Una nuova ondata di repressione verso gli omosessuali sembra travolgere la Repubblica Russa della Cecenia. Uno degli ultimi rapporti della rete LGBT russa annuncia due vittime e oltre quaranta arresti effettuati nella regione a prevalenza musulmana, dove l’omosessualità è considerata un tabù.
La notizia arriva a un anno di distanza dal report 2017, nel quale si denunciava la prigionia di oltre cento omosessuali sottoposti a tortura in quelli che sono stati descritti come veri e propri campi di concentramento (e raccontati come delle vere “purghe omofobe”). Tuttavia, nessuna conferma è mai giunta dalle autorità cecene, che hanno sempre insabbiato le accuse. Cosa che è avvenuta anche in questo caso: Alvi Karimov, il portavoce del leader ceceno Ramzan Kadyrov, ha rilasciato una nota in cui bollava come “bugie senza un briciolo di verità” le accuse di tortura rimbalzate tra le cronache internazionali e rese note dalla rete lgbt.
Le persecuzioni in Cecenia
“In Cecenia sono riprese le detenzioni diffuse, le torture e le uccisioni di omosessuali“, ha affermato Igor Kochetkov, direttore del programma presso LGBT Network. “La persecuzione di uomini e donne sospettati di essere gay non si è mai fermata. È solo che la sua scala sta cambiando.“
Kochetkov ha inoltre spiegato che la nuova fase di persecuzioni è cominciata alla fine dell’anno, quando la polizia cecena ha arrestato l’amministratore di un gruppo social media molto popolare tra la comunità lgbt del Caucaso settentrionale. Le autorità hanno ottenuto contatti utili direttamente dal suo telefono cellulare.
E la Russia?
Nonostante l’impegno manifestato da Vladimir Putin nell’assicurare che la Russia non è un paese omofobo, e che avrebbe assicurato il rispetto dei diritti umani degli omosessuali anche grazie ad una task force investigativa a supporto degli attivisti, nessuna azione concreta è stata intrapresa, né alcuna indagine è stata mai annunciata da parte dello stato centrale. Risulterebbe quindi non esservi alcuna volontà politica in tal senso, in connivenza con l’amministrazione locale cecena che addirittura negherebbe l’esistenza di omosessuali sul territorio nazionale.
Il caso “Lapunov”
Non mancherebbero, però, testimonianze dirette a sostegno dell’accusa di violazione dei diritti umani degli omosessuali in Cecenia. Maxim Lapunov, trentenne e residente in Cecenia da due anni, nel 2017 ha raccontato di essere stato arrestato in piena notte da persone non identificate a Grozny, nella capitale cecena, e di aver subito violenze e torture per due settimane: percosse, manganellate, umiliazioni e tentativi di estorsione di altri nominativi. Il rilascio sarebbe avvenuto in seguito alla sottoscrizione di una ammissione di omosessualità. Lapunov avrebbe poi dichiarato di essere stato minacciato di morte qualora avesse rivelato delle torture avvenute nel suo periodo di detenzione.
Il caso Lapunov, che ha riguardato non un ceceno etnico ma un russo originario della Siberia, è stato importantissimo in quanto si è trattato della prima denuncia alle autorità nazionali sull’ondata di arresti di persone gay.
Il mese scorso l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) ha invitato la Russia a indagare sulle relazioni e in particolare sul caso di Lapunov. Quest’invito si aggiunge a quello della scorsa estate sottoscritto da 16 Paesi in cui si chiedeva alla Russia di intraprendere un’azione investigativa nei confronti delle purghe cecene.
fonte: APNEWS
In copertina: Dimostrazione pubblica “Madri cecene piangono i loro figli”, 1 maggio 2017 a San Pietroburgo, in protesta delle persecuzioni omofobe in Cecenia. Credits: By Илья Астахов, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=59420025