Il 22 Febbraio ho presentato a Pescara il libro “Femminismo delle zingare, intersezionalità, alleanze, attivismo di genere e queer” di Laura Corradi, docente di studi di genere e metodo intersezionale.
È stata una presentazione molto difficile e delicata. Un po’ perché Pescara ha una vastissima comunità rom (purtroppo in parte discriminata) e un po’ perché il femminismo non è certo il primissimo argomento che si vuole trattare nella città adriatica.
L’unione di queste due tematiche è stato complesso da gestire, ma è il punto cruciale nell’ottica intersezionale.
Mi sono resa conto di non aver ancora affrontato il Femminismo Intersezionale in questa rubrica. Credo che il modo migliore per farlo sia quello di scrivere la mia sul libro di Laura, che mi ha ispirata, partendo proprio dai concetti cardine che il titolo ci offre.
Repetita iuvant: cos’è il Femminismo?
Credo sia necessario fare una brevissima premessa su cosa sia il Femminismo, che credo sia necessaria per poter proseguire.
Per prima cosa c’è da dire che non è la supremazia della donna verso l’uomo. Quindi il non è il contrario di maschilismo (anche se le due parole sono molto simili). Il femminismo, infatti, chiede la parità economica, sociale e politica tra gli uomini e le donne. Quindi smettetela di dire “ma gli uomini e le donne non sono uguali” come se fosse un obiezione, perché siamo perfettamente d’accordo su questo. Qui non stiamo parlando di uguaglianza, bensì di parità.
Intersezionalità, una nuova chiave di lettura
Il Femminismo Intersezionale è il femminismo della quarta ondata, quindi di quella attuale. Il femminismo, come tutti i movimenti è, come dice la parola stessa, in continuo movimento. E’ per questo presenta, dalla sua nascita, diverse ondate i cui obiettivi sono in continuo divenire.
Ci troviamo in un momento cruciale, poiché la visione del movimento si amplia anche alle altre discriminazioni, mettendo in risalto l’utilità del privilegio che una donna (o uomo) ha per lottare assieme a chi (e per chi) quel privilegio non lo ha.
Cerco di spiegarmi meglio.
All’inizio il femminismo era stato creato da donne bianche di ceto medio che combattevano per i diritti delle donne bianche di ceto medio. E’ stato così per decenni. Oggi le femministe si sono rese conto che all’interno del movimento ci sono delle donne che fanno parte di altre minoranze e per questo vengono discriminate ulteriormente (NB il genere [femminile] è l’unica categoria considerata minoranza anche se, numericamente parlando, minoranza non è). Ci sono donne rom che subiscono una doppia discriminazione: in quanto donne (in base al genere) e in quanto rom (etnia). Immaginatevi se questa donna fosse anche lesbica (orientamento sessuale), la discriminazione diventerebbe tripla.
Il femminismo intersezionale dunque rende tutte le oppressioni interconnesse tra di loro, creando un unica vera lotta al sistema etero-patriarcale. Un sistema che ci ha reso razzisti, sessisti, omofobi. E per farlo dovremmo unirci per i diritti di tutti e tutte creando delle vere e proprie alleanze. Ma per farlo, dobbiamo renderci conto del privilegio che ognuno di noi ha.
Faccio un esempio con me stessa: sono una donna, e vengo discriminata per questo. Ma sono anche bianca e di ceto medio, ho la possibilità di dire la mia su BL Magazine e in Radio senza che nessuno mi arresti (come invece accade, ad esempio, in Egitto). E’ mio compito dunque aiutare le donne (e gli uomini) che questo privilegio sfortunatamente non lo hanno. Utilizzo il mio privilegio per far ottenere dei diritti che a loro vengono meno (e che magari io ho già acquisito) proprio perché la mia voce si sente di più. Esattamente come una persona eterosessuale combatte per i diritti LGBTQIA+. La parola A sta per asexual ma anche per ally, alleato.
L’alleato però non è il portavoce!
Ed attenzione, alleato non significa portavoce. Il portavoce non può essere altro che una persona che subisce in prima persona la discriminazione. Ma gli alleati no, e nella lotta unitaria al patriarcato sono una spinta fondamentale per la parità. Infatti il libro della Corradi è un esempio nudo e crudo di alleanza: la scrittrice non parla, infatti, a nome delle donne rom. Ma porta alla luce scritti e saggi di attiviste e ricercatrici rom che non sono prese in considerazione come le colleghe non rom o i colleghi (uomini). Ha utilizzato quindi il suo privilegio di “bianchezza”(che però va completamente de-costruito) al fine di dare spazio ad una fetta di studiose che hanno subito una vera e propria discriminazione (etnica) accademica.
Queer come termine intersezionale
Altra parola fondamentale, che rappresenta una questione importantissima di lotta “della lingua” è il temine “queer”. Queer è considerato ormai un termine ombrello per indicare una persona che non si riflette nell’eterosessualità e/o nel binarismo maschio/femmina. In italiano significa “strambo” ma in inglese aveva un accezione tutt’altro che positiva. Infatti, in principio, il temine veniva utilizzato in maniera dispregiativa verso gli omosessuali (come il nostro “fr*cio”). Con il passare degli anni la parola è ricomparsa nel linguaggio comune (infatti oggi fa anche parte dell’acronimo LGBTQIA+!).
L* attivist* hanno rivendicato la parola conferendogli un accezione positiva: autodefinendosi queer, hanno depotenziato il significato negativo, autodeterminandosi e riappropriandosi della narrazione della comunità.
E non solo: racchiudendo in un unico termine tutte le sfumature della sessualità e del genere, si fa un azione estremamente intersezionale. Rende infatti possibile la comprensione e la valorizzazione delle differenze interne, con lo scopo di accomunare tutti nello stesso tipo di oppressione. Diventiamo tutt* de* alleat*.
La parola “queer” e “zingara/o” hanno molto in comune.
Piccolissimo paragrafo sul termine zingaro/a, che è molto simile alla parola queer, proprio perché anch’essa è vista come una parola dispregiativa. In Italia l’Ufficio nazionale contro il razzismo vieta l’uso del termine ignorando però delle comunità intere che tentano di praticare una riappropriazione semantica della parola.
L’utilizzo quindi della parola zingaro nel titolo per la Corradi è un espressione di fiducia verso il potenziale sovversivo di ri-significazione delle parole. E’ inteso come atto politico in divenire. Una vera e propria inversione semiotica dei significati dispotici. Con l’utilizzo di questa parola in realtà indica una crocevia di lotte collettive in un luogo comune al fine di creare alleanza. Perché, esattamente come il queer, la parola zingara racchiude varie comunità più o meno diverse da loro, abbattendo i confini prestabiliti da una società etero-patriarcale.
Un libro estremamente stimolante, che apre finestre di riflessione sul femminismo che è fatto per di vari femminismi. Esattamente come lo è quello rom o quello di qualsiasi altra comunità. E’ riuscita a puntare il riflettore su una questione che in Italia non è poi così tanto trattata. ma che è necessario per la liberazione di tutti e tutte.