Per i “Pro Vita & Famiglia” il ddl Zan è uscito dalla porta ed è entrato dalla finestra, ma in realtà il discorso è più complesso di così. Cerchiamo di seguirlo insieme.
È accaduto che ieri, nel decreto infrastrutture approvato al Senato con 190 voti favorevoli e 34 contrari, e sul quale il governo aveva posto la questione di fiducia, è stato inglobato un emendamento che ha vietato l’affissione di messaggi pubblicitari discriminatori.
Ecco l’emendamento:
È vietata sulle strade e sui veicoli qualsiasi forma di pubblicità il cui contenuto proponga messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso o dell’appartenenza etnica oppure discriminatori con riferimento all’orientamento sessuale, all’identità di genere o alle abilità fisiche e psichiche.
Il divieto per molti versi ricorda il contenuto del ddl Zan, ed è integrato con le altre fattispecie previste dalla legge Mancino (credo religioso e appartenenza etnica). Come rivelato poi dal giornalista dell’espresso Simone Alliva, l’emendamento porta la firma, oltre che della Sen. Alessia Rotta (PD), anche di Raffaella Paita di Italia Viva. E chi, se non Italia Viva, aveva prima chiesto la previsione delle definizioni di sesso, identità di genere e orientamento sessuale con l’emendamento Annibali alla Camera, e poi fatto naufragare la legge stessa al Senato mettendone in discussione l’impianto generale partendo proprio dal concetto di identità di genere?
Delle due l’una: o quell’emendamento è rimasto eredità di una linea politica “illuminata” che nessuno si è premurato di correggere dopo il 27 ottobre nelle sedi opportune, oppure è chiaro che l’affossamento del ddl Zan da parte dei renziani e del resto della maggioranza di governo (formata anche da Forza Italia e Lega) è stato un mero calcolo politico fatto sulla pelle delle persone lgbt+.
Pro Vita & Famiglia “Emendamento liberticida”
Chi in queste ore ha alzato la propria voce contro un nuovo “bavaglio” è Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia, che ha tuonato contro il Governo Draghi rievocando il consueto spettro del gender.
«La dittatura gender non è entrata con il cavallo di Troia del ddl Zan e ora surrettiziamente il Governo Draghi l’ha inserita ugualmente nel Dl Infrastrutture con un emendamento liberticida, a causa del quale non sarà più possibile fare affissioni o camion vela contro il gender, l’utero in affitto e le adozioni per coppie omosessuali. In più, come se non bastasse è stata legittimata la fluidità di genere, come al solito sotto le mentite spoglie delle discriminazioni».
Davvero un brutto colpo per chi fa della reiterata offesa verso la comunità lgbt+ l’argomento principale della sua propaganda, senza valutare che la libertà di espressione non è libertà di offesa, né di umiliazione, e trova un limite inviolabile nella tutela della dignità umana.
Ricordiamo che tre anni fa, Pro Vita & Famiglia aveva disposto l’affissione di un orribile cartellone pubblicitario che ritraeva un bambino marchiato con codice a barre in un carrello della spesa con due uomini sullo sfondo, e la dicitura #StopUteroInAffitto, pratica vietata dalle leggi italiane ma comunque realizzata all’estero in gran parte da coppie eterosessuali. Alcuni comuni avevano rimosso il manifesto rifacendosi al codice etico sulle affissioni, il cui contenuto è stato esteso a livello nazionale proprio nel decreto infrastrutture.
Non solo gender, comunque: in questi anni la Onlus conservatrice non si è fatta mancare affissioni contro i diritti delle donne, in particolare quelli legati all’interruzione di gravidanza, caratterizzati dall’uso di un linguaggio violento e dall’abuso di contenuti manipolati.
Ovviamente il decreto non colpirà solo i detrattori dei diritti lgbt+ ma aiuterà anche a evitare di imbattersi in maessaggi promozionali discutibili come questo, questo e questo.
Spiace, ma i Pro Vita e i sessisti di professione dovranno trovare nuovi argomenti per farsi notare.