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Se il lockdown diventa una scusa per limitare le libertà civili in tutto il mondo

- 03/04/2020
coronavirus diritti umani


L’emergenza Coronavirus, scoppiata in Cina in concomitanza del capodanno lunare lo scorso mese di gennaio, e ormai propagatasi in tutto il mondo, è un evento che non ha precedenti nella storia recente.

Misure come il distanziamento sociale, la quarantena e l’isolamento, hanno portato alla necessaria compressione dei diritti individuali, a fronte della tutela di un bene collettivo come la salute.

Sebbene ci siano nazioni, come l’Italia, che hanno indetto una situazione d’emergenza temporanea di sei mesi, altri Stati stanno facendo i conti con una gestione disfunzionale del potere che sta portando alcuni leader politici ad assumere funzioni che vanno oltre le proprie prerogative istituzionali, a tempo indeterminato, senza la garanzia di un dibattito parlamentare e di un confronto con i partiti di opposizione.

È il caso della Cina, che ha inasprito i controlli sulla popolazione e approfittato della quarantena per detenere arbitrariamente sotto custdia soggetti sgraditi al Partito Comunista, e dell’Ungheria, dove il presidentissimo Viktor Orbàn ha assunto “pieni poteri” mutando il proprio regime autoritario in una dittatura de facto, praticamente indisturbato.

La Cina e l’Ungheria non sono i soli casi che fanno preoccupare gli osservatori dei diritti umani: sotto la lente sono finiti anche i zelanti decreti – motu proprio di Aleksandar Vučić, leader del partito progressista e Presidente della Repubblica della Serbia.

Aleksandar Vučić
Aleksandar Vučić, Presidente della Repubblica Serba

Emergenza democratica in Serbia?

A Belgrado i soldati pattugliano le strade con le dita sui grilletti della mitragliatrice e l’esercito sorveglia un centro espositivo riconvertito in ospedale, pieno di file di letti di metallo per coloro che sono stati contagiati dal Coronavirus e mostrano sintomi.

Vučić ha avvertito senza mezzi termini i suoi cittadini che “i cimiteri di Belgrado non saranno abbastanza grandi da seppellire i morti se le persone ignoreranno gli ordini di blocco del suo governo“.

Da quando il presidente, il 15 marzo, ha annunciato lo stato di emergenza a tempo indeterminato, il parlamento è stato esautorato, le frontiere sono state chiuse, è stato imposto un coprifuoco di 12 ore imposto dalla polizia e alle persone di età superiore ai 65 anni è stato vietato lasciare le loro case. Si tratta di alcune delle misure più severe riscontrate in Europa per combattere la pandemia COVID-19.

Il leader serbo compie drammatiche apparizioni quotidiane, emanando nuovi decreti. Ha assunto “pieni poteri”, suscitando la protesta degli avversari che denunciano l’assunzione del controllo dello stato in modo incostituzionale.

Rodoljub Šabić, ex commissario statale per la protezione dei dati personali, afferma che, proclamando uno stato di emergenza, Vučić ha assunto la “supremazia totale” sul processo decisionale durante la crisi, sebbene il suo ruolo costituzionale sia solo cerimoniale (il capo del governo è, di fatto, il primo ministro). “Emette ordini che vengono automaticamente accettati dal governo“, ha detto Šabić.

Il capo dei diritti umani dell’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) Ingibjörg Sólrún Gísladóttir, ha affermato che, nel comprendere la necessità di agire rapidamente per proteggere le popolazioni dalla pandemia di COVID-19, gli stati di emergenza dichiarati di recente devono includere un limite di tempo e un controllo parlamentare: “Uno stato di emergenza – ovunque sia dichiarato e per qualsiasi motivo – deve essere proporzionato al suo obiettivo e rimanere in vigore solo per il tempo assolutamente necessario“.

serbia esercito coronavirus
L’esercito nelle strade di Belgrado

Un vero e proprio “regime di terrore”

Ad oggi, in Serbia si contano poco più di 1000 contagiati, ma i numeri potrebbero essere sottostimati a causa del limitato numero di camponi effettuati. La maggior parte delle persone soffre di sintomi lievi o moderati, come febbre e tosse.

Le immagini della trasformazione di un’enorme sala espositiva di epoca comunista a Belgrado in un ospedale di fortuna per pazienti infetti ha fatto discutere, scatenando una paura diffusa verso la struttura che conta circa 3000 letti metallici, e ha tutta l’aria di essere sembra un campo di detenzione.

Il presidente serbo ha affermato di essere “felice che la gente si sia spaventata“, aggiungendo che avrebbe scelto un posto anche peggiore se ciò avrebbe impedito ai serbi di infrangere i suoi ordini di reclusione in casa. “Qualcuno deve trascorrere 14-28 giorni lì“, ha detto Vučić. “Se non è comodo, non mi interessa. Stiamo combattendo per la vita delle persone“.

Non annegare Belgrado” è la petizione online lanciata da un gruppo di attivisti civici, che stanno denunciando gli abusi di potere di Vučić e la restrizione dei diritti umani fondamentali. Le sue frequenti – e angoscianti – apparizioni pubbliche stanno creando panico in una società già preoccupata.

Non abbiamo bisogno della drammatizzazione quotidiana di Vucic, ma della verità: dati concreti e istruzioni da parte di esperti“, sostiene la petizione.

serbia hospital belgrade
La sala espositiva di epoca comunista a Belgrado riconvertita come ospedale Covid-19.

Le misure negli altri paesi

In Israele, il governo di Benjamin Netanyahu ha approvato una serie di misure esecutive di emergenza per placare la diffusione del nuovo virus. Preoccupano l’autorizzazione ad una sorveglianza elettronica senza precedenti dei cittadini israeliani e il rallentamento dell’attività giudiziaria, che ha costretto il rinvio del processo di corruzione in corso da parte di Netanyahu stesso.

In Russia (3500 contagi e 30 morti dichiarati), le autorità hanno aumentato la pressione sui media e sugli utenti dei social network per tenere sotto controllo la “narrazione” della pandemia di Coronavirus nel paese. Mosca ha disposto il blocco lo scorso lunedì e molte altre regioni hanno rapidamente seguito l’esempio.

Inoltre, con il pretesto di eliminare le “fake news” legate al coronavirus, le forze dell’ordine hanno censurato le persone che condividono opinioni negative sui social network e sui media in aperta critica alla risposta tardiva del governo sulle misure di contenimento della pandemia.

In Polonia, i cittadini sono preoccupati per una nuova applicazione governativa per smartphone introdotta per le persone in quarantena domestica: la Fondazione Panoptykon, un gruppo a sostegno dei diritti umani che si oppone alla sorveglianza, afferma che dietro l’utilizzo dell’app potrebbe celarsi la cessione di dati privati ​​al governo conservatore.

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La app polacca per controllare i cittadini in quarantena

Uno sguardo all’Africa

In Africa l’epidemia di Covid-19 comincia a destare seria preoccupazione per l’impossibilità di adottare misure di quarantena per la popolazione su così larga scala.

Per questo le autorità kenyote, dopo il primo decesso legato al Covid-19 (si contano circa 80 casi nel paese), hanno imposto il coprifuoco dal tramonto all’alba già lo scorso 25 marzo, ma sin dai primi giorni si è riscontrato nel paese un uso massiccio e violento della forza da parte delle autorità di polizia, mettendo a rischio la tenuta stessa dei provvedimenti.

A Mombasa, la polizia ha costretto folle di persone a sdraiarsi insieme, in alcuni casi l’una sopra l’altra, mentre picchiavano, scalciavano e schiaffeggiavano per presunta violazione del coprifuoco. Non solo: i gas lacrimogeni usati per disperdere le folle di viaggiatori, senza equipaggiamento protettivo (mascherine), avrebbero fatto tossire ripetutamente decine di persone, aumentando vertiginosamente le possibilità di contagio.

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La polizia in Kenya

Nel centro di Nairobi, inoltre, a causa del coprifuoco e della paura verso la polizia, molte persone sono rimaste bloccate senza mezzi pubblici nei centri urbani, e costrette a dormire fianco a fianco contro le pareti degli edifici, creando involontariamente degli assembramenti.

Gruppi di diritti, media e leader politici hanno ampiamente condannato la violenza della polizia, ma il segretario del gabinetto interno keniota ha incolpato i kenioti per la loro mancanza di disciplina.

Il presidente Uhuru Kenyatta ha chiesto invece scusa, ieri in tv, per le “dure tattiche usate dalla polizia” la scorsa settimana per far rispettare il coprifuoco.

In Uganda, invece, dove si contano 33 casi di contagio, si approfitta del divieto di assembramenti per mettere in atto azioni contro i diritti umani lgbt: la polizia e l’esercito hanno fatto irruzione nel rifugio della Children of the Sun Foundation Uganda (Cosf Uganda), organizzazione umanitaria locale LGBT alla periferia della capitale ugandese, Kampala. I membri della comunità sono stati picchiati e costretti a fare una “passeggiata di vergogna” attraverso il villaggio dal loro rifugio alla centrale di polizia di Nkokonjeru, a circa 20 minuti di auto dalla città di Kampala.

Gli abitanti dei villaggi hanno accusato i rifugiati residenti di atti omosessuali, puniti nel paese con la pena massima dell’ergastolo.

Il 31 marzo scorso, il Presidente ugandese Yoweri Museveni ha disposto lo stop totale alla circolazione di mezzi pubblici e privati in tutto il paese e il coprifuoco notturno per 14 giorni, e misure altamente restrittive per un periodo massimo di 32 giorni.

Fonti: The time of Israel, Repubblica.it, Equal-eyes.org, Human Rights Watch, Agenzia Nova.

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Sono nato in Puglia, terra di ulivi e mare, e oggi mi divido tra la città Eterna e la città Unica che mi ha visto nascere. La scrittura per me è disciplina, bellezza e cultura, per questo nella vita revisiono testi e mi occupo di editing. Su BL Magazine coordino la linea editoriale e mi occupo di raccontare i diritti umani e i diritti lgbt+ nel mondo... e mi distraggo scrivendo di cultura e spettacolo!

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