Se il mondo occidentale pare avere ormai riconosciuto appieno i diritti delle persone dello stesso sesso, l’avanguardistico Giappone sembra procedere a passi lentissimi verso l’affermazione di una cultura dei diritti lgbti.
Per secoli, gli atti omosessuali sono stati accettati dai monaci buddisti e praticati dai samurai. Tutto questo fino alla metà del XIX secolo, quando il Giappone ha cominciato a uniformarsi al modello occidentale fino a reprimere e nascondere l’omosessualità.
Da allora, la situazione non è cambiata.
Pur essendo l’omosessualità perfettamente legale, tanto da permeare anche le storie di manga e anime provenienti dal Sol levante, la legislazione in favore della comunità lgbti è blanda e del tutto insufficiente. Ciò che manca del tutto è il concetto di famiglia che si può sviluppare attorno ad una coppia di soli uomini e sole donne.
La legislazione lgbt in Giappone oggi
Mentre nella capitale Tokyo vige una normativa embrionale inerente alla discriminazione degli omosessuali sul posto di lavoro e per la fornitura di beni e servizi, non vi sono forme di riconoscimento delle coppie omosessuali, eccetto qualche caso specifico.
Dieci comuni giapponesi, ad esempio, hanno emanato ordinanze di “partenariato” per le coppie dello stesso sesso, per rendere ad esempio più agevole l’affitto di un appartamento, ma che non possiedono valore legale: se la costituzione pare non essere ostativa verso il matrimonio egualitario, ci sono alcune norme del codice civile che permettono il matrimonio solo tra un uomo e una donna.
Inoltre, da marzo 2009 il Giappone permette ai propri cittadini omosessuali di contrarre matrimonio all’estero. In seguito a questo, il ministro della giustizia ha ordinato alle autorità locali di emettere appositi certificati per consentire loro di sposarsi. La trascrizione del matrimonio contratto all’estero in Patria, però, appare come un problema di difficile risoluzione.
“Matrimoni per tutto il Giappone”: la protesta di San Valentino
Tredici coppie gay, giovedì 14 febbraio, hanno manifestato davanti al tribunale distrettuale di Tokyo perché venisse loro riconosciuto il diritto costituzionale all’uguaglianza, con in mano la trascrizione del certificato di matrimonio e diversi striscioni. Casi analoghi si sono registrati anche a Osaka, Nagoya e Sapporo.
Uno degli attivisti, Kenji Aiba, unito in matrimonio all’estero con il suo compagno Ken Kozumi nel 2013, ha detto ai giornalisti che avrebbe “combattuto questa guerra insieme alle minoranze sessuali in tutto il Giappone“. Purtroppo, per la legge giapponese, Kenji e Ken sono solo due amici privi di qualsivoglia diritto e tutela nei confronti del proprio partner.
Nessun interesse per la causa LGBTI
La società giapponese è estremamente conformata: tantissimi omosessuali nascondono la loro condizione temendo di subire pregiudizi e discriminazioni, in famiglia come a scuola o al lavoro. Il movimento LGBTI è piuttosto silenzioso e non ha un peso politico specifico nella società: vi è negligenza nei confronti dei bisogni di gay e lesbiche, e il tabù nei confronti del sesso della società giapponese ha contribuito a marginalizzare il problema dei diritti.
Mizuho Fukushima, avvocato ed esperto di questioni LGBTI, afferma che “Seguire un modello familiare conservatore, in cui le coppie eterosessuali dovrebbero sposarsi e avere figli, è ancora radicato nella società“.
Tomomi Inada, una speranza per la causa arcobaleno
In mezzo a tutto questo oscurantismo, una voce si è recentemente sollevata dal coro di indifferenza della politica giapponese: la conservatrice Tomomi Inada.
Tomomi Inada non sta cercando di convincere il Giappone a legalizzare il matrimonio omosessuale, né a vietare la discriminazione nei confronti dei cittadini gay, ma solo a “promuovere la comprensione” delle questioni LGBT. Anche questo, tuttavia, sembra eccessivo.
Accusata di aver “virato a sinistra” Inada, consigliere del primo ministro Shinzo Abe, ha dichiarato che quella dei diritti LGBTI è “difficile da affrontare anche personalmente, ma che non ha nulla a che fare con l’essere conservatori o liberali: è una questione di diritti umani“.
Tra le preoccupazioni del governo giapponese (ma anche dell’opposizione) che non retrocede nelle sue posizioni sui diritti, c’è di rallentare il tasso di natalità, già molto basso, e di scardinare il sistema familiare tradizionale. Per incentivare questo tipo di cultura, il Ministero dell’Istruzione ha ripreso i programmi di educazione morale nelle scuole per insegnare ai bambini la bontà dei valori familiari.
Nessuna apertura è infine giunta dal primo ministro Shinzo Abe: “Se consentire il matrimonio tra persone dello stesso sesso è un problema che influisce sul modo in cui le famiglie dovrebbero essere in Giappone, questo richiede un esame estremamente attento“.
Nessun “Sol Levante”, per il momento, sarà tinto di arcobaleno. Il problema sembra però sempre più alimentare il dibattito sociale e politico del Paese, anche in vista delle imminenti Olimpiadi del 2020.