Ciao Michelangelo, ti scrivo perché non so davvero a chi rivolgermi, sono sconvolto e confuso. Non so proprio come dirlo quindi farò pochi giri di parole. Circa una settimana fa il mio ragazzo, durante una litigata, mi ha dato uno schiaffo. Non era mai accaduto prima, litighiamo penso come tutti ma mai avevamo alzato le mani. La cosa peggiore è che il litigio è scoppiato per una sciocchezza mentre ci organizzavamo per il week-end di Pasqua. È vero che tra le urla gli ho detto qualcosa di cattivo dettato dalla rabbia, ma mai mi sarei aspettato una reazione del genere. Ad un certo punto ha smesso di urlare, mi ha guardato come se non mi riconoscesse più e poi mi ha colpito. Si è scusato subito, e lo sta facendo ogni giorno, in ogni modo che conosce. Io ho deciso di perdonarlo perché so che sta passando un periodo difficile, tra lavoro e gravi problemi di salute nella sua famiglia. Ho deciso di perdonarlo ma continuo a rivedere i suoi occhi in quel momento, non riesco a togliermeli dalla testa. Vorrei riuscire a guardarlo in faccia senza rivivere la scena. Stiamo insieme da anni, lo amo e voglio passare la mia vita con lui, ma non riesco a non essere freddo e diffidente con lui, probabilmente gli sto facendo più male di quanto lui ne abbia fatto a me. Pensi che riuscirò ad andare oltre?F.
Ciao mio buon amico, innanzitutto ti ringrazio per la fiducia che riponi nella mia risposta; la responsabilità è enorme quando in gioco ci sono la serenità e la riconciliazione non solo di una coppia ma di due vite, di due individui che ad un certo punto si sono trovati davanti ad un empasse di una gravità assoluta. Cercherò di essere quanto più imparziale possibile, perché è un argomento che, non lo nego, tocca dei nervi scoperti.
Mi pare di comprendere che mai, fino a questo episodio, vi sia stato modo di scorgere dell’aggressività tale da far presagire questo triste epilogo, e che il tuo compagno stia affrontando un momento difficile dal punto di vista lavorativo e da quello della sua famiglia di origine; non ultimo il dispiacere di averti cagionato del male.
I fatti di cronaca degli ultimi anni hanno portato alla luce quanto ancora siamo impreparati rispetto alla gestione dei rapporti, anzi pare si vadano acuendo le dinamiche malate frutto di una mentalità comunitaria che ha sempre volto gli occhi altrove, sminuendo la drammaticità e la complessità di ogni singolo episodio di maltrattamento.
Mi viene da pensare che il disagio che il tuo compagno stava vivendo,prima ancora di sfociare in violenza verso di te, sia stato sottovalutato. Né tu, né lui (presumo) potevate immaginare che un tale peso avrebbe gravato tanto da spingerlo a perdere la padronanza di sé.
Sia ben chiaro: individuare o tralasciare delle strategie preventive al riguardo non vuol dire giustificare, ma semplicemente risalire alla fonte del problema. Noi tutti tendiamo a sottovalutare lo stress cui siamo sottoposti quando la vita pare voglia metterci alla prova. Quello stesso stress che ha investito te marginalmente all’inizio, e ampiamente alla fine.
Io condanno ogni forma di violenza, ho sempre pensato che da uno schiaffo, arrivare a cinque o sei , il passo è breve. Ma sono anche dell’idea che liquidare tutto con una inoppugnabile sentenza di condanna sia solo un rimando del problema stesso.
Ci dobbiamo prendere carico, noi come società intendo, di questa distorsione, di questo turpe risultato di secoli e secoli di iniqua indulgenza che ha promosso, se non fomentato, la cultura del più forte e la celebrazione del prevaricatore; di contro l’additamento delle vittime, sulle quali sono ricadute responsabilità a loro estranee, ha generato un sistema di omertà e tolleranza che, se fosse stato sradicato a suo tempo, saremmo riusciti quantomeno ad arginare.
Le vittime sono coloro che subiscono la brutalità fisica e psicologica. NON È MAI COLPA DELLA VITTIMA : per quanto abbia urlato e offeso, mai ricevere delle botte è un giusto contrappeso. Le “vittime” di loro stesse (spero sia chiaro il mio non voler proteggere l’atto), sono coloro cui non abbiamo fornito gli strumenti per combattere gli istinti più bassi . Abbiamo sovvenzionato l’inettitudine comunicativa, ed è ora di fare un enorme mea culpa. È evidente che entrambi, sia individualmente che come coppia, abbiate bisogno di fare il punto della situazione e di mettere le vostre risorse, le energie residue e gli intenti, sul tavolo. Bisogna comprendere come riprogettare la coppia, certo; ma è vano il tentativo se non si sanano le fratture specifiche di ognuno.
Qualcuno potrebbe obiettare che uno schiaffo è solo uno schiaffo, a confronto magari di tanti anni trascorsi insieme in armonia o comunque senza troppi scossoni. Ebbene signori : “uno schiaffo non è mai solo uno schiaffo!”. Alzare un solo dito contro l’altro è sempre , e dico sempre, un chiaro campanello di allarme! Vuol dire che non siamo più in grado di gestire il limite tra noi e la persona che ci sta di fronte, tra noi e le nostre emozioni, tra noi e il malessere che stiamo vivendo.
Ho vivida l’immagine di quegli occhi “estranei”, cui fai riferimento, che ti fissano senza riconoscerti, portandoti via quel posto sicuro che pensavi, chissà, di avere accanto a lui! Ben comprendo la tua difficoltà a scrollarti di dosso quella brutta sensazione di annullamento, di alienazione, che ti porta ad essere freddo e distante. Come dicevo , io non conosco i termini della vostra storia sentimentale, ma ho ragione di pensare che ci teniate a superare questo dolore che vi sta stringendo al muro.
Ti, e vi esorto , ad affidarvi ad una figura competente che possa accompagnarvi non solo alla risoluzione, ma anche a rimuovere le cause che vi hanno portato fin qui, attraverso la consapevolezza di voi stessi come coppia, e tra voi distinti.
So dell’esistenza di centri antiviolenza che si occupano di aiutare gli uomini che usano violenza a gestire la loro carenza espressiva; perché il problema è soprattutto quello di un linguaggio relazionale incapace di instradarsi nel modo corretto, imponendosi agli altri, in una spirale che soverchia la loro capacità di raziocinio.
Non tutti gli individui sono uguali: ci sono quelli che soccombono alla violenza in circostanze di maggiore arduità, che magari anche solo una volta perdono il controllo, e ci sono quelli che, senza le necessarie risorse culturali , tendono ad ovviare sistematicamente alla brutalità il loro essere incapaci di sgrovigliare il tumulto che hanno dentro. È successo solo quella volta lì? È già abbastanza per decidere che non è assolutamente il caso di sottovalutare la questione.
Il dolore genera altro dolore e, nei casi di violenza, il “maltrattante” deve essere messo in sicurezza subito, per difendere prima di tutto chi subisce e per essere recuperato egli stesso. Stesso discorso per chi è recidivo: è necessario intervenire su un codice culturale fallace che rimanda la risoluzione delle controversie ad un atteggiamento prepotente.
Queste persone sono figli di un sistema sociale che per troppo tempo ha soprasseduto sui casi di maltrattamento, classificandoli come passaggi momentanei e di poca incidenza. Ecco! Il primo passo è spogliare la violenza di quella accidentalità che vorrebbe alleggerire il misfatto. Anche solo un gesto, anche solo l’intenzione ci deve subito richiamare al pericolo: vuol dire che ci stiamo muovendo in un territorio a noi sconosciuto e in quanto tale potenzialmente nocivo.
Io, amico mio, ti chiedo di non eludere questa occasione di ridefinire non solo il vostro rapporto, ma anche e soprattutto una situazione che potrebbe ripresentarsi per entrambi anche in futuro, con altre persone e, chissà, a parti inverse. Un percorso di coscienza può tornare utile in tantissime casistiche. Potresti scoprire fragilità sue, come tue.
Potreste riavvicinarvi come prendere strade separate. Ma nel mondo, in questo mondo, avremmo altre due persone sbloccate dai loro tormenti; due esempi in più da schierare per la corsa alla civiltà e alla buona cultura. L’amore può non bastare per reincollare i cocci, ma può servire per modellare nuovi vasi.
Resta da scegliere accuratamente con cosa riempirli.
Michelangelo