La seconda ondata della pandemia ha travolto tutti, comprese le carceri italiane, dove si continua a sottovalutare il problema con la speranza che quanto avvenuto nelle Rsa in primavera non avvenga all’interno dei penitenziari.
Secondo i dati, in circa il 40% degli istituti italiani è presente un detenuto positivo. In diverse realtà ci sono dei veri e propri focolai ma la situazione del sovraffollamento non viene ancora affrontata malgrado siano presenti 7000 detenuti in più rispetto ai posti letto disponibili.
Sovraffollamento
Nei giorni scorsi, Patrizio Gonnella, su Il Manifesto, ha esposto efficacemente la situazione: “Se c’è un luogo in conflitto ontologico con il Covid, esso è il carcere. A chiunque affermi che sia il posto più sicuro del mondo rispetto al rischio di contrarre il virus, suggerirei una passeggiata per le sezioni del carcere di Brescia, che ha il doppio dei detenuti rispetto alla capienza regolamentare. O per i corridoi dell’istituto di Latina, che stipa 151 detenuti nei soli 77 posti previsti. O ancora a Taranto, che nei 304 posti letto regolamentari rinchiude 552 persone. O a Poggioreale, a Napoli, dove 2.177 detenuti devono dividersi i 1.571 posti disponibili, con celle che ospitano fino a 12 detenuti, talvolta prive di doccia, con letti a castello anche su tre livelli, e in qualche caso con wc vicino a dove si dorme.”
Dall’inizio della pandemia, diverse associazioni che vivono quotidianamente il carcere hanno chiesto misure urgenti nel nome della dignità e della salute delle persone detenute e per chi lavora in carcere ma la risposta delle istituzioni è stata minima, per non dire inesistente.
Decreto Ristori
All’interno del Decreto Ristori si parla infatti della creazione di zone filtro, aree di isolamento per i nuovi ingressi, per i sospetti Covid e per i positivi, siano essi asintomatici o sintomatici. Scenario impossibile da realizzare proprio a causa del numero di ospiti superiori a quelli consentiti, da sommare alla carenza di risorse, materiali e personali, indispensabili per la creazione di un sistema di prevenzione, di diagnosi e di cure efficaci.
Le misure esposte con il decreto Ristori non sono quindi sufficienti per risolvere il problema. Anzi, appaiono da parte dello Stato una sorta di azione preventiva, volta a scagionarlo da possibili colpe nel caso in cui la situazione peggiorasse. Possiamo infatti già immaginarci un’ipotetica risposta dall’ufficio stampa di governo se i contagi dovessero aumentare: lo Stato ha fatto di tutto per tenere sotto controllo i numeri e i decreti emanati lo dimostrano.
Lo stesso stato che nel 2013 ha ricevuto una condanna da parte della Corte europea per i diritti umani per il problema del sovraffollamento. Lo stesso stato che quindi, per sette anni, non è riuscito, o per meglio dire, non ha voluto, trovare un modo per modificare le realtà degradanti degli istituti penitenziari.
Tra un punto e l’altro che il governo deve discutere in questo periodo emergenziale, si devono inserire all’ordine del giorno, con urgenza, delle disposizioni possibili da realizzare, per limitare il rischio dei contagi dietro alle sbarre. Fino ad allora, non potremo considerarci il paese democratico imitato da tanti altri per l’ottima gestione della pandemia.