A distanza di pochi giorni dall’arresto di sette carabinieri della caserma Levante di Piacenza, la Procura di Torino conclude l’indagine sulle presunte violenze all’interno della casa circondariale Lorusso-Cotugno.
Tra i venticinque indagati sono presenti anche l’ex direttore della struttura Domenico Minervini e l’ex comandante della polizia penitenziaria Giovanni Battista Alberotanza, rimossi dai loro incarichi perché, secondo l’accusa, avrebbero coperto gli episodi.
“Coercizione abusiva e non tracciata”
Secondo la ricostruzione dell’accusa, gli agenti “picchiavano e deridevano” i detenuti, costretti anche a ripetere frasi come “sono un pezzo di m…“ mentre le loro celle venivano devastate. Nel folle carcere anche infermieri e medici erano carnefici, immobilizzavano i soggetti che venivano poi torturati dai poliziotti. I lividi venivano refertati come il frutto di risse tra detenuti e, come affermava Minervini in una telefonata intercettata, la “coercizione all’interno del carcere c’è sempre stata, ma abusiva e non tracciata”.
Nonostante i tentativi di insabbiare gli abusi e le torture, alcuni detenuti hanno deciso di raccontare gli episodi al Garante dei diritti delle persone private della libertà di Torino, Monica Gallo che, con le sue segnalazioni, fece partire l’indagine nell’ottobre 2019 e per cui erano stati subito posti agli arresti domiciliari sei poliziotti.
Dalla parte dei detenuti
La figura del Garante, che per questa inchiesta è stata fondamentale, è stata istituita per la prima volta in Svezia nel 1809 per l’applicazione delle leggi e dei regolamenti da parte di giudici e ufficiali, nel nostro paese è stata proposta alla fine degli anni Novanta dall’associazione per i diritti e le garanzie del sistema penale Antigone, ed è stata istituita, mediante decreto legge, nel 2013, a seguito della sentenza Torreggiani, con cui la Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha condannato il nostro paese per i trattamenti inumani e degradanti che avevano luogo nelle carceri.
Dal 2016 è effettivamente operativa e ha la possibilità di entrare senza preavviso in carcere, e negli altri luoghi di privazione della libertà, per verificare che la legalità vi sia rispettata e per prevenire eventuali violazioni. Il garante ha anche il potere di richiedere documenti riguardanti l’amministrazione delle strutture carcerarie, visionare i fascicoli dei detenuti e valutare i reclami degli stessi. Potendo anche intervenire su questioni che richiedono un’azione immediata e su criticità di carattere generale, questa figura viene spesso attaccata da alcune organizzazioni sindacali di polizia penitenziaria, arrivate a chiedere la sua soppressione.
“Chi teme il lavoro di prevenzione di un organismo indipendente non lascia presagire nulla di buono” e con quanto emerso a Torino si comprende ancora una volta l’importanza di questa professione probabilmente temuta da tutti quegli agenti convinti che indossando una divisa tutto quello che si compie è lecito.
Fonti: Repubblica, Il Fatto Quotidiano, Antigone, Ministero della Giustizia.