Come diceva Simone De Beauvoir: “Non dimenticate mai che sarà sufficiente una crisi politica, economica o religiosa perché i diritti delle donne siano rimessi in discussione. Questi diritti non sono mai acquisiti. Dovete restare vigili durante il corso della vostra vita”.
Mai frase più attuale, soprattutto durante questa emergenza coronavirus che è tristemente diventata fautrice di una crisi politica, economica e in parte anche religiosa.
Il diritto che sembra essere più fragile in questo periodo è proprio quello dell’IVG, l’interruzione volontaria di gravidanza, diritto acquisito in Italia il 22 Maggio del 1978 grazie alla legge 194 ma che fa tremare le associazioni pro-vita e pro “famiglia tradizionale”.
In Ohio e Texas l’aborto è diventato ufficialmente “non essenziale” e quindi vietato, e ci stanno provando anche in Italia. Infatti, ProVita e Famiglia, uno dei maggiori gruppi pro-life in Italia, ha avviato una petizione online indirizzata al ministero della Salute per chiedere di vietare l’aborto negli ospedali, considerata una pratica medica non indispensabile in questo periodo di emergenza.
La petizione, che ha raccolto già più di 12mila firme, paragona le interruzioni di gravidanza alle morti da Covid-19, sostenendo inoltre che l’operazione chirurgica possa togliere mascherine, camici, personale medico e risorse economiche all’emergenza coronavirus (argomentazioni simili avanzate per sospendere il servizio IGV in Ohio e Texas).
Attualmente il servizio abortivo non ha subito alcun tipo di variazione tranne per alcuni ospedali del nord, particolarmente colpito dal virus.
Tantissimi gruppi femministi come la Rete Pro Choice italiana e Non una di meno, stanno lavorando molto non solo per monitorare la situazione, segnalando gli ospedali che praticano il servizio, ma per spingere il potenziamento della distribuzione del farmaco RU486, eseguibile anche fuori dall’ambiente ospedaliero ma ancora troppo poco utilizzato in Italia.
“Anche l’obbligo di degenza in ospedale per tre giorni, così come previsto dalla normativa vigente, è di fatto revocabile, in quanto inutile e al momento gravoso per le nostre strutture ospedaliere” afferma Non Una di Meno “Questa è l’occasione per ripensare ai termini imposti solo in Italia delle sette settimane entro cui è possibile ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza farmacologica, mentre negli altri paesi il limite è di nove settimane, permettendo a più donne così di evitare l’intervento chirurgico pur restando nei limiti di una pratica sicura”..
“Siamo tutti e tutte impegnate in questa lotta contro la diffusione dell’epidemia da Covid-19 – si legge in una lettera invita da Non una di meno della Liguria, regione in cui l’aborto viene garantito in tutte le province – ma nonostante la nostra quotidianità si sia modificata radicalmente, gli aspetti legati alla fase della vita e della salute delle donne sono rimasti gli stessi e questo può essere il momento di apportare dei cambiamenti per migliorare la risposta ai bisogni relativi al benessere delle persone”
Solo l’anno scorso la marea transfemminista ha invaso le strade di Verona per protestare contro il convegno delle famiglie tradizionali con enorme successo. Ma solo 365 giorni dopo ci ritroviamo ancora a dover leggere petizioni online come queste e a veder paragonati gli aborti a degli omicidi.
Di una cosa però siamo tristemente certi: non si manca mai l’occasione di attaccare i diritti delle donne.