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Coronavirus: l’aborto diventa “non essenziale” in Ohio e Texas

- 25/03/2020


Ci risiamo. Nonostante l’emergenza globale del Coronavirus, non si manca mai l’occasione di mettere in secondo piano i diritti delle donne.

In Ohio e in Texas, infatti, se una donna durante questo periodo di emergenza avesse la necessità di abortire, non può farlo in quanto diventato procedura medica “non essenziale”. Il divieto è stato emesso dai due stati al fine di tenere disponibili le forniture mediche essenziali come mascherine, guanti e camici monouso, per far fronte all’epidemia di Coronavirus

“Si ordina a voi e alla vostra struttura di smettere immediatamente di eseguire aborti chirurgici non essenziali ed elettivi”, ha scritto il procuratore generale dell’Ohio Dave Yost in una lettera alle cliniche che praticano interruzioni di gravidanza citata da CBS News. “Gli aborti non essenziali sono quelli che possono essere rimandati senza rischio eccessivo per la salute attuale o futura della paziente”, ha aggiunto. Ok la salute, ma la scelta individuale della donna?

Ken Paxton, procuratore generale del Texas, ha invece dichiarato che consultori e cliniche che praticano aborti sono soggetti a un ordine esecutivo del governatore: “Nessuno è esente dall’ordine su interventi chirurgici e procedure inutili dal punto di vista medico“, ha affermato.

L’ordine scadrà il 21 aprile, ma prima di allora qualsiasi operatore medico che fornisca aborti è passibile di sanzioni, sotto forma di multe fino a mille dollari o 180 giorni di carcere.

Intanto, le associazioni pro-life e anti-abortiste stanno spingendo molto per chiedere che il divieto venga esteso a livello nazionale e non è impossibile pensare che ciò non accada. L’America non vede di buon occhio il diritto all’aborto: solo nell’anno precedente, in ben quattro stati USA sono state approvate leggi che vietano l’aborto oltre le sei settimane dal concepimento, un termine che di fatto limita moltissimo la possibilità di interrompere una gravidanza.

In Ohio l’IVG è normalmente possibile fino alla 20a settimana (in Svizzera fino alla 12a) ed è attivamente scoraggiato dallo Stato. Una donna che voglia richiedere un’interruzione di gravidanza deve infatti sottoporsi a due consulenze statali a distanza di almeno 24 ore l’una dall’altra volte proprio a farla desistere. Nello stato solo i consultori del gruppo Planned Parenthood hanno comunicato che continueranno a praticarne, nonostante il rischio di sanzioni.

In Texas la situazione è simile a quella dell’Ohio e non è delle migliori. Due sono statele proposte di legge anti-abortiste lo scorso anno: non solo i medici possono non dare informazioni su eventuali anomalie fetali o malattie genetiche alle donne incinte, così da disincentivarne la scelta dell’aborto, ma vogliono vietare anche l’uso di una comune procedura durante le interruzioni di gravidanza, considerata una delle più sicure in assoluto.

I sostenitori del diritto all’aborto sono chiaramente insorti affermando che si tratta di un affronto a tutte quelle donne che sono alle prese con decisioni difficili tra le interruzioni di gravidanza e la pandemia.

Settimana scorsa Gruppi di ginecologia statunitensi, tra cui l’American College of Obstetricians e Gynecologists, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta che chiede la protezione degli aborti durante la crisi.

“È anche un servizio sensibile al tempo per il quale un ritardo di diverse settimane, o in alcuni casi anche giorni, può aumentare i rischi o renderlo completamente inaccessibile”, ha detto il comunicato stampa. “Le conseguenze dell’incapacità di ottenere un aborto influenzano profondamente la vita, la salute e il benessere di una persona.”

“L’aborto può essere una corsa contro il tempo che è un fattore chiave e l’assistenza sanitaria è essenziale – ha dichiarato Katherine Hancock Ragsdale, presidente della National Abortion Federation – Le donne meritano di meglio di uno sfrenato sfruttamento di una crisi sanitaria per promuovere un programma anti-aborto.”

Una cosa è certa: se in un momento di tale emergenza l’IVG viene vietata, la società non considera la legge 194 un sacrosanto diritto, acquisito da innumerevoli lotte femministe, ma una gentile concessione che può essere ritirata in qualsiasi momento.

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Classe 1990, Pescarese di adozione. Attivista transfemminista e co-fondatrice del Collettivo Zona Fucsia, si occupa da sempre di divulgazione femminista. È speaker radiofonica e autrice in Radio Città Pescara del circuito di Radio Popolare con il suo talk sulla politica e attualità "Stand Up! Voci di resistenza". Collabora nella Redazione Abruzzo di Pressenza. È infine libraia presso la libreria indipendente Primo Moroni di Pescara e operatrice socio-culturale di Arci.

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