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Orgoglio, look e pregiudizio

- 07/06/2018


Mi sono concesso di richiamare nel titolo il famosissimo romanzo di Jane Austen perchè , come la nota scrittrice,  ho vissuto la mia fanciullezza in un mondo scandito da ritmi semplici e, come ripreso nel romanzo, può capitare di non cogliere a primo impatto l’essenza di qualcuno o di qualcosa approcciando la verità con gli unici strumenti che il nostro ambiente ci ha offerto.

Oh! Se poi sono riusciti a fare “Orgoglio, pregiudizio e Zombie”, io lo potrò ben riproporre in questa chiave , no?!

Io ero uno di quelli che non riusciva a comprendere perchè un uomo sentisse l’esigenza di indossare un capo diverso da quello che gli veniva “concesso tradizionalmente”; non sopportavo le donne che si vestivano da maschiaccio, e guardavo allibito chi si metteva in tiro al mattino come se stesse andando in discoteca.

Sono cresciuto credendo che ogni momento volesse il suo outfit ( cosa neanche troppo inesatta), ma fuorviante è stato pensare che chi non rispettasse questo dettame sociale fosse una sorta di mela marcia e che stonasse con l’armonia del sistema.

Fino a quando qualcosa in me si è rotto, ho sentito l’impellenza di adattare ciò che ero all’immagine che rimandavo. Così viene fuori il mio animo dark, seguito, dopo quache anno, da uno stile minimale ed elegante , poi arriva uno stile afro/orientale, passando dal punk chic al funny freak .

Avevo bisogno di sentire che non ero ingabbiato in un unico concetto, io ero la poliedricità che voleva concretizzarsi anche al di fuori . Volevo creare nuovi accostamenti, giocare coi colori, coi tessuti e con gli stili, mixandoli per ritrovare chi fossi, o per trovarmi per la prima volta.

Erano gli anni in cui vivevo a Catania, una città che sembrava estrapolata dall’idea classica dell’ Isola, con la sua apertura e la frenetica evoluzione; Catania si faceva promotrice di tendenze, di sperimentazioni in ogni campo.

Gli sguardi curiosi e stupiti li trovavo lì come a casa, nella cittadina di provincia dell’entroterra. In famiglia questa mia tendenza veniva accolta come l’ennesima stranezza dettata dal mio temperamento: un ragazzo che stentava a trattenere la sua goliardia.

Ma seppur parzialmente soddisfatto, sentivo sempre che c’era un limite da non oltrepassare, che bisognava salvaguardare la decenza , preservare gli occhi dei bimbi, tutelare la fragile limitatezza degli anziani.

Inizio a pormi delle domande: “Il mondo come sarebbe stato se tutti ci fossimo adeguati a quei precetti sociali e non li avessimo scardinati?
Le donne che un tempo dovevano mettere il costume intero, non potevano indossare i pantaloni né fumare per strada o uscire da sole, oggi ringraziano?
Quando arrivarono pantaloni a zampa e camicie e maglie aderentissime cui faceva capolino l’ombelico, la società non gridò allo scandalo anche allora?
Senza la rivoluzione del ’68, oggi ci sarebbe la legge sull’aborto, la parità dei sessi, esisterebbe il concetto che indossare una minigona non presuppone un invito a disporre del corpo che la veste abusandone?”

Con queste domande in testa e con la voglia di trovare il mio posto nel mondo mi sono avvicinato al Gay Pride, al suo promuovere le identità senza voler uniformare, al suo creare “scandalo” per accordare dignità al pari di chi sceglie un modo diverso di rapportarsi.

Contrariamente alla logica che vorrebbe un mondo costruito su personalità conformate, il Pride ci ricorda la bellezza di concederci all’altro secondo la nostra inclinazione.

Ogni volta che ci infervoriamo perché crediamo che quell’esagerazione nel vestire o nell’”atteggiarsi” sia una provocazione fine a se stessa o che voglia parlare di e per noi; dovremmo soffermarci a chiederci perchè un modo che attiene strettamente qualcun altro ci investa a tal punto da provocarci imbarazzo. Perchè ciò che fa una persona della sua vita sembra voler essere una dichiarazione di guerra nei nostri confronti? Come mai il nostro ego fatica a contemplare la separazione tra identità propria e altrui? Sempre questo “a me non piace”, quasi fosse un peccato mortale non poter compiacere le nostre aspettative .

È impensabile credere che ci sia un modo totalitario e totalizzante che ci debba accomunare ! Ci saranno sempre delle differenze tra me e te riguardo al modo di vestire, di parlare, di muoverci, di vivere la sessualità.

Al Pride non si porta la dissolutezza, la superficialità , la mancanza di valori.
Ciò che chiamiamo dissolutezza potrebbe essere letta come lotta al sessuofobia e al sessismo?
Un corpo nudo o le preferenze sessuali sono ancora un tabù e pare ci si sia accontentati di quello che si è ottenuto per sé , senza pensare che lì fuori c’è chi ancora viene picchiato e bullizzato perché non è conforme alla regola.
Un tempo si riteneva che le donne non provassero piacere, non ci si curava di loro, la stragrande maggioranza degli uomini non era interessata a capire il mondo femminile; così era più semplice! Non era necessario chiedersi – non ci si doveva “ sbattere” – e  fare finta che non esistesse il piacere femminile, autorizzava il maschio a non curarsi di quel che combinava, a non porsi domande.

Il sesso non è cosa di cui vergognarsi!

Quel che viene visto come superficialità è un modo leggero, felice, gaio di presentarsi agli altri!

La logica che la lotta debba passare solo attraverso facce arrabbiate e violenza non appartiene alla Cultura dell’Orgoglio. Si combatte col sorriso di chi vive la gioia di essersi liberato da un contesto di restrizioni . Come chi costretto a letto da una febbre si rialza dopo una settimana e freme alla prima boccata d’aria fresca. Avete presente la sensazione ?

I valori sono la cosa che più viene messa in discussione.
Vorrei che ci prendessimo un momento per valutare insieme cosa rappresenti per noi il degrado di una società e quali siano i buoni valori da tenere in conto!

Il modo in cui esprimiamo la nostra sessualità, il piacere con cui scegliamo una cosa piuttosto che un’altra non può e non deve essere un ostacolo nella vita. Il valore non può essere una demarcazione a discapito di chi privilegia una cosa differente da noi. L’appagamento nella sua consensualità e nell’intrinseca definizione di benessere, non dovrebbe oscurare le infinite possibilità che sono a disposizione di chiunque altro.
Focalizziamo la nostra attenzione su ciò che è esclusivamente un disvalore per avvicinarci al suo opposto: violenza, oppressione, vergognarsi e far vergognare della nudità/ fisicità, imporre il proprio credo religioso o politico, preconcetti, pregiudizi; questi sono costrutti che dovremmo combattere.

Quando scegliamo di combattere per gli altri, di difendere la vita anziché la morte, è lì che stiamo creando Valore ! È lì che stiamo lottando anche per noi !

Finché rimarrà al mondo anche una sola persona minacciata di violenza perché non ci somiglia , non potremo chiamarci vincitori.
Lo scandalo vero è che ancora non riusciamo a cogliere ciò che proviamo, il perchè di certi sentimenti.

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