Secondo il recente rapporto Istat-Unar sulle discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBT nel 2020-2021, una persona su 5 ritiene che il proprio orientamento sessuale sia stato causa di svantaggio nella vita lavorativa, nell’avanzamento di carriera e crescita professionale nonché nel riconoscimento e nell’apprezzamento delle proprie capacità professionali.
L’orientamento sessuale non sarebbe invece percepito come motivo di discriminazione o svantaggio riguardo al reddito.
Nel complesso, recita il rapporto, il 26% delle persone occupate o ex-occupate dichiara che essere omosessuale o bisessuale ha rappresentato uno svantaggio nel corso della sua vita lavorativa.
Si rileva inoltre che 1 persona su cinque, occupata o ex-occupata in Italia, ha dichiarato di essere stato oggetto di aggressioni o di aver percepito un clima ostile nel proprio ambiente di lavoro. L’incidenza sarebbe maggiore, seppur di misura, tra le donne (21,5% contro 20,4%), sia lesbiche che bisessuali, tra i giovani (26,7%), gli stranieri o apolidi (24,7%) e le persone che vivono nel Mezzogiorno (22,6%).
Non solo mondo del lavoro
Il 38,2% delle persone che hanno contratto una unione civile o già in unione che si sono definite omosessuali o bisessuali dichiara di aver subito almeno un episodio di discriminazione in altri contesti di vita.
Tra queste persone, il 16,8% è stato costretto a trasferirsi in un nuovo quartiere o in un altro comune per poter vivere più tranquillamente il proprio orientamento sessuale (il 12% in un altro Comune, il 3,4% si è recato all’estero). Il 16,7% è stato trattato male dai vicini di casa; il 13,1% dice di essere stato trattato meno bene degli altri in uffici pubblici, mezzi di trasporto e negozi; il 10,4% ha avuto problemi in ambiente sanitario nei rapporti con medici, infermieri o altro personale socio-sanitario: si tratta di percentuali superiori a una persona omosessuale su 10.
Leggi anche: Caro datore di lavoro, questo non puoi chiedermelo!