In questi giorni di quarantena, la mia televisione è perennemente sintonizzata su Rai Storia, canale che, a mio avviso, non delude mai il suo pubblico offrendo sempre spunti di riflessione molto stimolanti ed è uno dei pochi che non ha cambiato la sua programmazione per raccontarci unicamente del virus.
Nei giorni scorsi mi è capitato di vedere il film documentario di Fabio Cavalli Viaggio in Italia. La Corte Costituzionale nelle carceri nel quale si raccontava come sette giudici hanno incontrato i detenuti di sette istituti penitenziari: Rebibbia a Roma, San Vittore a Milano, l’istituto minorile Nisida di Napoli, Marassi a Genova, Terni, l’istituto femminile di Lecce e Sollicciano a Firenze.
La visione di questo documentario ha attirato la mia attenzione per le diverse tematiche affrontate, quali l’importanza della presenza di un carcere nel centro della città, come nel caso di San Vittore; la rieducazione e il reinserimento del detenuto nella società, tematica affrontata in tutte le visite; il funzionamento di un istituto minorile; essere madri e allo stesso tempo detenute, come avviene nella struttura di Lecce.
Essere una detenuta transgender: violenza e isolamento
Il tema che più mi ha colpito però è stato quello inerente alla sezione transessuali presente nel carcere maschile di Firenze, dove la dottoressa Silvana Sciarra, membro della Corte Costituzionale, ha avuto modo di conoscere coloro che vivono all’interno di quest’ala e in particolare Lucia, che racconta di essere una detenuta transgender, riconosciuta civilmente donna dal tribunale di Firenze ma rinchiusa nel carcere maschile.
In realtà a Sollicciano le detenute transessuali sono state spostate dall’ala maschile del carcere, a partire dal 2005, permettendo così alle recluse transgender una condivisione delle attività e degli spazi collettivi con le altre detenute e di ricevere una vigilanza da parte del personale femminile.
Il caso della capitale toscana, però, è una sperimentazione. Nelle carceri di Belluno, Roma, Napoli e Rimini esiste una sezione transessuali all’interno dei poli maschili, mentre nel resto d’Italia queste detenute vengono mandate in isolamento per evitare che vengano violentate dagli altri reclusi.
Risolvendo, quindi, il problema delle violenze ne viene creato un altro, perché è noto agli addetti ai lavori che un isolamento continuo contribuisce ad alimentare e accrescere stati di disagio fisico e psichico.
Disciplina normativa
Dal punto di vista legislativo, il codice italiano determina che, nell’assegnazione di un detenuto a un determinato istituto, si deve guardare al nome e al sesso anagrafico del soggetto (art.14, ultimo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354) per cui il soggetto transessuale non operato è destinato ad un istituto maschile a prescindere dalla sua volontà.
Tra la fine del 2008 e l’inizio del 2010 sembrava che il nostro paese fosse riuscito a trovare una soluzione al problema, manifestando la volontà di aprire un carcere completamente dedicato ai detenuti transgender, prevedendo corsi di formazione per il personale di custodia e cure ormonali per i reclusi.
La casa circondariale di Pozzale, vicino ad Empoli, era stata individuata come sede di questo nuovo polo e i lavori di ristrutturazione erano già stati iniziati quando, dopo pochi mesi, il ministero della giustizia, all’epoca guidato da Angelino Alfano, decise di cambiare idea e bloccare tutto.
Il problema del trattamento ormonale
Il collocamento dei reclusi transgender non è l’unico problema che emerge all’interno delle celle. Prendiamo in considerazione il trattamento ormonale, che ha lo scopo di cercare di sviluppare caratteristiche sessuali secondarie femminili come la ridistribuzione del grasso con incremento su cosce, fianchi e natiche, il rallentamento della crescita dei peli e della barba e lo sviluppo delle mammelle.
Essendo una materia sanitaria di competenza regionale, solo la Toscana e l’Emilia Romagna hanno firmato dei protocolli d’intesa ministeriali per garantire la gratuità del trattamento all’interno degli istituti penitenziari, mentre nel resto dello stivale le spese rimangono a carico del detenuto che, il più delle volte, si trova costretto a dover interrompere la terapia a causa delle poche entrate.
Quello di cui stiamo parlando è una tema tanto complesso quanto delicato, ma ricordiamo che l’istituto penitenziario italiano è stato concepito come un sistema rieducativo, dove i detenuti devono essere accolti e non solo ospitati, e dove ogni minoranza deve essere tutelata.
Per questo motivo il ministero della giustizia dovrebbe formulare risposte concrete per accogliere anche i/le detenut* transgender ed evitare che debbano scontare un’ulteriore condanna, oltre a quella legata ai reati commessi, a causa della loro persona.