È degli ultimi giorni la polemica che vede come soggetto colui che è stato definito il “Ken umano”, ovvero Angelo Sanzio, concorrente del Grande Fratello.
L’appellativo fa riferimento ai ripetuti interventi di chirurgia estetica cui si è sottoposto per rendersi perfetto e ridefinire l’immagine che ha di sé.
Abbiamo avuto modo di leggere battute infelici, attacchi gratuiti e vere e proprie cattiverie al suo indirizzo; è stato definito mostruoso, inguardabile, intoccabile.
Il suo aspetto ha generato un crescendo di violenza verbale e di paura del diverso che mi ha portato a chiedermi cosa sia la perfezione, chi è deputato a designarla e chi ne è preposto alla tutela!
Nel corso dei secoli e in svariati punti del mondo il concetto di perfezione varia e si manifesta a seguito di indicazioni tra le più disparate, inerenti pratiche religiose o elaborazioni sul gusto di ciò che è elegante o meno.
Quel che mi incuriosisce è come le alterazioni e le modificazioni corporee possano diventare un segno distintivo di bellezza a cui propendere, in una data cultura, e allo stesso tempo possano essere così tanto diverse per altri gruppi, da venire ritenute addirittura repellenti.
È chiaro che il processo di identificazione può coinvolgere il singolo come un intero gruppo, ma è opportuno sentirsi in dovere di colpire quelle scelte con il disprezzo e l’emarginazione?
Cosa ci turba in un individuo che trasforma i suoi connotati, tanto da sentirci in dovere di mettere un veto?
Da sempre l’umanità si è mossa cercando di fissare archetipi di immedesimazione collettivi, attribuendo valori di perfezione a questa o a quell’immagine.
È il caso dei corsetti che, dal 1500 (il primo fu utilizzato da Caterina de’ Medici) venivano fatti indossare per conferire alle donne una postura diritta, risaltandone il seno mentre appiattivano il ventre e la vita.
Questa immagine rievocava un che di adolescenziale nella donna, strettamente legato all’idea del virginale, e gli uomini vedevano, in quella figura, quella sottomissione e quella fragilità che solleticavano l’eros. Tutto ciò è svilente se si pensa che fu propedeutico a far delle donne creature bisognose di protezione e dominazione, e degli uomini dei signorotti che gongolavano nel loro sentirsi forti e superiori.
I corsetti furono uno strumento di tortura, forse volontario o forse indotto, ma alla lunga obbligatorio, che non solo causava problemi digestivi, ma deformava la gabbia toracica, comprimeva gli organi interni e causò anche qualche decesso.
Magari fu una pratica meno evidente di quelle che accennerò in seguito, ma è pur sempre una manipolazione della propria figura per uniformarsi ad un’icona.
Una popolazione che ancora oggi segue una pratica costrittiva del corpo, sono i Kayan, originari della Birmania. Le donne sono solite mettere degli anelli di ottone al collo, fino a 25, iniziando da bambine, per cui la clavicola si deforma e abbassa. Dando l’impressione che il collo si allunghi, vengono chiamate Donne Giraffa. Tale deformazione di certo porta con sé delle ripercussioni fisiche, ma anche qui ritroviamo una consuetudine difficile da fermare, perché socialmente ritenuta sinonimo di bellezza.
Ancora più grave la pratica, questa finalmente debellata, dei cosiddetti Gigli d’oro o Loto d’oro, ovvero la fasciatura dei piedi delle donne cinesi, la cui compressione impediva di crescere per uniformarsi alla comune idea che così piccini, 7-8 cm, fossero più belli ed eleganti.
In italia a Nola, la Festa dei Gigli, dedicata a san Paolino, vuole che vengano portati in processione delle strutture piramidali di 25 tonnellate da degli uomini che per lo sforzo ottengono delle escrescenze callose o gobbe permanenti, le quali diventano motivo di onore e di forza e che ricoprono nell’immaginario collettivo un attributo di bellezza e di valore. Potete vedere delle immagini piuttosto significative qui.
Potrei andare avanti e portare decine di testimonianze riguardo a come, nel tempo e nel mondo, ci siamo persuasi a trovare modelli diversi in cui identificarci.
Ma il punto non è questo.
Il punto è che dovremmo elevarci al di sopra di ciò che reputiamo consono e non, così da comprendere cosa sia dannoso per noi e il nostro corpo e cosa attiene alla sfera personale degli altri. Dovremmo capire che ciò che è imposto non è mai modello cui aderire e che, come nel caso del coinquilino della casa di Canale 5, pur consci del disagio insito in chi non accetta il proprio corpo e lo stravolge, non dovremmo sentirci chiamati a scagliarci contro!
Non siamo i detentori del canone di bellezza assoluto. Possiamo cercare di comprendere le cause che hanno portato quella persona a ricercare una nuova raffigurazione di sé, possiamo porci delle domande sul modo esasperato in cui cerchiamo la perfezione, su cosa essa sia nella nostra di cultura, di quanto ci pesi perseguirla o di quanto ci appartenga.
Sono certo che anche denigrando qualcuno che ha già sperimentato sulla propria pelle il rifiuto altrui, la violenza fisica, non riusciremmo a preservarci da una mente collettiva che ci tartassa continuamente per raggrupparci nell’uniformismo.
Iniziamo ad essere più indulgenti con noi stessi se vogliamo che la società ci ricambi il favore! La perfezione è un miraggio che ci intrappola ed entro cui rischiamo di intrappolare gli altri, quando riteniamo di essere migliori perchè confacenti alle giuste regole. La giusta regola è che ognuno di noi è padrone del proprio corpo, della visione con cui si vuol manifestare.
Forse questo ragazzo ha sentito di non essere accettato per come voleva essere, forse si sente bello così e basta, non è sicuramente nostro appannaggio dire chi e come deve essere, ma nostra responsabilità chiederci perché continuiamo a farlo sentire sbagliato.