Redattore per un giorno
Antonio Barra, alias “Stil”, designer di Salerno, classe ‘80
Nel 2003 a questa domanda ho risposto senza nessuna esitazione e in maniera netta e decisa. Addirittura, ci ho impostato il lavoro finale per l’ottenimento della qualifica di “stilista e modellista”. Non erano più gli anni d’oro dei mitici stilisti e delle grandi top model anni 80, ma mi affacciavo al mondo del lavoro, che avevo tanto sognato, con la stessa luce negli occhi che mi aveva abbagliato proprio in quegli anni di splendore dell’alta moda italiana e non solo.
“Si, l’abito fa il monaco” perché io stesso ero attento a quello che l’abbigliamento poteva significare nei diversi ambiti della vita sociale e lavorativa. Ma non era solo il mio occhio ad averlo notato, lo avevo letto anche nei libri di storia del costume. I faraoni, i re, gli imperatori…così come gli schiavi, i plebei, la gente comune erano tali anche per il loro abbigliamento. O meglio, quello che indossavano era la cartina di tornasole più evidente del loro potere e della loro ricchezza, nel primo caso, e della povertà nel secondo.
Cambiano gli stili, le mode, le proporzioni ma il significato che ha avuto il capo di abbigliamento, anche nel culmine dell’espansione a livello di commercio di massa, è sempre stato testimonianza di stato sociale: un biglietto da visita per dichiarare “questo sono io”. Capi emblematici, accessori iconici, hanno sempre dettato legge sullo status e sulle mode del momento. Tanto che, ancora oggi, se nominassi il bomber, la minigonna, o il rolex…verrebbero subito in mente delle immagini nitide, i personaggi che ne hanno fatto un proprio tratto distintivo, o semplicemente il periodo preciso in cui si sono diffusi.
Eppure, negli stessi anni in cui io facevo carriera l’abbigliamento ha anche assunto significati molto meno patinati e glamour. Per molti è diventato simbolo di “superficialità”, dell’essere “vanesio”; è diventato il pretesto per giudicare e additare, per giustificare atti di bullismo e violenza nel peggiore dei casi.
La crisi economica e “di valori” hanno fatto il resto. Probabilmente oggi, guardando qualcuno camminare risulta più difficile riconoscere lo stato sociale e il suo tenore di vita da quello che indossa.
Casualità è del 2003 anche un romanzo, basato sulle vicende dell’assistente della direttrice del più famoso giornale di moda esistente, che ha dato vita successivamente al film “Il diavolo veste Prada”. Una straordinaria Meryl Streep interpreta alla perfezione l’arroganza e la testardaggine di un mondo che sa di essere effimero ma che si affanna a voler rimanere eterno.
Certo racconta la moda non dà dentro le mura delle fabbriche e degli uffici stile, ma pone lo sguardo su come è diventato questo mondo negli anni 2000: una corsa affannosa nell’accaparrarsi le pagine di un giornale e dire “esisto”. Stilisti, imprenditori, manifatturieri…non conta più nulla del progetto, del lato artistico, del messaggio che si vuole dare, è solo business e a deciderlo sono in pochi. Basta entrare nelle grazie di chi ha il potere di farti entrare nell’Olimpo e magari, se gli gira, spingerti rovinosamente nell’Ade.
Siamo in attesa del sequel (in realtà io il primo non riesco più a vederlo per ovvie ragioni di immedesimazione) ma dopo vent’anni il mondo fashion è davvero cambiato. Tutto il mercato è orientato al prodotto, e anche le campagne pubblicitarie sono diverse, anche con l’avvento e la diffusione social…addio top model e muse ispiratrici. Ora ci sono gli “influencer”. E quell’odiosissimo “fit-check”!
Tutto è alla portata di tutti e per questo motivo tutto sembra avere perso il suo “appeal”. Si, le mie parole sono di una persona leggermente disillusa.
Tanto che a volte penso che sarebbe bello non indossare nulla. Saremmo comunque diversi e unici, omologati nella nudità ma diversi nell’intimità.
E niente stamattina ho messo i pantaloni lunghi perché piove e inizia a fare freddo. L’abito non fa più il monaco…ma al momento è qualcosa che assolve ad una funzione molto meno poetica.
MA…c’è un ma…rimango in fondo un sognatore. E chissà che in un futuro non si riorni ai vecchi fasti. Agli stilisti che immaginano un mondo diverso. A quell’abito che fa il monaco, che ti fa “apparire” esattamente come volevi ESSERE.