Quando circa settantacinque anni fa fu rivelato al mondo l’orrore dell’Olocausto, si scoprì che oltre ai sei milioni di ebrei deportati e sterminati crudelmente da regime nazista (circa 2/3 degli ebrei europei), a perire per mano di Hitler e dei suoi alleati furono anche 4 milioni di cittadini slavi dell’Europa orientale e dei Balcani, 3 milioni di prigionieri di guerra sovietici, migliaia di oppositori politici, massoni, omosessuali, disabili, gruppi religiosi come testimoni di Geova e Pentecostali e minoranze etniche come rom e sinti. Dei veri e propri eccidi attuati per operare una vera e propria pulizia etnica e riconoscere la razza ariana come dominante nel mondo occidentale.
BL Magazine vuole dare il suo contributo alla Giornata della Memoria, che ricorre domani per ricordare la Liberazione da parte dell’Armata Rossa del campo di concentramento di Auschwitz, cercando di approfondire una pagina di storia strettamente legata alle celebrazioni del 27 gennaio ma per certi versi poco ricordata: il Porrajmos, ossia il genocidio di rom e sinti perpetrato dai nazisti durante la seconda guerra mondiale (dal romaní “grande divoramento” o “devastazione”, chiamato anche “Samudaripen“, letteralmente “tutti morti”). Per parlarne abbiamo contattato un ambasciatore della cultura romaní nel mondo, “Alexian” Santino Spinelli, docente di lingua e Cultura Romaní presso l’Università di Chieti e premiato compositore di musica popolare. Tra le sue importanti attività, oltre a pubblicazioni di numerosi saggi e poesie, anche una partecipazione al film “La guerra degli Antò” di Riccardo Milani.
Dott. Spinelli, sul suo sito internet campeggia la scritta “Ambasciatore dell’arte e della cultura Romaní, nel Mondo”. Quale responsabilità rappresenta per lei oggi avere questo ruolo?
La cultura romaní è patrimonio dell’umanità. È una cultura transnazionale e prismatica piena di complesse sfaccettature che sopravvive in Europa e nel mondo in condizioni spesso difficili da oltre sei secoli. Essere ambasciatore dell’arte e della cultura romanì è una enorme responsabilità, oggigiorno si rischia l’assimilazione e quindi la scomparsa di questa millenaria a e prismatica cultura a causa del razzismo, ma anche e soprattutto a causa della omologazione globale. E’ una battaglia quotidiana restare se stessi.
lDomani ricorre la giornata della memoria e delle vittime dell’Olocausto, tra i quali figurano anche rom e sinti, con il loro eccidio che costò la vita a 500.000 persone. Una parentesi storica di una crudeltà inaudita, che però non sembra avere lo stesso “peso” della shoah. Per quali ragioni, secondo lei?
Questo terribile genocidio non si è impresso nella memoria collettiva, anzi fu negato dalle stesse autorità che già nell’immediato dopoguerra non riconobbero alle comunità romanès lo status di perseguitati per ragioni razziali e glissarono sulle loro sofferenze imputandole al loro status di “asociali”. Nessun Rom o Sinto fu invitato al processo di Norimberga nel 1945 per accusare i propri carnefici. Le autorità dell’epoca non vollero riconoscere il genocidio dei Rom e Sinti poiché significava risarcirli non solo economicamente, ma anche socialmente e culturalmente, promuovendo i loro diritti e le loro peculiarità. La società del tempo non era ancora pronta a riconoscere i diritti della popolazione romanì come, del resto, non lo è la società di oggi.
È vero però che la persecuzione dei rom ha però radici molto più antiche Ci sono delle ragioni storiche e antropologiche che hanno portato oggi ad una vera e propria ghettizzazione della popolazione romanì?
La popolazione romanì fin dal suo arrivo nei territori italiani, che nel 1400 non erano uno stato unitario, ma una serie di Stati più o meno in guerra fra di loro, fu vista come facile capro espiatorio e strumento di unità contro il “diverso”. Per questo motivo la popolazione romanì si è trincerata dietro la propria cultura e la propria identità rifiutando l’esterno. Grazie ai rapporti endogamici e ai valori legati alla indissolubilità della famiglia e della solidarietà che rom e sinti sono riusciti a sopravvivere in una società che hanno sempre sentito estranea e repressiva.
È reduce da un viaggio in Polonia, ai campi di sterminio. Quali sensazioni si provano nel varcare le soglie di quel cancello dell’orrore di Auschwitz?
Mettere i piedi su quelle pietre, camminarci, pensare che li sono morte milioni di persone mi ha toccato profondamente! Immaginare, provare a capire le stesse emozioni che hanno potuto provare questi individui, che non erano più considerati tali, e pensare che oggi potrei non essere qui a parlare con voi se fossi nato in quel tempo, mio padre da piccolo fu deportato, e se le cose fossero andate diversamente non sarei qui oggi!
Ad Auschwitz ha dedicato anche una poesia, che è incisa a Berlino sul monumento posto a memoria del Porrajmos della popolazione rom. Era presente al momento dell’inaugurazione?
Era il 2010, il mese di ottobre e finalmente dopo anni di trattative e di attesa c’è stata l’inaugurazione del primo memoriale dedicato al Samudaripen/Porrajmos della Popolazione Romanì a Berlino, di fianco al parlamento che Hitler incendiò nel ’33. Io ero presente insieme allo scultore Dani Karavan e a tutte le più alte cariche del Governo: il presidente della Repubblica Federale Tedesca, la Cancelliera Angela Merkel e una nutrita rappresentanza della Comunità Rom e Sinta a livello internazionale. Romani Rose ha affermato nel suo discorso che con la mia poesia “ho trovato le parole per esprimere l’indicibile”.
Auschwitz
Alexian Santino Spinelli
Faccia incavata
Occhi oscurati
Labbra fredde.
Silenzio.
Cuore strappato
Senza fiato
Senza parole
Nessun pianto.
Dal 5 ottobre del 2018 anche in Italia c’è un monumento dedicato al Samudaripen/Porrajmos della Popolazione Romanì. E’ stato eretto a Lanciano, la città in cui risiediamo io e mio padre che fu deportato quando aveva solo 5 anni con l’unica colpa di essere nato Rom. Il monumento è scolpito in pietra della Majella (la montagna abruzzese rifugio di partigiani e che diede il nome alla famosa Brigata di partigiani che contribuì a liberare l’Italia) si trova nel Parco delle Memorie, di fronte a quello che era il campo di internamento per donne ebree.
Lei non solo ha due lauree, ma è anche docente universitario e insegna lingua e Cultura Romaní all’Università di Chieti. Che tipo di interesse c’è attorno alla cultura romaní da parte degli studenti e che rapporto ha con loro?
Inizialmente i miei studenti si avvicinano allo studio della Cultura Romanì con l’atteggiamento di chi pensa: “Ma sto “zingaro”, cos’avrà mai da insegnarmi?” Alla fine del mio corso si trasformano tutti in paladini della cultura romanì. Ciò significa che se posta nei giusti termini la cultura Rom può essere compresa ed apprezzata. Basta volerlo.
Qual è secondo lei il vero problema della comunità rom in Italia? Da quali parti pesano le colpe di una mancata integrazione?
In Europa non esiste una sola politica a favore della cultura romaní, ma essa è sfruttata in maniera deprecabile dalle organizzazioni “pro-zingare” senza scrupoli per le loro spicciole politiche. Gli interventi legislativi europei, nazionali e regionali sono stati diretti alla tutela della cultura romaní, tutela che sottende un tutore o meglio un controllore. La persistente esclusione della popolazione romanì, numericamente consistente come quella belga o greca, è inaccettabile nell’Europa del ventunesimo secolo, basata sui principi dell’uguaglianza, della democrazia e dello Stato di diritto. Trovare soluzione ai loro problemi va a tutto vantaggio delle società e delle economie europee. I Governi perdono in termini di redditi e di produttività sprecando i potenziali talenti di queste comunità. L’esclusione e l’assistenzialismo costano molto più dell’inclusione. Ma l’integrazione è come l’amore: si fa in due.
La cultura romaní ha bisogno di una valorizzazione attraverso gli stessi soggetti che la vivono quotidianamente e una reale promozione presso l’opinione pubblica, la quale in verità è privata di un grande diritto: quello della conoscenza.
Oggi con tanta, troppa facilità, sui social network soprattutto si tende a rimpiangere l’operato di dittatori come Hitler e Mussolini per operare una sorta di “pulizia etnica” da tastiera, soprattutto nei confronti di migranti e rom. Cosa è necessario fare, secondo lei, affinché non solo la storia non si ripeta ma che ci sia una condanna unanime di atteggiamenti xenofobi e intolleranti?
Probabilmente anche per la facilità con cui l’opinione pubblica dimentica il passato che crimini contro l’umanità continuano a perpetuarsi anche ai nostri giorni: uno sterminio che per la popolazione romaní non è mai terminato nel corso dei secoli e che li vede, nella contemporaneità, ancora oltraggiati e totalmente ignorati. Sulle decine di migliaia di vittime della popolazione romaní è caduto un silenzio assordante, non un solo articolo, né un solo reportage né tanto meno una sola trasmissione televisiva dedicate a queste vittime. Anche questa è storia. Quando prova a levarsi una voce in difesa di questi esseri umani ecco che lo stereotipo grida più forte e zittisce l’orrore.
Moni Ovadia qualche anno fa ha auspicato che il 27 gennaio diventi il Giorno “delle Memorie” anziché della memoria. È d’accordo?
Sono completamente d’accordo. Nel 2018 è stato lanciato un appello al Presidente attarella per il riconoscimento ufficiale ed il conseguente inserimento del Samudaripen/Porrajmos nelle celebrazioni della Giornata della Memoria. I primi firmatari sono stati il Rabbino Ariel Toaf, Moni Ovadia e Pino Nicotri.
ALLA CORTESE ATTENZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SERGIO MATTARELLA
Egregio Presidente,
il 5 ottobre è stato inaugurato nel Parco delle Memorie di Lanciano il primo monumento che ricorda il genocidio nazista dei Rom e Sinti. Genocidio che conta un numero di vittime che va da un minimo di 500 mila a forse 1,5-2 milioni se si comprendono le persone massacrate non nei campi di sterminio nazisti ma a gruppi direttamente in loco. Genocidio che Lei lo scorso 8 aprile, in occasione della Giornata Internazionale dei Rom, Sinti e Camminanti, ha voluto citare – prima volta che accade da parte di una personalità istituzionale – con uno dei suoi due nomi: Porrajmos. L’altro nome è Samudaripen. Nomi entrambi ignorati da quasi tutti gli italiani. Eccetto alcuni storici e i parenti delle vittime, noi italiani ignoriamo anche che nel nostro Paese erano numerosi i campi di concentramento, prigionia e deportazione in Germania dei Rom e dei Sinti, colpiti anche loro come gli ebrei dalle famigerate leggi razziali. Si tratta purtroppo di un Olocausto dimenticato. Anche l’avvenimento di Lanciano è stato pressoché ignorato: da tutti i principali mass media, a partire dai quotidiani e a finire alle televisioni private e alla Rai, e da tutte le personalità politiche e istituzionali fatta eccezione per il senatore Luigi Manconi e per il sindaco di Lanciano. Ignorato nonostante un apposito lancio dell’ANSA e nonostante l’appassionata lettera di partecipazione, che Le alleghiamo, della senatrice a vita Liliana Segre. Tra gli ultimi sopravvissuti dei deportati della Shoà, Liliana Segre, nominata per questo senatrice a vita da Lei, nella sua lettera ha voluto ricordare lo sterminio anche di Rom e Sinti nelle camere a gas del campo di concentramento dove era stata deportata.
Se dopo oltre 70 anni si è arrivati finalmente a tale avvenimento pubblico nel Parco delle Memorie di Lanciano lo si deve alla volontà e iniziativa del Rom italiano musicista, musicologo, direttore d’orchestra e docente universitario Santino Spinelli, in arte Alexian, che durante la seconda guerra mondiale ha avuto 26 familiari e parenti deportati e che è riuscito a mobilitare un folto gruppo di volenterosi. Il monumento inaugurato a Lanciano è infatti dovuto a cittadini e organizzazioni private, che hanno voluto aderire sostenendola anche economicamente all’iniziativa lanciata dal professor Spinelli.
In Germania invece è lo Stato che ha voluto fare ammenda con un apposito Memoriale nel centro di Berlino, vicino a quello che ricorda la Shoà. La Germania ha voluto inoltre che a inaugurarlo assieme al primo ministro Angela Merkel ci fosse il professor Spinelli, una poesia del quale è scolpita nel Memoriale che in Germania ha finalmente squarciato il velo del silenzio e dell’ignoranza sul genocidio dimenticato. La stessa poesia intitolata Auschwitz la possiamo leggere ai piedi del monumento di Lanciano. Qualcuno ha scritto che tale monumento “restituisce la dignità a Rom e Sinti”. Noi invece crediamo che tale monumento inizi a restituire una più completa dignità agli italiani tutti, perché ci aiuta a prendere coscienza di una realtà purtroppo e colpevolmente ignorata troppo a lungo: come se le sue vittime fossero figli di un Dio minore. In Italia a ricordare il genocidio dimenticato c’è solo una targa in marmo in piazza degli Zingari nel quartiere Monti a Roma. Inaugurata nel gennaio 2001 soprattutto per iniziativa del Comune di Roma e della Comunità Ebraica romana, è fatta segno spesso ad atti di vandalismo e spregio. In occasione del recente anniversario del rastrellamento nazista a Roma degli ebrei del 6 ottobre 1943 ciò che tale targa ha voluto ricordare è stato ignorato perfino, ma non solo, dall’attuale presidente della Rai Marcello Foa.
Egregio Presidente, stando così le cose Le chiediamo con forza e convinzione quanto segue, anche a nome di tutti gli aderenti a questa nostra richiesta:
– che anche lo Stato italiano provveda a un apposito Memoriale sull’esempio di quello tedesco a Berlino;
– che nella Giornata della Memoria venga inserito il ricordo anche del genocidio dimenticato e più in generale di tutte le vittime discriminate e massacrate dalla barbarie nazista negli appositi campi;
– che il professor Santino Spinelli venga nominato senatore a vita in quanto memoria storica del Porrajmos-Samudaripen e perché si è strenuamente battuto anche sul piano internazionale per porre la parola fine nella memoria collettiva a una omissione deplorevole anche sul piano storico.
Con ossequio.
Moni Ovadia (attore, scrittore e musicista)
Ariel Toaff (docente universitario e saggista)
Giuseppe Nicotri (giornalista e saggista)