole e non aperto al dialogo.

Il “leone marino”, in altre parole, si serve di domande all’apparenza innocenti e poste in maniera educata – come ad esempio “Potresti chiarire cosa intendi?”, o “Mi forniresti le prove di questa tua affermazione?”, o ancora (e questa arriva dritta dai miei dm) “Mi spiegheresti in modo per quanto possibile dettagliato che cos’è il patriarcato?” – per far perdere tempo e energie alla controparte, deviare la conversazione sul carattere di chi la conduce piuttosto che sugli argomenti e poi autoproclamarsi vincitore del presunto confronto.

Un copione che si ripete sempre uguale, per intenderci, sotto i post dei profili social di tanti attivisti, specie se donne con l’ardire di definirsi femministe, o magari vegetariane o vegane.

Come reagire di fronte al sealioning?

Come scritto prima, quando si è vittima di sealioning c’è un dispendio di energie che potrebbero essere utilizzate per qualcosa di più costruttivo, come ad esempio dialogare con chi ha intenzione di confrontarsi in maniera sana sulla tematica affrontata.

Non cedere al ricatto del Sea Lion è un buon punto di partenza, ma non risolve il problema: dall’esterno potrebbe sembrare una mancanza di volontà di confronto, svilendo quindi la controparte. Sicuramente un buon modo per abbatterlo è smascherarlo, scrivendo per filo e per segno cos’è un Sea Lion e il Sealioning, in modo che le persone che leggono si rendano conto della pratica oppressiva in atto, che può però sembrare di primo acchito innocua.

Prendere dunque le distanze, riconoscendo il fenomeno in atto, l’atto manipolatorio del troll, e continuare il dibattito costruttivo che si era iniziato è il modo più corretto per aggirare l’ostacolo, uno dei tanti, purtroppo, che si sono creati con l’espandersi delle discussioni online.

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Classe 1990, Pescarese di adozione. Attivista transfemminista e co-fondatrice del Collettivo Zona Fucsia, si occupa da sempre di divulgazione femminista. È speaker radiofonica e autrice in Radio Città Pescara del circuito di Radio Popolare con il suo talk sulla politica e attualità "Stand Up! Voci di resistenza". Collabora nella Redazione Abruzzo di Pressenza. È infine libraia presso la libreria indipendente Primo Moroni di Pescara e operatrice socio-culturale di Arci.

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