Questa settimana per la rubrica legalità affronteremo un argomento molto delicato: quello del cambio di sesso, per restare in tema di Transgender Day of Remembrance anche con questa rubrica.
Non lo faremo, almeno per il momento, studiando la Legislazione Italiana ma analizzando, seppur brevemente, come viene visto ed anche disciplinato il cambio di sesso in alcuni paesi europei per poi concentrare l’attenzione sulla Corte Europea e sulle sanzioni, applicate anche all’Italia, in caso di mancata o non adeguata tutela.
Iniziamo col dire che non esiste una norma cui ispirarsi che indichi, o dia una traccia, di come deve essere scritta e/o applicata una Legge sul cambio di sesso.
Di proposte, non solo a livello europeo, se ne sono avanzate tantissime, ma purtroppo mai nessuna legge ha visto effettivamente la luce.
Non esiste oggi una normativa comune che disciplini l’iter per cambiare il proprio sesso in maniera univoca in tutta Europa e che spieghi in maniera chiara e limpida quelli che sono i diritti spettanti alla persona, riconducibili non solo al diritto di cambiare la propria posizione anagrafica (può sembrare una sciocchezza ma l’Italia è stata condannata proprio per questo motivo), ma anche ai diritti connessi alla reversibilità, all’eredità, alla possibilità di sposarsi anche se non c’è stato alcun intervento di riassegnazione.
Analizzando il materiale disponibile, emerge piuttosto chiaramente che il percorso psicologico e giuridico per cambiare sesso, non solo in Italia ma in tutta Europea, è un percorso ad ostacoli.
Sembra che quasi tutto sia fatto non per aiutare e non rendere semplice l’iter di cambio di sesso, in quanto sono stati elaborate delle procedure lunghe e difficili, soprattutto sul piano emotivo e psicologico, quasi per scoraggiare i richiedenti, svilirli e farli desistere dall’intento.
Cambio di sesso: le controverse normative europee
Dati alla mano si osserva che, in 19 paesi europei, tra i requisiti richiesti per cambiare sesso, e più specificatamente per cambiare l’indicazione del genere sui documenti, occorre obbligatoriamente sottoporsi ad un’operazione chirurgica.
Ed ancora, cosa ben peggiore ed assolutamente incondivisibile, in alcuni paesi non solo si richiede per un cambio anagrafico di operare il cambio di sesso ma si chiede anche di sterilizzarsi. Per tale ragione la Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha condannato la Francia nel 2017. Ma i cugini oltralpe non sono stati gli unici: fino al 2013 in Svezia e fino al 2014 in Norvegia la sterilizzazione era esplicitamente prevista come condizione!
La Corte Costituzionale italiana sulla riassegnazione del genere all’anagrafe
In Italia, invece, sempre e solo grazie all’intervento della Corte Costituzionale, sentenza n. 221/2015, che si sostituisce al dormiente Legislatore, è stato stabilito che per cambiare genere all’anagrafe non è necessario alcun trattamento chirurgico.
Sempre la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 180/2017, ha stabilito che “si può ottenere il cambio di sesso anche senza alcun intervento chirurgico sebbene resti fondamentale un accertamento rigoroso non solo della serietà e univocità dell’intento, ma anche dell’intervenuta oggettiva transizione dell’identità di genere, emersa nel percorso seguito dalla persona interessata; percorso che corrobora e rafforza l’intento così manifestato”.
Nel 2009 la stessa decisione è stata presa in Austria e nel 2011 anche in Germania.
Purtroppo, però, in moltissimi paesi la sterilizzazione è prevista come condizione per ottenere il cambio di sesso anche soltanto a livello anagrafico. Tra questi paesi ricordiamo: Bulgaria, Cipro, Finlandia, Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia e Slovenia.
L’intervento della Corte Europea
La sanzione inflitta alla Francia, come esposto in precedenza, non impone ai predetti paesi di cambiare le proprie leggi, ma certamente le sanzioni continueranno ad essere inflitte, poiché la Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto che il diritto all’identità di genere rientra a pieno titolo nella tutela prevista dall’articolo 8 della CEDU, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che stabilisce il rispetto della vita privata e familiare.
La Corte europea dei diritti umani ha di fatto stabilito che le autorità devono consentire agli individui di sottoporsi agli interventi chirurgici per la riattribuzione di genere; devono riconoscere legalmente l’avvenuto cambio di genere e il diritto di sposare una persona del sesso opposto.
La Corte europea, tenendo conto anche della necessità di un’interpretazione dinamica ed evolutiva dell’articolo 8, riconosce il diritto di una persona transessuale al cambiamento di sesso e di avvalersi pienamente dello sviluppo della propria personalità.
Sul piano internazionale, si ricorda che è stato già riconosciuto che la transessualità è una situazione che giustifica trattamenti medici al fine di aiutare le persone interessate.
Le decisioni assunte dalla Corte Europea, nonché sul piano internazionale, spingono a credere che tutte le leggi nazionali, prima o dopo, dovranno ispirarsi all’interpretazione dell’art. 8 al fine di evitare l’applicazione di pesanti sanzioni.
Speranza di chi scrive è che proprio l’interpretazione della Corte Europea, sebbene ancora non analizzi nel dettaglio e sotto ogni sfaccettatura la questione, possa essere presa come linea guida per una legislazione, anche europea e non solo statale, finalizzata a disciplinare in maniera univoca e lineare i diritti di chi decide di cambiare, anche solo anagraficamente, il proprio sesso.
Ben diverse sono le leggi sulla riassegnazione di genere del Sud America, ben più liberali di quelle Europee. Un esempio è la normativa argentina, tra le più avanzate in materia.