Ieri il Parlamento ha bocciato l’ordine del giorno proposto da Fratelli d’Italia sulla castrazione chimica con 126 voti a favore e 383 contrari. La terapia del “blocco androgenico“, proposta nell’ambito del ddl “Codice rosso” che rafforza le tutele per le vittime di violenza domestica, è una delle storiche battaglie della destra italiana, tanto da rispuntare fuori a ogni legislatura come deterrente ai reati di stupro e pedofilia.
Per quanto suggestiva, però, l’idea di punire i colpevoli di reati orrendi con la castrazione chimica ravvisa, di fatto, estremi di incostituzionalità e risibili riscontri pratici sul piano della prevenzione della violenza. Cerchiamo di capire insieme il perché.
Castrazione chimica: cos’è
La castrazione chimica consiste in una terapia farmacologica che comporta l‘inibizione e la repressione del desiderio sessuale (calo della libido), agendo sull’apparato riproduttivo maschile (o anche femminile) e nello specifico sulle gonadi (testicoli per gli uomini e ovaie per le donne), organi riproduttivi che secernono gli ormoni sessuali come il testosterone o gli estrogeni.
Attraverso la castrazione chimica, utilizzando farmaci cosiddetti anafrodisiaci, si possono curare tumori ormono-dipendenti come il cancro alla prostata. Si tratta di una terapia reversibile, in quanto le gonadi possono tornare a produrre ormoni sessuali una volta sospesa l’assunzione dei farmaci.
Si definisce una castrazione a scopo conservativo, perché non prevede l’asportazione fisica delle gonadi come nella castrazione chirurgica (o fisica), che è sempre irreversibile.
Oltre al calo della libido, la castrazione chimica riduce le fantasie sessuali, la capacità di eccitazione sessuale e una serie di effetti collaterali spiacevoli, fisici e psicologici, sia nell’uomo che nella donna: aumento di adipe su fianchi, cosce e mammelle, diminuzione dei peli sul corpo, maggiore probabilità di contrarre malattie cardiovascolari, e agevolare l’insorgere di diabete e osteoporosi.
In alcuni paesi del mondo, la castrazione è prevista come tipo di pena per i reati a sfondo sessuale.
Dove si applica la castrazione chimica
In Europa sono 14 i Paesi in cui si può ricorrere alla castrazione chimica: Francia, Germania, Belgio, Regno Unito, Danimarca, Svezia, Finlandia, Norvegia, Islanda, Estonia, Lituania, Polonia, Ungheria e Russia. Al di fuori del nostro continente, la castrazione è prevista in otto Stati degli Stati Uniti: California, Florida, Georgia, Louisiana, Montana, Oregon, Wisconsin e Texas, dove però la castrazione è fisica, non chimica; e a questo elenco si aggiungono Israele Argentina, Australia, Nuova Zelanda.
Bisogna però fare dei distinguo: ogni paese ha una propria legislazione in materia che mette al centro, tuttavia, i bisogni e le esigenze del condannato, valutandola come mera opzione non esente da limitazioni.
Anzitutto, in Europa la castrazione chimica non è mai coatta ma si effettua su base volontaria (diversamente sarebbe una pratica assimilabile alla tortura e pertanto incostituzionale nella maggior parte dei paesi dove è prevista), e con il consenso informato dei soggetti interessati.
In Finlandia, ad esempio, si adotta solo se dimostra di alleviare l’ossessione mentale del condannato per i suoi impulsi sessuali, mentre in Danimarca, Norvegia Germania e Svezia è praticata esclusivamente in seguito alla dimostrazione dell’impossibilità di controllo degli istinti sessuali criminali del soggetto. In ogni caso si tratta di un’applicazione informata su tutti i possibili effetti collaterali. In Belgio può essere adottata per agevolare la libertà condizionale del condannato per reati sessuali.
Solo in Polonia e Russia è prevista la castrazione chimica a scopo punitivo per violenza sessuale verso minorenni (Polonia) o minori di anni 14 (Russia) e parenti stretti, e in seguito ad un parere medico.
Negli Stati Uniti, la castrazione chimica è sempre punitiva.
Castrazione chimica: la proposta in Italia
L’odg proposto da Fratelli d’Italia e sostenuto dalla Lega, bocciato ieri alla Camera dei Deputati, segue il ritiro dell’emendamento della stessa lega che prevedeva una modifica dell’articolo 165 del Codice Penale e l’inserimento del 4 bis al ddl Codice Rosso, introducendo un “trattamento inibitore della libido“. In questo modo si offrirebbe al condannato la “sospensione condizionale della pena subordinata a trattamenti terapeutici o farmacologici inibitori della libido“. Una proposta, lontana dal concetto di obbligatorietà (vietata dalla costituzione) per ottenere una sospensione della pena.
Un emendamento depositato dall’onorevole Turri al ddl Codice Rosso prevede questo trattamento per gli autori di violenza sessuale ma anche di altri abusi come un palpeggiamento.
Castrazione chimica: è davvero efficace?
Senza inerpicarsi in troppi giri di parole, la castrazione chimica è l’ennesimo provvedimento che punta più a cavalcare il consenso popolare sfruttando tematiche sensibili come la pedofilia e la violenza sessuale che a fungere come deterrente per i suddetti reati (e l’esperienza USA insegna).
A sfavore della castrazione chimica ci sono almeno due ordini di ragioni: criminologiche e pratiche.
A livello criminologico, andrebbe approfondita la natura della violenza e dell’ abuso sessuale, che prescinde, nella maggior parte dei casi, da pulsioni sessuali fisiologiche incontrollabili e che invece affonda le cause nell’esercizio del potere e nella sottomissione fisica. Non è scontato, né scientificamente provato che, una volta represso lo stimolo sessuale, diminuisca di conseguenza anche l’istinto di rabbia di chi è soggetto a compiere atti di violenza che prevedono l’umiliazione, la dominazione e il controllo della vittima come attività satisfattoria.
A livello pratico, tuttavia, saremmo di fronte alla sospensione della pena di un soggetto con evidenti repressioni fisiche che potrebbero sfociare nel bisogno di sfogare il proprio bisogno di controllo in altro modo. Oltre a questo, la castrazione non sarebbe di ostacolo per tutta una serie di reati a sfondo sessuale che vedrebbero autori la criminalità organizzata (magari verso prostitute o transessuali) o perfino le donne. In quest’ultimo caso, l’applicazione della legge sarebbe impossibile e si ravviserebbero problemi di costituzionalità.
La castrazione chimica, inoltre, presenta problemi di ordine sanitario per via degli effetti collaterali (di cui si è parlato su) come aumento dell’ipertensione e diabete: malattie invalidanti che potrebbero compromettere l’integrità fisica dei condannati, creando un pericoloso precedente nel sistema penale del Paese.
Nel nostro Paese esiste un sistema punitivo atto alla riabilitazione del condannato. Per quanto ci si possa macchiare di reati orribili e disumani, che compromettono lo stato psicologico di esseri umani deboli e indifesi, l’obiettivo primario della pena non deve mai contrastare i principi costituzionali.
“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato“.
Art. 27 Costituzione