Questa settimana per la rubrica BL Legalità commenteremo ed analizzeremo l’ordinanza n. 3877 emessa dalla Corte di Cassazione in data 17 Febbraio 2020.
Si tratta dell’ordinanza che ha spiegato, tra l’altro, come sia diritto di ogni cittadino che decide di cambiare il proprio sesso, scegliere anche il proprio nuovo nome.
La Corte di Cassazione, con questa ordinanza, ha stravolto quelle che erano le regole sinora seguite in caso di rettificazione del proprio sesso. Fino al 17 Febbraio, infatti, il proprio nome non poteva essere liberamente scelto ma solo modificato, ovvero era solo possibile declinare al femminile il proprio nome.
Il caso, in realtà, rasenta l’incredibile.
Ordinanza 3877 del 17 Febbraio 2020 emessa dalla Corte di Cassazione: la vicenda
Ad un cittadino, che prima della rettifica del proprio sesso si chiamava Alessandro, era stato impedito di scegliere il nome Alexandra poiché, secondo la Corte d’Appello, l’unico nome che poteva essere utilizzato / scelto era Alessandra.
Le ragioni di una tale decisione rimangono oscure, poiché la Legge in materia di rettificazione di attribuzione di sesso non impone affatto tale vincolo.
L’aspetto più assurdo della vicenda era che i giudici di secondo grado avevano accolto la richiesta di rettifica di attribuzione di sesso che in primo grado era stata negata sulla base di una CTU che riteneva non completo il processo di transizione.
Dopo aver stravolto una decisione palesemente ingiusta la Corte d’Appello, che pure aveva portato al riconoscimento di un diritto, ossia che non bisogna necessariamente ridefinire gli organi genitali primari per considerare ultimato il processo di transizione, ha negato del tutto inspiegabilmente la libera rideterminazione del proprio nome.
Posto che la Legge che disciplina la rettifica non pone alcun vincolo nella scelta del nome, occorre chiedersi su quali basi la Corte d’Appello aveva basato la propria decisione.
La risposta è… non si sa!
La legge, parlando del nome di un nascituro, impone che vi sia corrispondenza tra il nome scelto ed il sesso dello stesso e che non vi sia una lesione di diritti di terzi.
Il Giudici avevano invece ritenuto, del tutto apoditticamente, che una limitazione alla scelta del nome avrebbe dato “stabilità e ricostruibilità delle registrazioni anagrafiche”
La Corte di Cassazione ha di converso precisato che se anche fosse sussistente un interesse pubblico affinché le registrazioni anagrafiche fossero garantite e agilmente consultabili, questo comunque non avrebbe potuto superare il diritto garantito dalla Costituzione al nome.
Le indicazioni in materia di transizione
Sarebbe tuttavia riduttivo pensare che l’ordinanza debba essere ricordata solo perché dà diritto di scegliere liberamente il proprio nome. Questa ordinanza va ricordata anche per le statuizione in materia di transizione ivi contenute.
In primis, la Cassazione ribadisce che non è necessario per ottenere la rettifica dell’attribuzione di sesso che il richiedente sia stato sottoposto al trattamento chirurgico che rimuove gli organi genitali primari, ridefinendoli.
Vediamo, riportandoli, i passaggi più significativi della citata ordinanza.
“ La Corte d’appello, riformando la decisione di primo grado, richiamate le pronunce della Consulta (sentenze nn. 221/2015 e 180/2017) e di questa Corte (Cass. 15138/2017), ha ritenuto sussistenti i presupposti per dar luogo alla rettificazione prevista dalla L. n. 164 del 1982, articolo 1 non rappresentando presupposto imprescindibile il trattamento chirurgico di modificazione dei caratteri sessuali anatomici primari ed avendo accertato che non corrispondono piu’ al sesso attribuito nell’atto di nascita i caratteri sessuali ed identitari attuali del ricorrente, cosi’ disponendo la rettificazione di attribuzione di sesso da maschile a femminile, con conseguente ordine all’Ufficiale di Stato Civile di provvedere alle necessarie rettifiche sul relativo registro. All’attribuzione all’attore del sesso femminile deve necessariamente conseguire anche l’attribuzione di un nuovo nome, corrispondente al sesso.”
L’ultima frase è davvero significativa.
Precisato che non occorre alcun intervento chirurgico per ottenere il diritto a rettificare il proprio sesso, si sottolinea che dall’attribuzione del sesso femminile discende anche il diritto a scegliere liberamente il proprio nome.
E tale diritto, rammenta la stessa Corte, è un diritto costituzionale.
Ecco il passaggio “ Non emergono obiezioni al fatto che sia la stessa parte interessata, soggetto chiaramente adulto, se lo voglia, ad indicare il nuovo nome prescelto, quando non ostino disposizioni normative o diritti di terzi, attesa l’intima relazione esistente tra identita’ sessuale e segni distintivi della persona, quale il nome. La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 120/2001, ha chiaramente affermato che il nome inteso come il primo ed immediato segno distintivo, costituisce uno dei diritti inviolabili della persona protetti dalla Carta ex articolo 2 Cost., cui si riconosce il carattere di clausola aperta, con conseguente possibilita’ di evincere, dalla lettura combinata dell’articolo 6 c.c., comma 3, e degli articoli 2 e 22 Cost., la natura di diritto soggettivo insopprimibile della persona.”
Appare evidente, letti i citati passaggi, perchè l’ordinanza del 17 Febbraio 2020 è così importante.
Non è solo il diritto a scegliere il proprio nome ma è soprattutto la volontà di sottolineare l’ennesimo diritto costituzionalmente garantito che troppe volte viene ad essere negato nonché la volontà di ribadire, onde evitare una ennesima compromissione, come deve essere correttamente applicata ed interpretata la Legge sulla rettifica del sesso.