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Piccolo manuale di sopravvivenza femminista contro i Men’s Rights Activists.

- 05/01/2021


Durante i giorni di Natale, mi sono concessa tre giorni di film e divano no stop e mi sono imbattuta in un documentario su Amazon Prime Video sui MRA, cioè i Men’s Rights Activists (gli attivisti dei diritti degli uomini).

L’ho visto fino in fondo, nella convinzione che alla fine la videomaker, che all’inizio si presenta come femminista, avrebbe avuto modo di controbatterli. Ero davvero convinta, lo davo per scontato, che alla fine la parità dei sessi avrebbe avuto la meglio in quel documentario.

E invece si conclude con lei che si sente messa in discussione: il suo essere femminista era in discussione e automaticamente sulla validità del movimento.

E mentre lei annuiva di fronte a tante banalità dei suoi relatori, mi rendevo conto che si, la loro teoria può sembrare molto ammaliante e seducente. Ma basta ragionare un attimo per rendersi conto che è basata dal populismo e dettato dal “pensiero unico”, quel pensiero che tanto si cerca di evitare ma che è più facile da seguire ed incapparcisi.

Il pensiero unico è semplice, lineare (fin troppo, ed è la sua peculiarità che lo avvantaggia), adatto alle menti umane ormai impigrite dalla società in cui ci troviamo. Una società che taglia i costi alla cultura perché la crede non essenziale all’essere umano facilita questo “intorpidimento” mentale.

Ma tornando ai MRA, ho deciso di rispondere, in questo articolo, nero su bianco, ad una serie di loro obiezioni circa il femminismo che hanno fatto nel documentario ma in generale nei dibattiti. Non credo che questo articolo sia la verità assoluta, ma qualora mi trovassi faccia a faccia con un MRA, risponderei così e, chiaramente, spero possa essere d’aiuto a chi invece si trovasse in difficoltà a riguardo.

(La mia intenzione è quella di integrare l’articolo qualora venissero fuori ulteriori obiezioni che al momento, scusatemi, non mi sovvengono. Quindi se pensate di aver dimenticato qualcosa vi prego di contattare la redazione e vedrò di aggiungere risposte. L’unione fa la forza).

“Se c’è un femminismo, allora ci deve essere anche un movimento per i diritti degli uomini.”

Questo è un concetto sbagliato a monte. Molto spesso i MRA dicono che nel momento in cui c’è un movimento femminista, che si batte per le donne, deve esserci anche un movimento maschilista, che si batte per gli uomini. E’ facile incappare in questo bias, poiché nella parola femminismo c’è la parola “femmina” che nel 2020 trae ancora in inganno. Il Femminismo non è un movimento per sottomettere l’uomo ed innalzare la donna, ma si batte per la parità economica, politica e sociale tra i due sessi e, nel femminismo intersezionale, la volontà di parità tra tutte le identità di genere, le etnie, abilità, orientamenti sessuali e così via.

Non vuole combattere l’uomo, ma il patriarcato. E il patriarcato rende la società gerarchica, quando tutto sarebbe più semplice e giusto se fosse orizzontale.

Avere un movimento in difesa degli uomini è come avere un movimento che difenda i diritti delle persone bianche o eterosessuali. Queste categorie, seppur non senza problemi, non hanno problemi di discriminazione, in quanto rappresentano lo standard conforme di questa società ed hanno molti più privilegi rispetto alle altre categorie.

Se ci pensate, non ci sono mai stati attacchi ad una coppia etero in quanto coppia etero, e raramente capita che una persona venga attaccata in quanto bianca. Al contrario, spesso sentiamo ai telegiornali attacchi omofobi, cioè di violenza contro una persona LGBT+ in quanto LGBT+ e di violenze nei confronti delle persone nere in quanto nere. Con questo non voglio dire che in assoluto ciò non accade, ma i numeri sono così bassi e sono eventi talmente tanto rari che sono quasi eccezioni (che di solito conferma questa triste regola).

Ritornando alla categoria “maschio”, gli omicidi nei confronti degli uomini non avvengono quasi mai in quanto uomini, ma per moltissime altre motivazioni non meno gravi (quali rapina, incidente, ecc) e succede anche a molte donne (infatti quando una donna viene uccisa per motivi come rapine, incidenti e così via, è considerato omicidio, non femminicidio, che è invece un fenomeno sistematico e di altra natura violenta).

Quindi l’obiezione è smontabile su due fronti: il femminismo non crede nella superiorità della donna, bensì nella parità dei sessi (quindi fa tanto bene anche agli uomini!) e non serve un movimento maschilista in quanto il maschio generalmente non viene discriminato in quanto maschio.

“Molto spesso agli uomini viene negata loro la paternità”

Colgo subito l’occasione per ribadire che il femminismo non è negazionista. E’ lapalissiano che capitano situazioni in cui il maschio è vittima della femmina, come è lapalissiano che capita che la giustizia, soprattutto per quanto riguardano i minori, tende (non sempre) al favoreggiamento della donna.

Ma ci siamo chiesti perchè?

Spesso l’affidamento dei figli viene concesso alle madri e non ai padri perché il senso comune vuole che siano più le donne ad essere portate a crescere la prole ed ad avere la cura dei bambini. Ma questo senso comune da dove deriva? Dalla società patriarcale, quel sistema che il femminismo cerca di abbattere. Nemmeno ad alcune di noi ci sta bene essere viste solo come madri e non semplici donne, ma è la cultura che ci ha dipinte in questo status. Se ci fosse una vera parità di genere, a monte si smonterebbe anche questa questione. Se non ci fosse questo tossico stereotipo che la donna deve stare con i figli, e che il padre che sta con i figli diventa automaticamente “il mammo”, anche le decisioni, umane, seppur giuridiche, si rifletteranno con l’eventuale società paritaria.

Nel documentario si è spesso parlato invece della mancata possibilità di scelta da parte del padre in quanto vi è una gravidanza, indesiderata o meno. Io penso che in questo caso la biologia ci può venire in soccorso, oltre che l’evidenza. La gravidanza è, purtroppo, una condizione che affronta unicamente il corpo della donna, ed è solo la donna a poter decidere del proprio corpo. La scelta dell’uomo in quanto padre la si può esercitare nell’atto sessuale e nell’utilizzo di contraccettivi, quindi prima della gravidanza. E non è poco, anzi, è tutto.

“Il numero di suicidi sono nettamente maggiori negli uomini che nelle donne, come anche gli incidenti sul lavoro”

Anche qui, non si può essere negazionisti, i numeri non mentono. Ma se si prendono i numeri senza analizzarli si può incappare in scivoloni (tossici).

Partiamo dai suicidi. Anche qui bisogna andare a monte del problema e chiedersi: perché ci sono più uomini che commettono il suicidio rispetto alle donne? Mi viene facilmente da pensare che l’uomo subisce una aspettativa dalla società molto pesante. L’uomo nella società patriarcale ha il compito di mantenere la famiglia, quindi essere benestante, avere un lavoro, essere alto, bello, sicuro di se, non deve piangere, non può mostrare debolezze. Questa aspettativa patriarcale si chiama mascolinità tossica e ne ho già ampiamente parlato qui. L’abbattimento della mascolinità tossica fa parte degli obiettivi del femminismo perché è parte di quella cultura stereotipata in base al genere.

Quindi fidatevi, le femministe si stanno battendo anche su questo.

Per quanto riguardano gli incidenti sul lavoro è chiaro che nel momento in cui la società permette un solo tipo di lavoro alle donne (come la segretaria e la commessa che sono effettivamente meno pericolosi rispetto allo scavatore) i numeri sono quelli che sono. Se ci fosse parità anche nel lavoro anche questo numero sarebbe più equo, anche se, si spera, gli incidenti sul lavoro diminuiscano drasticamente con una politica del lavoro più efficace. Ma questo è un altro discorso.

“Il patriarcato non esiste più, perché le donne possono fare quello che vogliono e sono avvantaggiate”

Questa è un affermazione negazionista poichè si nega l’evidenza.

Al momento attuale, quante donne detengono posti di potere? Quante donne sono primo ministro? Quante donne giudici, magistrati, manager?

Quante donne vincono premi di qualsiasi sorta? Pochissime, tant’è infatti che fa ancora notizia il fatto che “una donna” abbia vinto un premio.

Ma soprattutto quanti uomini hanno il terrore di vestirsi in maniera provocatoria per evitare molestie di strada e catcalling? Chi viene ammazzat* in quanto non conforme allo stereotipo del suo genere di appartenenza?

Come scrissi in qualche mio articolo, il privilegio del maschio è talmente tanto normalizzato che diventa quasi invisibile ad un occhio poco critico e non ci si rende conto di quante difficoltà una donna può avere anche nelle cose più semplici come quello di passeggiare da sola per strada di notte.

La colpa non è del maschio di per se, non hanno scelto di nascere nel privilegio, ma sono anch’essi responsabili nel cambiamento delle cose.

Come detto prima, il Patriarcato è però repressivo non solo per le donne, concepite per stare in casa a badare i figli, ma anche per quegli uomini che invece nella vita non vogliono coprire il ruolo del maschio alpha come il patriarcato pretende (come scritto sopra). Il patriarcato vuole che le donne non paghino la cena, perché spetta al maschio provvedere ai soldi, aprire la portiera della macchina (e deve essere anche una bella macchina!) , difenderla, provvedere a lei. Il femminismo non vuole distruggere tutto questo, ma semplicemente vuole che tutto ciò non venga fatto solo per un dovere imposto dall’aspettativa della società. In poche parole, se alla dinamica della coppia etero piace questo, liberi di farlo, altrimenti nessun è costretto.

Chiaro vero?

“Le femministe vogliono schiacciare gli uomini e li odiano”

Vi faccio un esempio: quante volte abbiamo letto che un africano ha violentato una donna (italiana, perché se la vittima fosse stata africana diventerebbero automaticamente affari loro) sistematicamente tutt* l* african* sono violenti?

Questo fenomeno, che fa parte dei nostri bias cognitivi a causa della nostra “pigrizia mentale”si chiama generalizzazione e non immaginate quanti danni può portare all’umanità. Quando una persona, facente parte di una categoria più o meno vulnerabile, commette qualcosa più o meno grave automaticamente pensiamo che tutta quella categoria commette quella cosa.

Si, esistono delle femministe che odiano gli uomini, alcune talmente tanto che odiano anche le trans M to F perché uomini che si fingono donne (ne ho un po’ parlato qui), ma non perché esiste un gruppo di femministe escludenti automaticamente tutte le femministe lo sono. Con questo automatismo di generalizzazione si basa tutto il razzismo, l’omobitrasnfobia, l’abilismo e tutte le forme di discriminazioni, la cui base è il pre-giudizio, creatosi, di solito, dal sentito dire.

Personalmente a me piacciono moltissimo gli uomini. Sono pansessuale, attualmente mi frequento con un ragazzo e li adoro. Non tutti, ma li adoro.

Iniziamo anche a smontare lo stereotipo della femminista brutta, con i peli sotto le ascelle e LESBICA. Le femministe possono essere come vogliono essere, è alla base del nostro movimento.

“Le donne denunciano a sproposito gli uomini di stupro e molestie e l’uomo non può difendersi su questo”

Ci tengo particolarmente a questa obiezione, poiché spesso sento dire anche dalle donne stesse che la vittima di stupro “se l’è andata a cercare” o non viene creduta. Anche qui l’obiezione nasce da un problema che è a monte: la cultura dello stupro, che è un fenomeno tipicamente patriarcale.

La cultura dello stupro è, secondo wikipedia, il termine usato a partire dagli studi di genere, dalla letteratura femminista e postmoderna, per analizzare e descrivere una cultura nella quale lo stupro e altre forme di violenza sessuale sono comuni, e in cui gli atteggiamenti prevalenti, le norme, le pratiche e atteggiamenti dei media, normalizzano, minimizzano, o incoraggiano lo stupro e altre violenze sulle donne.

Quante pubblicità minimizzano la violenza sessuale? In quante pubblicità si vede la donna succube al volere maschile senza il suo consenso? Siamo completamente sommersi da questa visione della donna sottomessa, della donna che deve e vuole stare sotto l’uomo, che il nostro comportamento agisce di conseguenza, legittimizzando sempre di più l’insistenza verso una donna nel volerla conoscere, toccare, conversare, farci sesso.

Viviamo in una società in cui è l’uomo la predatore e la donna deve essere preda e quindi conquistata, magari anche tramite l’insistenza e la costrizione. Troppo poco spesso si parla di consenso (Amnesty International ne ha fatto una campagna e ne ho parlato qui) e rimane quindi difficile credere che una donna che dice no è davvero un no. Ma ora che si sta iniziando a fare cultura, le donne sono più consapevoli di questo e iniziano a denunciare.

Quindi tutto questo per dire che molto spesso, quando una donna denuncia per molestia o stupro, è per davvero una molestia o per stupro, non è stata fatta una denuncia a sproposito. Al massimo prima si evitava di più la denuncia per paura, perchè spesso non venivano credute. Ma anche grazie ai movimenti come il #metoo le donne hanno iniziato a rompere il silenzio e trovano il coraggio di farsi avanti, supportate dalle altre, a suon di hermana yo te creo (donna, io ti credo).

Il problema quindi è che per la società ogni denuncia sembra un accusa esagerata, ma la causa è la mancata la cultura del consenso (e non è una giustificazione).

Il numero di denunce di stupro e di molestie sono aumentate perché finalmente le donne si sono rese conto che hanno un potere di scelta sul proprio corpo, che il loro no basterebbe per fermare una qualsiasi pratica sessuale, anche nel mentre, e il loro consenso è fondamentale per essere o meno importunate per strada.

Ed anche quelle donne che accusano le vittime di esagerazione, o per avere attenzione su di se, fanno parte dello stesso sistema patriarcale, mettendole alla gogna con il solo obiettivo di cercare a far parte del “club del maschio“, il club dei privilegiati, ma di cui non ne potranno mai far parte in quanto donne.

Che l’uomo poi è svantaggiato su questo fronte, direi che è una castroneria bella buona. Quando le donne denunciano per stupro la maggior parte delle volte non vengono credute e viene ancora chiesto loro come fossero vestite (come se l’abito possa essere un deterrente per un abuso, che si potesse evitare l’accaduto cambiando qualcosa nel loro vestiario, dando quindi la responsabilità e la colpa alla vittima).

Viene chiesto loro se fossero certe di aver detto no di fronte all’abuso, se è piaciuto loro l’atto sessuale abusante e così via.

Ed è proprio per questo che molte, moltissime donne, non denunciano le molestie subite, gli stupri e gli abusi, per la gogna mediatica e morale che subiscono dopo. Davvero pensate che sia facile denunciare uno stupro e che quindi lo si faccia così facilmente e a cuor leggero?

Per millenni le donne sono state abusate e sottomesse (senza il loro consenso) senza poter dire “A”. Capisco perfettamente che questo riallineamento di potere, e quindi l’aumento del numero di denunce, accuse e segnalazioni, possa spaventare, creare disagio e disorientamento.

Ma sono affari vostri e dovete farvene una ragione.

“L’uomo deve essere alto, bello e con i soldi, e se non è così non viene considerato…”

…E le donne se non sono magre, belle, minute e pacate non sono degne di considerazione. Il “nemico” qui non è l’uomo o la donna, ma lo stereotipo creato dalla società patriarcale, che il femminismo cerca di abbattere (come scritto sopra, vi consiglio la lettura del mio articolo sulla mascolinità tossica).

Il femminismo ambisce ad una società in cui chiunque possa fare ciò che aspira senza dover tener conto ad un canone pre-imposto: una donna può studiare matematica, un uomo può fare il casalingo e così via.

Finché il senso dello stereotipo, si spera, diventi un concetto lontano.

Conclusione

E’ chiaro che questo non può e non deve essere un manuale definitivo contro tutte le obiezioni degli MRA. Ma mi piacerebbe molto che fosse un articolo collettivo e fonte di dibattito, non solo per aggiornare l’articolo, ma per crescere insieme, creando cultura.

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Classe 1990, Pescarese di adozione. Attivista transfemminista e co-fondatrice del Collettivo Zona Fucsia, si occupa da sempre di divulgazione femminista. È speaker radiofonica e autrice in Radio Città Pescara del circuito di Radio Popolare con il suo talk sulla politica e attualità "Stand Up! Voci di resistenza". Collabora nella Redazione Abruzzo di Pressenza. È infine libraia presso la libreria indipendente Primo Moroni di Pescara e operatrice socio-culturale di Arci.

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