Più di 1000 km separano il Piemonte e la Calabria, ma a giudicare dall’inchiesta comparsa su Domani, non sono mai state così vicine.
Come abbiamo compreso negli ultimi mesi, la criminalità organizzata diventa la protagonista nelle situazioni emergenziali; così, quando si è presentata l’occasione di fare affari nel giro delle Rsa piemontesi, non si è lasciata scappare l’occasione.
Contagi anomali
Secondo le indagini sono stati trasferiti dagli ospedali pazienti infetti, direttamente nelle strutture, noncuranti degli effetti che questa azione avrebbe potuto scatenare, come ad esempio venticinque decessi in un solo mese.
Studiando le carte, si è scoperto che queste strutture, tutte accreditate alle Asl piemontesi, fanno capo a Cataldo Principe, imprenditore simbolo della cosiddetta area grigia, spazio in cui prendono forma relazioni di collusione e complicità con la mafia, in cui vengono coinvolti attori con competenze, risorse, interessi e ruoli sociali differenti. Pare che, da sempre, i suoi affari si siano intrecciati con quelli di famiglie calabresi che hanno trasferito in Piemonte i loro business.
Durante la prima ondata di pandemia, sono finite sulle prime pagine dei giornali Villa Giada di Bessolo di Scarmagno e la residenza Trinitè, nelle quali i sindacati avevano segnalato anomalie di gestione e morti sospette. Rsa di Principe, nome, tra le altre cose, presente, da anni, nelle informative dei carabinieri sulla ‘Ndrangheta piemontese.
Piemonte ‘ndranghetista
Anche il Piemonte, purtroppo, non è un nuovo protagonista nei verbali. Nella regione la presenza mafiosa si attesta fin dai primi anni ’60, nel campo dell’edilizia, nella zona della Val Di Susa, in cui è stata commissariata per mafia la prima città in Italia, nel 1995: Bardonecchia. Gli affari delle cosche ‘ndranghetiste si sono poi, negli anni, estese in vari rami dell’illegalità quali prostituzione, traffico di droga ed armi, estorsione.
L’indagine più recente, l’operazione Carminius, conclusa nel marzo 2019, ha individuato un sodalizio di ‘Ndrangheta, riconducibile ai Bonavota, ‘ndrina di Sant’Onofrio e Stefaconi nel vibonese, presente anche nella capitale. La famiglia operava, grazie ad intermediari, nella provincia di Torino, più precisamente nella zona di Carmagnola e Moncalieri.
Nel novembre 2019, i carabinieri hanno concluso un’altra inchiesta, la Cerbero, che ha portato all’arresto di 56 presunti affiliati, collegati questa volta ai clan Agresta, Assisi, Barbaro e Catanzariti ed operanti nelle locali di Volpiano e San Giusto Canavese.
Ultima cronologicamente ma non d’importanza, l’azione del 20 dicembre 2019 che ha portato all’arresto, tra Torino e Carmagnola, di 8 persone accusate a vario titolo di associazione mafiosa e reati fiscali. Tra gli arrestati anche l‘assessore regionale di Fratelli d’Italia, Roberto Rosso, accusato di scambio elettorale politico-mafioso: durante le regionali del 2019, avrebbe chiesto aiuto ai Bonavota di Carmagnola, pagando 15.000€.
Al più presto si dovrà chiarire la posizione di Cataldo Principe, togliere la gestione delle Rsa e fare in modo che tutto quello che è accaduto negli scorsi mesi non si ripeta mai più. A questo, dovrà pensarci anche la giunta piemontese, composta dalla coalizione di centro-destra, e nominata dal presidente di regione Alberto Cirio, lo stesso che aveva individuato nella figura di Roberto Rosso un degno assessore ai Rapporti con il Consiglio regionale, Delegificazione e semplificazione dei percorsi amministrativi, Affari legali e Contenzioso, Emigrazione, Diritti civili.
Fonti: Domani; Corriere della Sera; Mafie vecchie, mafie nuove, Rocco Sciarrone, Donzelli editore, Roma, 2009.