Sono anni che non guardo più Miss Italia.
Un tempo le ragazze avevano meno occasioni per avvicinarsi al mondo dello spettacolo e la kermesse, gestita oggi da Patrizia Mirigliani, erede del dello storico patron Enzo, è stata dal 1946 trampolino di lancio per donne che sono diventate delle vere e proprie icone sia nazionali che nel mondo: Sophia Loren, Gina Lollobrigida, Lucia Bosè, Anna Falchi.
Donne dotate di bellezza e grazia, ma che hanno saputo investire per poi ricavarsi spazi in diversi ambiti dello spettacolo.
Il canone di bellezza è cambiato man mano. Prima si preferiva la donna curvy, poi è giunto il momento di quella longilinea, e ancora la bionda, poi la mediterranea, fino a scegliere una ragazza di colore, dominicana naturalizzata italiana, come rappresentante della bellezza nostrana.
Possiamo ben dire che seppur con una certa lentezza, e senza troppi strappi, il concorso ha fatto un po’ da specchio rimandandoci ciò che stava mutando nella nostra società.
Quest’anno, e voglio sottolineare finalmente, abbiamo avuto il piacere di vedere sfilare anche una ragazza, Chiara Bordi, che con grande coraggio ha sfidato la concezione classica di “bellezza=perfezione”, sfilando con una protesi alla gamba sinistra che ha perso a causa di un incidente stradale.
La bellezza su cui dovremmo puntare è proprio questa, quella della diversità, quella che sgorga dalla voglia di vivere e rinascere più volte; come in un circolo perpetuo in cui il la farfalla si evolve in crisalide per concedersi una nuova forma e una nuova possibilità.
Non tutti gli esseri umani, però, colgono la meraviglia di potersi concedere alla vita con la gioia nei polmoni e la gratitudine nel cuore.
E allora insultano, mortificano, tentano di ridurre la forza e l’audacia di chi con la vita ha fatto anche a cazzotti e s’è rimesso in piedi ad una pozza melmosa di un pietismo inesistente se non nello loro fragili menti.
Questi tristi individui, a cui la vita avrà sicuramente fatto qualche torto e con cui non sono riusciti a far pace, sono di certo convinti che potranno risollevarsi dalla loro miseria ricoprendo di pece chi si è riconciliato col proprio destino.
Non mi sono meravigliato di leggere i commenti fatti a Chiara (“Fai schifo, vattene a casa e non fare pena agli italiani che ti votano xke sei storpia”) perché è da tempo che denuncio la deriva di una fetta di umanità che ha scelto di vomitare la bile della propria insoddisfazione infierendo su chi reputa gli stia rubando ciò a cui crede di aver diritto (su basi del tutto illogiche) o screditando gli altri millantando l’arrivo degli avvantaggiati (qui sfioriamo il paradosso) che “forti” delle menomazioni fisiche, delle privazioni sociali, politiche, economiche, si stanno portando a casa il pezzo di pane che non gli spettava.
Come a voler dire che se tu non stessi peggio di me, io starei meglio. Ragionamenti assurdi che non credo meritino ulteriori approfondimenti.
Quel che invece vorrei evidenziare è che la moda, ancora una volta, si fa portavoce di una palingenesi, una rivoluzione anche spirituale, se mi consentite.
Rimette al centro la persona nella sua totalità , ricolloca il genere umano nella giusta prospettiva rimuovendo le barriere architettoniche dell’ignoranza costruendo strade di inclusione.
Basta perfezionismi plastici!
La perfezione è l’equilibrio tra ciò che siamo e ciò che possiamo fare per insediarci nel posto che abbiamo scelto di occupare.
Da qui la nascita di diverse campagne pubblicitarie che hanno scelto come testimonial chi è diversamente abile.
E non, come vorrebbero farci credere alcuni, per somministrare il contentino a al poveretto che elemosina la nostra pietà ma per restituire ciò che per troppo tempo abbiamo rubato noi a chi non riconoscevamo come nostro pari, vale a dire l’uguaglianza.
Oggi finalmente li vediamo sfilare nelle più prestigiose passerelle, sono scelti come testimonial di marchi famosi, e dobbiamo per forza, siamo costretti a prendere atto, che loro sono lì perché se lo sono guadagnat.
E noi non siamo più nella condizione di concedere nulla.