L’esercito birmano, ha assunto il potere con un golpe in Myanmar e ha dichiarato lo stato di emergenza. Il capo del governo Aung San Suu Kyi, insieme ad altri esponenti del partito al governo e ad alcuni leader della società civile, è stata arrestata ed è al momento in stato di detenzione.
I militari, nell’assumere il potere, hanno interrotto il regolare funzionamento dei servizi di telefonia e internet nella città di Yangon e le trasmissioni della tv di Stato MRTV. Chiuse anche le banche in tutta la nazione.
In un annuncio, la televisione militare ha riferito di aver preso il controllo del paese per un anno come conseguenza alle frodi che, stando a quanto detto dall’esercito, sarebbero state rilevate nelle elezioni generali dello scorso anno. A costituirsi come capo del governo militare in carica ci sarebbe oggi il generale Min Aung Hlaing, comandante in capo delle forze armate.
Una dichiarazione attribuita ad Aung San Suu Kyi si afferma che i militari stanno cercando di reimporre la dittatura che ha guidato il Myanmar fino a dieci anni fa. “Esorto le persone a non accettarlo, a rispondere e a protestare con tutto il cuore contro il colpo di stato dei militari“, afferma il comunicato.
Biden: agire contro i responsabili
Il colpo di Stato ad opera dei militari ha portato alla rapida condanna da parte dei leader e degli esperti di diritti umani di tutto il mondo.
L’addetto stampa del presidente Joe Biden, Jen Psaki, ha precisato la posizione degli Stati Uniti, decisi a opporsi “a qualsiasi tentativo di alterare l’esito delle recenti elezioni o di impedire la transizione democratica del Myanmar“, dichiarando prontamente di “agire contro i responsabili se questi passi non verranno annullati“.
Il segretario di stato americano, Antony Blinken, ha anche chiesto il rilascio di Aung San Suu Kyi e di altri detenuti. Il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha affermato che gli sviluppi hanno rappresentato “un grave colpo alle riforme democratiche in Myanmar“.
La democrazia di Myanmar e il potere militare
Il dominio militare ha governato il Myanmar incontrastato per mezzo secolo, fino al 2011. La dissidente politica e premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, al centro della scena politica del suo paese negli ultimi trent’anni, si è poi imposta durante le elezioni del 2015 – le prime libere dopo oltre vent’anni – diventando la principale leader, di fatto, del paese del sud-est asiatico.
Lo scorso novembre, il partito di Aung San Suu Kyu NLD (Lega Nazionale per la democrazia) ha ottenuto una vittoria schiacciante garantendosi 396 seggi su 476 alle elezioni. Il partito di opposizione Unione Solidarietà e sviluppo, sostenuto dai militari, ha invece conquistato solo 33 seggi.
Il risultato è stato ampiamente contestato dall’opposizione che, allineandosi con l’esercito, ha denunciato 8,6 milioni di schede frodate. La commissione elettorale ha smentito i brogli, pur ammettendo la presenza di anomalie nelle liste degli elettori.
L’esercito, in Birmania, vede comunque garantita la sua permanenza al potere da alcune previsioni costituzionali, che conferiscono ai militari il controllo sui ministeri chiave e almeno un quarto dei seggi parlamentari.
Ultimamente, la reputazione internazionale di Aung San Suu Kyi è stata minata dai dubbi sulla gestione della crisi umanitaria del popolo Rohungya, a minoranza musulmana, oppresso da anni proprio dai militari
Parte della comunità internazionale si è posta in maniera molto critica contro la leader birmana, che non ha mai contrastato apertamente la persecuzione dei Rohungya, arrivando a chiedere il ritiro del Nobel con l’accusa di genocidio. Per queste ragioni le è stato ritirato il titolo di ambasciatrice di Amnesty International nel 2018.
Secondo altri osservatori internazionali, l’inattività di Aung San Suu Kyi sarebbe dovuta alla necessità di proteggere e portare avanti il lento processo di democratizzazione del suo paese col suo governo, in parte composto anche da militari.
Il Myanmar è un paese a maggioranza buddista: circa il 90% dei cittadini lo pratica nella tradizione therevada con un atteggiamento, spesso, di forte chiusura nazionalistica verso altre professioni di fede (esattamente come accade in Sri Lanka)
Stando ad alcune dichiarazioni rilasciate al quotidiano The Guardian, per molti cittadini birmani, soprattutto giovani, il colpo di stato sarebbe l’inizio di un ritorno del proprio paese “nell’età oscura”. In centinaia si sono riversati nelle strade e nei supermercati per ritirare contanti e fare scorta di viveri.