silènzio s. m. [dal lat. silentium, der. di silens -entis, part. pres. di silēre «tacere, non fare rumore»]. – 1. a. Assenza di rumori, di suoni, voci e sim., come condizione che si verifica in un ambiente o caratterizza una determinata situazione [CIT Treccani]
Oltre a tutte le innumerevoli mancanze di rispetto e invasioni dello spazio altrui, che si sono verificate ultimamente, si è aggiunta, accentuato anche dal periodo estivo sulla spiaggia, la rottura del silenzio e con essa anche la rottura di qualcos’altro.
Mi sono infatti resa conto che il silenzio oramai è una condizione che spaventa.
Il silenzio spaventa il cafone, spaventa l’ignorante, spaventa chi non ha voglia di riflettere e di starsene immerso nei suoi pensieri. Pensieri che evidentemente disturbano o addirittura proprio non ci sono.
In un momento di pace, silenzio, relax trovi sempre la donna che grida all’amica i fatti accaduti nelle ultime settimane, l’uomo che telefona (prevalentemente telefonate di lavoro) e urla gestioni di lavoro e programmazione di futuri meeting o beghe da risolvere e bambini che, per loro natura, urlano e piangono.
Perché se sentono che intorno c’è silenzio non pensano che forse dovrebbero mantenere e rispettare la stessa condizione? Perché se io parlo piano tu devi gridare? Perché se io vedo che stai riposando non ti telefono nell’orecchio? Perché se stai camminando e tuo figlio grida, sono le due di pomeriggio e c’è silenzio, non lo riprendi educandolo a stare zitto?
Cosa spaventa del silenzio? Studi dimostrano che solo stando in silenzio i neuroni (qualora ci fossero) hanno un potenziamento della crescita. La nostra mente ha quindi bisogno di rimanere in silenzio.
Lo dice anche il Buddismo:
“Il rumore e l’agitazione ci allontanano da noi stessi”.
Siamo talmente tanto abituati a stare in mezzo ai rumori che quando si percepisce silenzio molti di noi ne hanno timore. Il rumore fa compagnia, molti non riescono a stare zitti, si manifesta la necessità di riempire qualsiasi momento di quiete con il rumore della nostra voce o magari il suono della tv, la cui funzione è solo quella di rompere il silenzio.
Non credo esistano i termini tecnici per identificare questa fobia ma è chiaro che, se una persona in un momento di silenzio sente la necessità di interromperlo, le sta creando disagio.
La necessità di interrompere un attimo di totale pace assoluta invece di assaporarlo e ascoltare il proprio corpo, le proprie sensazioni mette in evidenza l’assenza di capacità di saperlo gestire e la relativa paura.
Queste condizioni si verificano ovviamente nei luoghi pubblici ma, secondo il mio ragionamento, se viene fatto fuori suppongo sia la routine in casa di tenere costantemente la televisione accesa, parlare tutti insieme a tono elevato e affrontare conversazioni in modo animato in situazioni inopportune, vedi in un bar, in un ristorante o accanto al mio ombrellone. Anche in treno, in aereo o semplicemente sull’autobus, dove tutti sono in silenzio, trovi sempre la signora che ad alta voce condivide i suoi c…avoli con tutti i passeggeri senza accorgersi che sono tutti in silenzio.
Disagio? Imbarazzo? Menefreghismo? Il risultato non cambia e la maleducazione regna sovrana fino ad intaccare la mia libertà e la mia capacità di riflettere in silenzio sfruttando ogni momento possibile.
Avere a che fare con noi stessi è impegnativo perché non si può mentire, quindi evitare ogni confronto con la propria coscienza e creare situazioni di confusione, di caos e di rumori mette a tacere quel ragionamento interiore che potrebbe mettere davanti alla dura realtà e sempre più frequentemente viene evitato.
“Alcune persone trovano il silenzio insopportabile perché hanno troppo rumore dentro di sé” (Robert Fripp)