Ammetto che il titolo provocatorio ha dentro di sé il cuore del problema della causa femminista.
Ci siamo posti la domanda se fosse lecito o meno che esistano o si definiscano “uomini femministi”.
La risposta in merito, data di pancia, prevederebbe un secco NO!
Il femminismo è uno spazio per sole donne, al massimo gli uomini devono tutelare e realizzare azioni concrete affinché l’uguaglianza si compia. – Parafraso liberamente Kelly Temple, femminista inglese-
Lo spazio femminista, dunque, dovrebbe essere generato e frequentato da sole donne. Ma così facendo si ergono muri oppure inevitabilmente si crea scontro frontale: caratteristica del tutto maschile. Modus operandi che, in meno di un secolo di storia, ha portato a casa alcuni grandi risultati che ora, addirittura, potrebbero essere annientati da un Pillon qualunque.
Lo scontro genera sì fragore ma, probabilmente, ha ricalcato a pieno il modello maschile. Se l’uguaglianza significa ricalcare esattamente ciò che gli uomini sono con i loro standard e con i loro apparati, allora la causa femminista perde assolutamente di valore. Il Femminismo invece ha come urgenza quella di cambiare i modelli sociali: destrutturare il modello patriarcale per sostituirlo con qualcosa di nuovo e più efficace con tutti.
Dal verticismo al cerchio.
Per venire a capo da questa libera disquisizione dovremmo cambiare totalmente paradigma. Azzerare le consuetudini e, soprattutto per noi italiani occidentali e democratici, sederci un attimo a riflettere sulle regole del gioco che noi tutti dovremmo conoscere ed applicare.
Ma partiamo dal principio: lo scopo primo del femminismo è la totale uguaglianza tra i generi. Sul lavoro, a scuola, nelle università e via discorrendo.
Compresa questa semplicissima e sacrosanta istanza, vien da se che per la causa femminista si adoperino tutte le persone che compongano una comunità. [Nota Bene: ho volutamente utilizzato le parole “persone” e “comunità” perché ognuno di noi è persona (singolare femminile) ed ognuno di noi compone una comunità (parola bellissima dall’etimologia misteriosa quanto femminile: cummunitas dal latino e ancora prima da koinonia in greco e quindi koiné, l’unione)].
L’unione, appunto, dovrebbe essere alla base di ogni civiltà. Per secoli ci hanno propinato il mito dell’amor patrio: l’era glaciale delle intelligenze emotive. Come se i legami tra persone fossero semplicemente intrecciati da una lingua o da una bandiera. L’appartenenza non è questo. Appartenere ad una comunità è un complesso sistema di relazioni che per scelta ed entusiasmo d’essere insieme trova il compimento comune.
Ogni persona, dunque, dovrebbe essere femminista se crede nei valori di una comunità libera e democratica. Ed è qui il nocciolo della questione: il sistema democratico. L’applicazione totale del nostro sistema politico implica che ognuno di noi sia esattamente simile all’altro per possibilità, peso del pensiero e delle parole e per la valenza delle proprie scelte.
Fare in modo che nel sistema democratico non esistano persone di serie A o di serie B.
Leggendo bene il fondamento della nostra nazione, la Costituzione della Repubblica Italiana (tutte parole al femminile), applicando a dovere l’articolo 3, tutti i cittadini dovrebbero essere uguali davanti alla legge e allo stato. Ma perché non è così? Semplicisticamente qualcuno crede che per secoli l’imprimatur al di là del Tevere abbia fatto il lavaggio del cervello alle animelle cristiane d’ogni dove. Forse è solo una concausa, forse alla base di tutto ciò c’è una semplice causa primitiva: la proprietà.
Sicuramente l’appropriazione di territori, cose, cibo, anche nel mondo degli animali è caratteristica maschile. I maschi devono essere scelti dalle femmine per la loro forza ed anche per la ricchezza del proprio nido o della propria tana, addirittura molti maschi s’appropriano di molte femmine grazie al loro strato di grasso. Dato che nessuno, almeno per me maschio italiano e per moltissimi altri uomini, vorrebbe mai essere paragonato a qualche bestia della savana africana o, men che meno, a qualche strampalato pennuto di Papua Nuova Guinea o ad un obeso tricheco della Groenlandia alle prese col suo harem di feconde pinnipedi, dovremmo spenderci a far sì che questa atavica necessità scompaia dalle menti dei maschi ma, soprattutto, da quella delle donne.
Se nel 2019 stiamo ancora parlando di femminismo ed uguaglianza di genere qualcosa deve essere andato storto: in effetti l’apostolato femminista dovrebbe essere applicato ancora su molte Donne. Ragion per cui estendere e pretendere che tutti, uomini e donne, si diventi femministi aumenterebbe esponenzialmente il raggiungimento dell’obiettivo.
Gli uomini devono assolutamente battersi per l’uguaglianza salariale delle colleghe. Lasciare questa profonda disparità spiana la strada per compiere ulteriori discriminazioni nel mondo del lavoro: osservare attoniti che una categoria di persone, solo per un dettaglio anatomico, debba essere considerata meno retribuita farà si che in breve tempo, e sta accadendo, anche il mondo degli uomini subisca frazionamenti legittimati da mode o andamenti di mercato.
Vi siete mai chiesti perché negli annunci di lavoro, anche per i maschi, ci sia sempre il “di bella presenza”? Come se il valore estetico fosse una discriminante sul rendimento. Ecco, essere femministi significa anche questo: non cedere alle pressioni dei padroni e dei committenti.
Altra nota importante è la cura parentale. L’istituto della maternità è un sacrosanto diritto esattamente come quello della paternità. Ahimè nell’ultimo anno sono stati pochissimi i padri che hanno usufruito di questo diritto, ma si è genitori in due. Occorre porre rimedio a questo devastante problema. Una delle forti cause della natalità zero deriva proprio dallo squilibrio di genere e dalla convinzione tradizionale che le donne siano più portate ad essere genitori dei maschi.
Una nuova frontiera del femminismo dovrebbe essere quella di esigere il riconoscimento statale degli asili nido. Qualunque scuola di pedagogia è convinta che si possa imparare anche da piccolissimi quindi non vedo il limite di istituzionalizzare anche gli asili: inserirli tra i servizi necessari dello Stato. L’effetto di una tale svolta farebbe in modo che tutti i cittadini possano crescere sia come famiglie e sia come professionisti.
Altro motivo per essere tutti insieme femministi è che il femminismo è un valore antifascista: dico bene, antifascista! Dietro ogni sproporzione sessista v’è un chiaro disegno politico violento. Pretendere dalle donne il solo unico ruolo di fattrici-serve casalinghe, fa in modo che si azzittisca il 50% della popolazione. Ed è cosa utile per ogni regime di qualunque natura. Inoculare il germe del “Donna schiava, zitta e lava” fa in modo che la base della popolazione sia totalmente dimezzata del potenziale numero di persone dissidenti.
Dunque, se essere antifascisti è una qualità priva di genere, anche il femminismo deve esserlo.
Il femminismo è un baluardo nella storia dell’umanità.
Femminismo, per dirla alla Darwin, è evoluzione della specie che tramanda alle nuove generazioni il “gene etico” che ci distingue dagli ominidi del passato, da quel Homo Salvinis che solo con la clava e la ruspa è capace di risolvere problematiche e conflitti.
A concludere le mie riflessioni v’è un pensiero costante, forse utopico, sicuramente centrato e potenzialmente risolutivo: si può ottenere uguaglianza soltanto regalando uguaglianza, essere l’esempio d’uguaglianza totale.
Quindi per questo credo fortemente che il femminismo non sia una cosa da femmine, né tanto meno da maschi.
Il femminismo è un bene comune.