Vi parliamo oggi del caso paradossale di un cittadino che per, esercitare un diritto costituzionale, ne viene privato di un altro: è stato segnalato un episodio di transfobia in un seggio elettorale di Siena avvenuto domenica, nel corso dell’election day per le elezioni regionali e il referendum costituzionale.
A denunciare l’accaduto alla sede Arcigay locale è stata la compagna di Anastasius, ragazzo transgender al quale, secondo la ricostruzione fornita, durante l’attesa per votare sarebbe stato chiesto di posizionarsi in una fila in base al sesso anagrafico indicato dal documento di identità. La presidente del seggio avrebbe anche chiamato ad alta voce il giovane col suo deadname (il nome precedente alla transizione), peggiorando la situazione, già di per sé imbarazzante e discriminatoria verso Anastasius, praticando misgendering.
Non tutte le persone transgender, ovviamente, possiedono un documento con il nome conforme all’identità autodeterminata. Per ottenere la rettifica si richiede una sentenza del tribunale, che in genere giunge nella fase avanzata di un percorso di transizione una volta intrapresa la terapia ormonale.
A nulla, dunque, sarebbero servite le proteste della coppia, che aveva chiesto di mettere a verbale la segnalazione.
La ragazza ha riferito che la “la presidente del seggio, dopo aver detto che non vedeva nulla di male in tale gestione anche se palesemente discriminatoria, esce dalla stanza e si dirige verso di me in un atteggiamento palesemente ostile e infastidito. Cerco, con tutta calma, di spiegare le grosse problematiche che tale divisione può portare alle persone trans ma lei risponde che alla nascita noi nasciamo in un determinato genere, che ci viene assegnato e resta immutato e si rifiuta di prendere atto della nostra segnalazione ritenendola superficiale, invitandoci a protestare con il Ministero e chiedendoci malamente di allontanarci e segnalare tutto alle forze dell’ordine li presenti“.
La gravità dell’episodio si traduce in un’evidente discriminazione verso le persone trans*, spesso scoraggiate dal partecipare alla vita democratica del proprio paese proprio per non subire misgendering a causa della mancanza di sensibilità, e di tatto, di scrutatori e presidenti di seggio poco avvezzi alle prassi inclusive.
Immediata la risposta di Greta Sartarelli, presidente del Movimento Pansessuale Arcigay Siena: “Se le circostanze fossero confermate saremmo di fronte ad un atteggiamento transfobico e discriminatorio inaccettabile ma soprattutto ad una palese violazione dell’art 74 e 104 del DPR 30 marzo 1957 n. 361 (Testo Unico delle Leggi Elettorali) che stabilisce che il segretario di seggio che si rifiuta di trascrivere le proteste o segnalazioni di un* votante a verbale rischia sanzioni penali e pecuniarie“. L’ultima parola sulla faccenda sarà degli organi competenti, una volta scattata la denuncia: “Chiederemo […] un chiarimento al riguardo e faremo luce su quanto accaduto, perché sia garantito il diritto al voto delle persone trans* in condizioni di sicurezza”.
Superare la divisione in generi
Affinché venga rivisto il criterio di suddivisione per generi dei seggi, previsto dall’art. 5 del DPR 223/1967, Arcigay sostiene la campagna IO SONO IO VOTO lanciata dal Gruppo Trans di Bologna e destinata alla Ministra degli Interni Luciana Lamorgese. La campagna richiede alle persone trans* di mettere a verbale che “la suddivisione in file per genere o per sesso sia discriminatoria e lesiva nei confronti delle persone trans, di genere fluido, non binarie, o di tutte le identità che non si riconoscono nella dicotomia uomo-donna e che non vengono pertanto considerate e rispettate nella propria autodeterminazione“.
Ad oggi, in una comunità plurale e sempre più inclusiva e attenta verso le differenze di genere, la suddivisione in maschi e femmine limita, di fatto, l’esercizio del diritto di voto per migliaia di persone transgender e non binarie, in contrasto con le disposizioni dell’art. 48 della nostra Costituzione, e ne lede la dignità personale.
Auspichiamo che in un futuro prossimo si possa ovviare al problema con una più comoda e neutrale suddivisione alfabetica. Una piccola accortezza per il legislatore per una grande conquista da parte di chi, a ogni tornata elettorale, per esercitare il diritto di voto deve subisce un outing sgradito, affronta l’imbarazzo e il dolore di dichiararsi di un genere che non riconosce.
Ricordiamo anche che la sentenza 3877 del 17 febbraio scorso della Cassazione sul diritto di scelta del nome per le persone transessuali ha stabilito che, se anche fosse sussistente un interesse pubblico affinché le registrazioni anagrafiche fossero garantite e agilmente consultabili, questo comunque non potrebbe superare il diritto garantito dalla Costituzione al nome.
Fonte: La Repubblica