TIME è un documentario che da una parte è una critica al sistema giudiziario statunitense e insieme una riflessione intima e toccante del valore del tempo e della memoria. Imperdibile.
Sibil Fox Richardson, madre di sei figli, attende da circa 20 anni che il marito Robert venga scarcerato dal penitenziario della Louisiana. La coppia nel 1997 rapinò una banca. Sibil ha scontato tre anni e mezzo di prigione, ma il marito viene condannato a 60 anni senza condizionale. Oggi la donna trascorre le giornate al telefono nella speranza che il giudice si pronunci sul caso e quindi possa riabbracciare il marito e il padre dei suoi figli.
Garrett Bradley si interessò subito alla figura di questa donna portentosa e decise di girarne un corto documentario.
Quando Sibil mise a sua disposizione ore e ore di girato, filmati di famiglia girati nel corso degli ultimi 20 anni, il regista decise di avventurarsi nella realizzazione questo meraviglioso lungometraggio.
Da una parte l’opera ha un valore civile e politico che prepotentemente buca lo schermo. Lo fa grazie sopratutto alla presenza di Sibil e della sua lotta per i diritti dei neri. Le sue arringhe politiche in giro per le scuole e le università e le sale convegno sono coinvolgenti e appassionate, perché partono da una sofferenza e una resilienza personali. Sibil è una combattente, una donna orgogliosa e tenace che ha fatto uno sbaglio – un grosso sbaglio – e ne ha pagato il prezzo. Ma questo non l’ha piegata. Ha prevalso l’amore per la sua famiglia e il senso di dovere verso i suoi figli e verso quella comunità che l’ha sostenuta sempre. Ha prevalso il desiderio di riscattarsi e di vendicarsi contro un sistema impari, mostrando al mondo di poter essere migliore di tutti e di potercela fare, nonostante tutto.
Ma TIME è più che questo. E sebbene quasi voglia sorvolare il peso del crimine commesso, il documentario si sofferma sul senso di quel tempo che diventa ora nemico e ora custode di qualcosa che va inesorabilmente perduto.
L’attesa al telefono di Sibil diventa quasi tangibile e insostenibile per noi tutti. Così come ci si commuove nel vedere i traguardi raggiunti dai suoi figli che sono oggi uomini. Momenti che Robert, dietro le sbarre, potrà rivivere solo tramite delle fotografie e dei filmini di famiglia, ma sono anni di vita vissuta e di padre che non gli saranno più restituiti.
Questo divario diventa ancora più evidente nell’alternarsi di filmati girati su vhs, corrosi dal tempo, dalle riprese mosse che rubano momenti di vita quotidiana; ad altri girati dal regista in digitale – dalle riprese aeree a quelle che si concentrano sui volti e sulle speranze che da essi scaturiscono – di un bianco e nero luminoso e quasi etereo. Perché ogni momento dal più banale al più importante si elevi a poesia e diventi immortale.
In una scena di INTERSTELLAR di Christopher Nolan, Amelia Brand affermava “L’amore è l’unica cosa che riusciamo a percepire che trascenda dalle dimensioni di tempo e di spazio.” e in TIME queste parole diventano una forza inarrestabile e concreta. Tutto quanto Sibil ha fatto e costruito e mantenuto in piedi nell’arco di venti anni è in nome dell’amore. Per suo marito. Per i suoi figli. Per se stessa.
E dove non può la nostra memoria contro l’inesorabile scorrere avanti della vita, arriva il potere del cinema a venirci incontro per donarci l’impossibile.
Giunge inaspettato quel momento finale in cui si riavvolgono le immagini e vediamo le vite dei nostri cari scorrere al contrario. Alla ricerca del principio della felicità. Della loro fanciullezza. Del loro maturare e fiorire. Dello sbocciare di un sorriso o l’esplodere di una risata. Del bacio della buonanotte. Del giorno in cui abbiamo ricevuto un premio o un attestato. Attimi che il tempo non può restituirci, ma che siamo portati a ricordare e ricordare e ricordare ancora perché sono lì, impressi prima di tutto nel nostro cuore e nei nostri occhi stanchi, ma fieri, fiduciosi che domani costruiremo nuovi ricordi. Insieme.
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