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11 OTTOBRE: COMING OUT DAY. La storia e le esperienze dei nostri lettori

- 11/10/2018
Giornata del Coming Out


Ricorre oggi per la comunità LGBTI+ il “Coming Out Day“, in cui si celebra a livello internazionale la consapevolezza della propria sessualità e l’importanza di esplorare la propria identità.

L’espressione “coming out” è una semplificazione dell’inglese “coming out of the closet“, ossia letteralmente “uscire dall’armadio“, nell’accezione di “venire allo scoperto“. In italiano non esiste un corrispettivo come ad esempio in spagnolo (salir dal armario) o dal francese (sortir du placard), ma viene piuttosto utilizzata la formula “dichiararsi”.

Il coming out è una scelta personale, volontaria e consapevole, attraverso la quale si rende partecipi gli altri del proprio orientamento o della propria identità sessuale. Non va confuso dall’outing, che rappresenta invece la dichiarazione della sessualità altrui senza il consenso del soggetto interessato.

Da quando si celebra il Coming Out Day?

Il Coming Out Day viene festeggiato per la prima volta l’11 ottobre 1988, dall’intuizione di uno psicologo del New Mexico, Robert Eichberg, e Jean O’Leary, politica e attivista lesbica di Los Angeles durante il workshop The Experience and National Gay Rights Advocates. Fu scelta la data dell’11 ottobre in quanto primo anniversario della seconda marcia nazionale su Washington per i diritti LGBT: un’occasione eccezionale di condivisione e partecipazione che superò le 200.000 persone.

Il primo Coming Out Day si tenne presso la sede della National Gay Rights Advocates a West Hollywood, in California, alla presenza dei delegati di 18 Stati e dei principali media nazionali. La seconda edizione ebbe luogo a Santa Fe con 21 stati, mentre solo nel 1990, e grazie al coinvolgimento della Human Right Campaign, la celebrazione del Coming Out Day si estese all’intero territorio statunitense. Da allora, ogni anno ha abbracciato e interessato sempre più persone.

Sia la O’Leary, apertamente lesbica, che Eichberg, attivista e militante, morirono nel 1995: la O’Leary per un cancro ai polmoni ed Eichberg per le complicanze dell’AIDS.

Della O’Leary, Gloria Steinem del New York Times ha scritto “ha aiutato il movimento delle donne a riconoscere il costo universale dell’omofobia, e il movimento gay ha visto che emarginare le voci delle lesbiche avrebbe solo diminuito il suo potere.

I fondatori del coming out day

I fondatori del coming out day Robert Eichberg e Jean O’Leary

L’importanza del Coming Out

Ogni Coming Out è una piccola rivoluzione, e come ogni rivoluzione rompe un ordine precostituito per dare spazio ad una nuova visione e ad una prospettiva forte, inedita e libera.

La paura, la diffidenza e la chiusura rispetto alla realtà lgbt è spesso avallata dalla mancata fiducia nei confronti degli omosessuali, e della conoscenza di una loro dimensione sociale. Il Coming Out è fondamentale nel processo di normalizzazione di una condizione personale che coinvolge l’intera collettività.

Tuttavia, il risvolto sociale positivo del coming out (ricordiamo che solo a seguito delle rimostranze degli attivisti lgbti siamo giunti all’ottenimento di una legge per i diritti civili) si accompagna ad un senso di liberazione, sollievo e benessere mentale che nella gran parte delle situazioni coinvolgono positivamente la sfera personale e affettiva.

Secondo uno studio condotto dall’ISPES, gli uomini gay hanno una probabilità di tentare il suicidio di tre volte superiore rispetto agli uomini eterosessuali, il 32,5% di gay e lesbiche sotto i 20 anni ha pensato almeno una volta di suicidarsi e il 10,8% ci ha provato davvero.

Pensiamo quindi che la discussione sul tema del Coming Out non sia mai abbastanza: non si può vincere da soli una battaglia contro se stessi. Informare, creare campagne di sensibilizzazione, combattere la discriminazione, creare ponti tra eterosessuali, gay, lesbiche è il presupposto vitale per far sì che l’ambiente lgbti sia più considerato un contesto di contaminazione, arricchimento e sostegno reciproco.

Rainbow heart

Un Cuore arcobaleno

Abbiamo chiesto in questi giorni ai nostri lettori di raccontare i propri coming out, e delle sensazioni legate a questo particolare momento della loro vita. Siamo convinti che grazie alla condivisione delle proprie esperienze si possa essere d’aiuto a chi non ha ancora raggiunto un grado di consapevolezza tale da sentirsi in grado di “venire fuori” e compiere la propria personale rivoluzione.

Un nuovo battesimo con il quale cominciare a vivere la quotidianità senza la sensazione straniante di essere protagonisti di due realtà tra loro parallele.

Questi sono i racconti solo di alcuni dei coming out che ci sono pervenuti al nostro indirizzo email: fanno riflettere, emozionare, stupiscono per la quantità di variabili e motivazioni che possono spingere a cercare quella spinta coraggiosa e sufficientemente audace che porta a mostrarsi per quello che si è: uomini e donne liberi che hanno schiacciato di nuovo play alla propria vita.

BUON COMING OUT a tutti!

blmagazine

“Ho cominciato a parlare in modo libero di me ai miei amici appena terminato il liceo. La mia è stata un’esperienza abbastanza particolare in quanto non ho mai fatto un vero coming out ufficiale ma semplicemente ad un certo punto mi sono sentito libero di parlare di me così com’ero. Non mi interessava molto se i miei amici mi avressero accettato o meno, in quanto sin da bambino ho preferito vivere i rapporti di amicizia in maniera abbastanza distaccata essendo, soprattutto durante gli anni dell’adolescenza, un ragazzo dal temperamento molto aggressivo e talvolta violento, in particolare in ambito scolastico. Non ho mai avuto spiacevoli “sorprese” da parte dei miei amici e sono sempre stato accettato così come sono. Mai nessuna domanda “di troppo” sulla mia sessualità e non per una presunta discrezione da parte loro ma semplicemente perché l’omosessualità la considerano assolutamente normale. Da qui la mia decisione di parlarne in modo “sciolto” e senza sedute a tavolino.
Diverso il discorso con la mia famiglia con cui sento di condividere ben poco per ora. Spero di recuperare un giorno.”

“Sono cresciuto con una madre per cui ero tutto e che negli ultimi anni di una malattia irreversibile ha maturato nei miei confronti un amore quasi morboso. Io che avevo 19 anni non ero pronto a dargli quell’ennesima “preoccupazione”. Eppure lei credo avesse sempre saputo. Guardava al mio “mondo nascosto” con timore e rispetto e aspettava che gli donassi forse la più grande verità. Non c’è stato tempo. A 21 anni poi mi sono ritrovato a vivere con un padre che per quanto presente e volesse essermi amico, era prima di tutto un padre che conoscevo poco. Era il classico sciupafemmine, un leader, estroverso e carismatico. Io ero l’opposto per molte cose. Temevo il suo giudizio. Ma un giorno ebbe delle parole poco carine nei confronti di un mio amico effeminato. Divampò in me una rabbia e una paura insopportabili. Lo affrontai dicendogli che se schifava il mio amico perché gay, avrebbe dovuto fare altrettanto con me, perché io pure ero gay. Seguì una conversazione, forse la più importante che ebbi con mio padre in 21 anni. Gli anni che seguirono furono di assestamento e di conoscenza tra due uomini diversi, io e mio padre. Nel tempo lui ha imparato a conoscermi e capire come fossi il figlio di sempre, con le medesime passioni e paure, con la sola differenza che amassi altri uomini. Mi rendo conto che sia stato più lui a fare passi verso di me che viceversa. Giacché la nostra paura di rivelarci è pari al disorientamento di un genitore di apprendere una notizia del genere. Solo il dialogo può avvicinare. Per me lo è stato. E oggi mio padre vuole conoscere il mio compagno. 🙂

“Il mio coming out è stato a 21 anni, ben 16 anni fa, con mio padre che voleva cacciarmi di casa e mia madre che non voleva prendere una decisione “Accetto ma non condivido, se tuo padre ha deciso così non posso fare nulla”, disse così! Ma non ebbi paura, la mia unica paura era immaginare la mia vita come avrebbero voluto altri e non io. Da quella mia scelta tantissime cose sono cambiate, io, sono rimasto sempre me stesso. Con le mie idee, con il mio carattere, con le mie paranoie, i miei problemi e l’amore che ho nel cuore.
Rifarei coming out di nuovo? Si, assolutamente si, ogni volta sarei sempre più forte e determinato, dimostrando a tutti che amare un uomo o una donna, a prescindere dalla propria sessualità, è un dono che ci viene dato una sola volta e che non va buttato come carta stracciata..”

“Il mio coming out con la famiglia è stato strano. Era già da un anno che mi facevo vedere sempre di più con compagnie palesemente lgbt e, sebbene sapessi che in famiglia nessuno avrebbe detto nulla, mi rinchiudevo nella mio prezioso segreto quasi fosse sintomo di indipendenza – anche se così mi trasformavo in dipedente dai capricci altrui. Finché mia madre non spiò certe conversazioni dal mio pc tramite i pop-up di notifiche che si accendevano sulla destra dello schermo. Mia madre quando il giorno dopo ne parlammo si mise a piangere. Non perché avesse un figlio gay, ma per la paura del mondo che ci circonda, per la paura di quello che gli altri avrebbero potuto farmi in quanto gay o discriminarmi in quanto “diverso”. Passato il momento ha però accettato sempre sia in famiglia che in casa le mie compagnie. Le feci promettere che non doveva dirlo ad altri parenti perché volevo essere io a farlo. Nel giro di due settimane lo disse ai miei zii, all’amica del cuore, al compagno e pure alla vicina. Viva le mamme del sud. Con gli amici fu in realtà tutto divertente, perché, sebbene mio cugino e un’altra persona lo sapessero già da un anno, ero restio a raccontarlo agli altri, i quali, nonostante conoscessi da quasi 10 anni e che sapevo non avrebbero avuto problemi, spesso scadevano in certe “battute” che mal mi fecero pensare. Al che mi dissi “ma ijj agg sta quiet” e lo dissi mano a mano ad uno ad uno. I problemi erano solo nella mia testa. Non solo mi accettarono tranquillamente, ma mi dissero anche “Però sii scem, ce lo potevi dire prima, quando siamo andati a Madrid (ndr un viaggio fatto prima insieme) ci organizzavamo per andare ad un locale gay”.
In definitiva, mi viene triste da dire che sono un ragazzo fortunato nella odierna società italiana, e spesso partenopea, dove vedo tanti altri conoscenti che devono rimanere zitti altrimenti vengono cacciati di casa o altri che lo sono già stati. E’ una cosa triste perché il mio passaggio del coming out, per quanto un atto dovuto solo a me stesso, è stato molto naturale e indolore. Come dovrebbe essere sempre.”

“Ho notato un particolare denominatore comune nei miei “coming out”, e cioè che l’esigenza di dirlo ai miei amici prima e ai miei familiari dopo nascesse nel momento in cui cominciavo a vivere una storia d’amore serena. Per questo non ricordo di avere MAI detto a nessuno “Sono gay” ma… “amo Francesco” (o quello che fosse il nome del mio fidanzato di turno). Forse pensavo che anteponendo l’affettività alla sessualità la notizia potesse essere accolta più serenamente. Del resto ho sempre provato imbarazzo nel definirmi gay, pur non rinnegandolo mai. Non so perché.”

“Il mio coming out è stato necessario. Un giorno ho avvertito chiaramente il bisogno di rivelare alla mia famiglia che quell’amico spesso ospite a casa, a cui loro volevano molto bene, era in realtà il mio compagno. E avevo bisogno che lui, in QUEL periodo della mia vita, mi fosse accanto senza la paura di apparire invadente. Non avrei mai superato quel periodo nero da solo, con mio padre nel letto consumato da una malattia che lo spegneva giorno dopo giorno. Per me era importante che anche lui, come mio cognato per mia sorella insomma, fosse una presenza naturale e riconosciuta. E riuscì a starmi accanto ogni volta che poteva: accanto al letto mentre cambiavo le flebo di mio padre, nella stanza calda e asettica di un’ospedale, fino alla rassegnazione e al dolore della camera ardente.
Oggi non riuscirei a concepire la mia vita senza quella rivelazione, sarebbe come rinnegare una parte di me alle persone a cui più voglio bene.”

 

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Sono nato in Puglia, terra di ulivi e mare, e oggi mi divido tra la città Eterna e la città Unica che mi ha visto nascere. La scrittura per me è disciplina, bellezza e cultura, per questo nella vita revisiono testi e mi occupo di editing. Su BL Magazine coordino la linea editoriale e mi occupo di raccontare i diritti umani e i diritti lgbt+ nel mondo... e mi distraggo scrivendo di cultura e spettacolo!

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