Come anticipato nel precedente articolo, la Legge Cirinnà ha introdotto e disciplinato oltre alle Unioni Civili, riservate alle sole coppie omosessuali, altri due istituti che possono essere utilizzati tanto dalle coppie eterosessuali quanto dalle coppie omosessuali.
Ad onor del vero, sebbene la Legge Cirinnà parli di due istituti diversi, quali la convivenza di fatto ed il contratto di convivenza, si tratta in realtà di diversi livelli di tutela connessi al medesimo istituto della convivenza di fatto.
Sta alla coppia decidere se stipulare o meno un contratto di convivenza.
La differenza, tuttavia, tra stipulare o meno il contratto esiste non solo e non tanto sul piano giuridico quanto soprattutto sul piano sostanziale. Premettendo che non si vuole fare polemica occorre, tuttavia, tenere conto di due diverse circostanze.
La prima: in Italia la convivenza, soprattutto tra omosessuali, non è accettata ed in assenza di un contratto ben ci si potrebbe trovare innanzi a terzi che, sebbene del tutto estranei al rapporto, impediscano col loro atteggiamento il corretto esercizio dei diritti spettanti al convivente.
La seconda: il rapporto di convivenza, come tutti i rapporti ed i contratti, può sciogliersi anche in materia unilaterale. Tenuto conto che l’amore è bello finché dura, una corretta tutela non può che far bene.
Cosa comporta una convivenza di fatto?
La legge non fa sorgere dalla mera convivenza alcun nucleo familiare ma elenca una serie di prerogative che devono, o meglio dovrebbero, essere riconosciute ai conviventi.
Quali sono queste prerogative?
Ne sono state riconosciute sette (7) ovvero:
1. I diritti previsti dall’ordinamento penitenziario;
2. Il diritto di visita in ospedale;
3. La delega per il consenso medico;
4. Il diritto di successione nel contratto di locazione;
5. Il diritto di abitazione nella casa ove si è svolta la convivenza per un limitato periodo di tempo;
6. La fruizione di condizioni preferenziali per l’assegnazione delle case popolari;
7. Il diritto al risarcimento del danno in caso di sinistro.
E’ necessario stipulare un contratto di convivenza?
Assolutamente no, ma è vivamente consigliabile perché veramente troppi aspetti sono stati lasciati indefiniti e privi di tutela.
Stipulare questa tipologia di contratto conviene anche perché il contenuto è assolutamente libero.
Ogni coppia, quindi, può creare un contratto, definendone le pattuizioni, tenuto conto delle specifiche esigenze.
Quali caratteristiche, secondo la Legge, deve avere il contratto di convivenza?
Per la Legge il contratto deve avere forma scritta a pena di nullità.
Può essere stipulato tanto un atto pubblico quanto una scrittura privata. Nel caso in cui si opti per una scrittura privata, le firme devono essere autenticate da un Notaio o da un Avvocato che deve anche attestare la conformità delle pattuizioni all’ordine pubblico ed alle norme imperative.
Occorre inoltre precisare che laddove nel contratto vogliano essere inserite delle pattuizioni connesse agli immobili oppure relative alla nomina, reciproca e non, di un tutore e/o amministratore di sostegno sarà necessario rivolgersi ad un Notaio.
Così come solo l’atto redatto innanzi ad un Notaio potrà essere considerato titolo immediatamente esecutivo e, quindi, attivabile dal convivente che volesse agire in giudizio per il rispetto delle regole ivi fissate.
Cosa si può disciplinare col contratto di convivenza?
Praticamente tutto, con l’unico limite che le pattuizioni non devono essere contrarie all’ordine pubblico o alle norme imperative. Si può, a titolo esemplificativo e non esaustivo, decidere la sorte della casa ove la coppia abita, si può definire il regime patrimoniale della coppia, si può fissare un obbligo di versare gli alimenti.
Esistono dei diritti riconosciuti ai conviventi?
Solo la sottoscrizione del contratto di convivenza fa sorgere dei diritti poiché nel caso di convivenza di fatto si parla di prerogative. Sono stati previsti dei diritti minimi che in parte coincidono con le prerogative.
Ai conviventi sono stati riconosciuti gli stessi diritti che spetterebbero ai coniugi nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario quali il diritto di visita e la possibilità di astenersi dal testimoniare;
In caso di malattia e/o ricovero ospedaliero il convivente ha diritto non solo di visitare il proprio partner ma anche di essere messo al corrente dello stato di salute dello stesso al pari di qualsiasi familiare. Sarà il convivente a dover prestare il proprio consenso alle cure e alle terapie e sempre a lui spetterà la decisione connessa al tema della donazione degli organi.
Qualora esista una impresa familiare anche il convivente dovrà farne parte ed in relazione all’apporto fornito avrà diritto alla partecipazione agli utili.
Qualora il convivente proprietario dell’immobile muoia al partner dovrà essere riconosciuto il diritto di abitare nella casa per un periodo di due anni o per un periodo pari alla durata della convivenza, se superiore a due anni, e comunque non oltre i cinque anni.
Nel caso in cui il convivente non fosse proprietario ma solo intestatario del contratto di locazione allora il partner ha facoltà di subentrare nel predetto contratto.
Qualsiasi ulteriore decisione, a tutela del proprio partner, successiva all’evento morte deve essere inserita all’interno del testamento poiché nel caso di convivenza la Legge non ha previsto alcuna tutela per il convivente sopravvissuto.
Il partner ha diritto di essere indicati come tutore, curatore e/o amministratore di sostegno;
Viene sancito il diritto ad avere una strada preferenziale per l’accesso alle case popolari;
Nel caso in cui il decesso del proprio convivente avvenga per fatto illecito commesso da terzi, il convivente superstite può agire per ottenere il risarcimento del danno.
Il diritto agli alimenti: nel caso in cui uno dei conviventi, al termine del rapporto, versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere autonomamente alle proprie esigenze avrà diritto di rivolgersi all’Autorità Giudiziaria per chiedere gli alimenti.
Verificata la sussistenza dei predetti requisiti, il Giudice assegnerà gli alimenti per un periodo proporzionato alla durata della convivenza. La quantificazione degli stessi avverrà effettuando un bilanciamento tra lo stato di bisogno del richiedente e le condizioni economiche di chi è tenuto a versarli.
Si può sempre sottoscrivere un contratto di convivenza?
No, sono previste cinque cause di nullità che sono molto simili a quelle che vietano l’unione civile.
Queste cause di nullità sono:
a) l’esistenza di un precedente matrimonio, unione civile o contratto di convivenza;
b) la mancanza della convivenza di fatto;
c) la minore età di uno dei contraenti;
d) l’interdizione e/o inabilitazione di uno dei contraenti
e f) la condanna di uno dei due contraenti per tentato o consumato omicidio del coniuge dell’altro.
Si può porre una durata al contratto di convivenza?
Assolutamente no. Qualsiasi disposizione in tal senso verrebbe considerata come non apposta. Il contratto, infatti, può essere risolto solo nei casi e nei modi previsti dalla legge.
I modi previsti sono quattro:
- Accordo delle parti: i conviventi, resosi conto della fine del rapporto, decidono concordemente di risolvere il contratto;
- Recesso unilaterale: sono un convivente vuole cessare il rapporto;
- Matrimonio o Unione Civile;
- Morte di uno dei contraenti;
In caso di accordo o di recesso esiste un iter da seguire?
Si , il contratto di convivenza ha forma scritta ed anche la sua risoluzione deve averla.
Basterà, quindi, recarsi da un Notaio o da un Avvocato per procedere alla risoluzione. Ricordando che solo il Notaio può effettuare la risoluzione se connessa alla stessa vi è anche il trasferimento di immobili.
Nel caso di recesso unilaterale: il professionista che redige o autentica l’atto deve notificarne copia all’altro contraente.
Occorre sottolineare che qualora l’immobile sia di proprietà esclusiva di uno dei conviventi non basta notificare il recesso per “mettere alla porta” il convivente.
La dichiarazione di recesso, a pena di nullità, deve contenere un termine, non inferiore a novanta giorni, entro il quale il convivente non proprietario deve lasciare l’immobile.
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