Ho già scritto tempo fa, forse uno dei miei primissimi articoli, circa la body positivity e l’importanza del non giudicare il corpo altrui, la grassofobia e tutto ciò che ne concerne (vi consiglio di leggerli al volo, così da farvi una premessa).
Da allora sono passati mesi, forse anche anni, e l’argomento è stato dibattuto, divulgato, ma pochissimo a riguardo è stato fatto.
Inutile pensare che in così poco tempo si possa sradicare millenni di sessismo e di predominio del corpo delle donne, un vero e proprio campo di battaglia politica. Ma sicuramente il pensiero è stato approfondito qui in Italia, maggior consapevolezza ne è venuta fuori e vedo l’opinione pubblica più “pronta” nel riconoscere cosa è e cosa non è il body shaming (la Clerici ne ha parlato anche nel suo programma, qualcosa è effettivamente cambiato), capire il perché commentare e giudicare un corpo senza consenso della persona è violenza e del concetto di canone di bellezza come intoccabile, soprattutto nell’arte, nella moda, nella fotografia, e che può creare visioni differenti tra quello che vediamo e quello che effettivamente siamo nella vita reale.
Il privilegio del bello. Cos’è?
Ultimamente ho letto un libro, l’ultimo di Giulia Blasi, intitolato “Brutta“, che mi ha toccata moltissimo: il suo racconto di come la sua visione del proprio io e della consapevolezza delle proprie capacità e sensazioni sono cambiate e maturate a causa dei giudizi negativi da piccola e da adolescente, mi ha fatto capire due grandi verità.
Prima di tutto che l’essere sempre stata brutta, o meglio, persona che non rispecchia in toto il canone di bellezza (e no, non lo dico perché voglio che le persone nei commenti mi smentiscano) mi abbia donato un’empatia che mi ha resa ciò che sono. Essere brutt* ti rende più umano, vicin* alle persone più vulnerabili, vai incontro ad una realtà di chi viene messo in secondo piano, che non vive la vita sempre e comunque “mettendoci la faccia”. Ti crea una dimensione e una comprensione di chi, da piccolo, non veniva sempre primeggiato.
La bruttezza ti sprona anche a fare molto di più perché ti senti in difetto rispetto a chi parte avvantaggiato, avendo la bellezza dalla sua parte.
Seconda cosa, forse la più importante e conseguenza anche a quanto detto prima: effettivamente la bellezza è, al pari della pelle bianca, della ricchezza o dell’eterosessualità, un privilegio. E in quanto persona privilegiata, la vita le è estremamente più semplice.
Ne parlai anche nel mio articolo sulla grassofobia, affermando che le persone grasse hanno difficoltà a trovare lavoro ed essere prese in considerazione più delle altre. E questo è fattuale. Certo, le persone brutte, fortunatamente, non sono state mai schiavizzate, o presi a calci per strada. Ma in un mondo fatto di opportunità, ecco che la persona brutta ne ha un po’ di meno rispetto alla persona di bell’aspetto. E qui, la discriminazione, va sottolineata.
Esattamente come ogni tipo di privilegio, è difficile parlare di privilegio del bello con una persona che non ha mai “provato la bruttezza”: succede esattamente come un uomo nei confronti della donna, che continua ad affermare che le donne non siano discriminate e che il femminismo è una perdita di tempo.
Se tu ci nasci con quel privilegio, è difficile che te ne renda conto.
Ma esattamente come bisogna ascoltare quello che prova una, ad esempio, donna lesbica nei confronti della società, anche una persona brutta si dovrebbe, ed essere creduta qualora si sentisse esclusa da certe dinamiche. Si nega ancora e purtroppo questo ulteriore asse di discriminazione che si interseca con le altre oppressioni (come il femminismo intersezionale ci insegna).
Ma di fatto, il privilegio del bello esiste, ed è trattato poco in tal senso, poiché a differenza delle altre “assi di discriminazione”, come può esserlo l’etnia, il sesso, il genere, l’orientamento sessuale, il privilegio del bello può essere conquistato tramite un azione conformista: puoi effettivamente cambiare il tuo status di discriminato ed acquisire quel privilegio.
Una persona brutta può in effetti “abbellirsi”, trovare dei vestiti e dei trucchi, che la rendono più bella. Se sei una persona con il colore della pelle nera, difficilmente, molto difficilmente puoi cambiarla (a meno che così ricco da poterti sbiancare la pelle, e moltissime persone ahimè lo fanno con creme sbiancanti). Se sei una persona non etero, non c’è terapia di conversione che tenga (ah, a proposito, è diventata illegale in Francia, evviva!).
Se nasci brutt* puoi provare a diventare bell* (non sempre, ma a volte basta anche solo perdere peso e acquisti molti punti patriarcato, in quanto società grassofobica). Essere brutta quindi non sempre è un destino, ma una condizione di inferiorità che può essere superata.
Ma il problema, il focus della questione, è il sentirsi il dovere di superarla, il più possibile: con trucco, parrucco, dieta e così via.
Quindi Emma Marrone che c’entra?
Tranquill*.
Non ho messo nel titolo il nome della cantante ed una sua foto nella copertina per acchiappare i click (anche perché ne hanno già parlato così tante volte che, sinceramente, scriverne un ulteriore opinione non richiesta a riguardo non ci guadagnerei nulla).
E’ che sentendo i discorsi di e su Emma Marrone, sulle sue “gambe importanti” sono rimasta colpita dalla risposta compatta delle donne che l’hanno difesa (e ci mancherebbe, le sue gambe non hanno nulla che non vanno), dei giornali che finalmente acquisiscono consapevolezza sul body shaming, ampliando così lo spazio politico sull’argomento e moltiplicando e approfondendo la tematica, in maniera più o meno sana. Ma finalmente se ne sta parlando.
Quindi, a due anni di distanza dal mio primo articolo sul tema, riesco finalmente a fare una riflessione in più, grazie anche all’accaduto della cantante: i meccanismi mediatici sul body shaming sono sempre gli stessi, ma con miglioramenti sempre più consistenti.
Ovvero: giudizio negativo sul corpo di una donna, bufera mediatica, fine della bufera mediatica (dopo qualche giorno), ce ne dimentichiamo.
Ma ad ogni bufera, si fa sempre più una riflessione ulteriore. Sempre più persone si interessano, empatizzano. Noto sempre di più che ad ogni bufera sempre più persone rimangono agganciate alla tematica, acquisendo consapevolezza.
Sempre più persone riescono a capire e a comprendere una delle istanze femministe più importanti: che si considera ancora il corpo della donna alla mercé di tutt*, un qualcosa di pubblico che può essere denigrato e deriso, commentato, giudicato, come un pezzo di carne al supermercato.
E che quel pezzo di carne deve essere bello, deve seguire il sistema, ma senza disturbare, altrimenti diventa una tr**a.
E questo porta nel sentirsi leggittimat* nel giudicare e far sentire inadeguata una persona, soprattutto se donna. E difficilmente ci si sfugge.
Ma allora forse andrebbe fatto un passo ulteriore. Forse iniziare a pensare che le parole grassi e brutti (anche quando non lo si è) sono aggettivi come altri, e smetterla di considerarle come delle offese, soprattutto per le donne. Ma per farlo forse bisognerebbe iniziare ad eliminare il concetto di bello a tutti i costi, come il concetto di bianco come superiorità, l’eterosessualità come normalità e così via.
Il privilegio andrebbe abbattuto, per eliminare alla radice la discriminazione. Eliminare nella società tutto ciò che, in effetti, ti fa considerare qualcosa o qualcun* migliore di un altr* in base a ciò che si è.
E se proprio non si può eliminare, il privilegio, si può incominciare ad utilizzarlo per affievolirlo, magari iniziando a trovare un canone di bellezza diverso, più realistico, più personale ed intimo, non competitivo, che ci permetta di sentirci alla pari (perché è questo l’unico obiettivo) con il resto del mondo.