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Un semplice caffè può trasformarsi in una rissa

- 28/02/2019
totò e peppino al bar


La mia attenzione questo giovedì si concentrerà sul caffè preso il sabato o la domenica mattina al bar.

Un’esperienza che potrebbe essere piacevole, se non fosse per le persone che frequentano i bar. Lo scorso week end ho assistito ad una scena che mi ha lasciata allibita e ne sono stata diretta protagonista.

Sono entrata, felice e rilassata, in un bar a Firenze (del quale per privacy non farò il nome), per bere un semplicissimo e innocentissimo caffè. Il tutto si è trasformato in una sequela di insulti e improperi.

Premetto che non sono molto amante del pubblico fiorentino in occasioni di manifestazioni sociali in quanto tira fuori il meglio della sua arroganza, maleducazione e assurda grettezza. Sono nata a Firenze e vivo a Firenze, sono solo oggettiva. I bar sono affollati, pieni, gremiti di persone che non sono in grado di fare le seguenti cose: a) formare una fila ordinata e precisa b) rispettare una fila ordinata e precisa c) capire che non morirà di fame d) essere gentile col prossimo.

Lo so, sono richieste difficili. Soprattutto perché siamo a Firenze. Diciamo che l’architettura di questo bar e la disposizione dei prodotti non facilita e non agevola assolutamente la tipologia di pubblico che questa struttura accoglie. La cassa è vicina all’unico ingresso, perché astutamente non hanno creato ulteriori vie d’uscita nonostante ne abbiano. Questo crea un tappo sulla porta che dovrebbe anche essere uscita ma che si trasforma in una ressa di animali.

Coda per pagare da una parte e assembramento violento davanti alla vetrina dei dolci. Il problema: una persona che deve passare. Il dramma. La possibile perdita del posto. Persone che non si spostano neanche se gli chiedi permesso. Facce dure con lo scontrino in mano che ti fulminano con una faccia come quella di Gandalf del Signore degli AnelliTu non puoi passare”. L’ansia di poter rimanere per il resto della domenica senza la schiacciata ripiena di crema appena pagata. L’angoscia di vedersi passare avanti qualcuno per aver fatto una gentilezza ad un perfetto sconosciuto.

Ed è così che si crea il dramma e tu, innocente persona che vuole solamente passare, rimani bloccato tra spallate e gomitate senza capire bene cosa sta succedendo, tutto per un pezzo dolce.

 

Mestamente e ingenuamente viene spontaneo provare a chiedere un timido “Mi scusi, permesso” con un bel sorrisone con la specifica “devo solo passare” ma non basterà, tu in quel momento sei il nemico, sei il male, sei la persona che li divide dalla loro passerella domenicale. La cosa che sconvolge è che quelle stesse persone poi le incontri magari subito dopo fuori e sono magari anche gentili, ma in quel momento la crema gli annebbia la vista e gli zuccheri gli ottundono il cervello che li spinge avanti come zombie a mani tese con lo scontrino in mano sventolato manco fosse un ventaglio di una ballerina di flamenco.

Poi arriva lei, la becera.

Colei che non si è scansata quando hai chiesto permesso, non si è scansata quando hai chiesto per la seconda volta permesso, non si è scansata alla terza volta che con fare risoluto hai chiesto permesso. Colei che alla fine si è presa una spallata passando. Ecco, lei. Che con fare regale e delicato, nel mezzo del bar, con una voce mista fra Mara Maionchi e Wanna Marchi, ti guarda e grida “oh maleduhatha, ma guarda tu che modi, oh che ti sembra i’mmodo dipppppassare?!”. Ho riportato per scritto lo stretto slang fiorentino per rendere ancora di più l’idea, traduco per i non avvezzi alla lingua: “ehy tu ragazza! Mi hai urtato passando, ti sembra un atteggiamento consono?“. In un preciso istante, tu che hai chiesto permesso, che ti sei adoperato per seminare sorrisi e spargere serenità tra la folla dovendo solo transitare e non rubare il posto a nessuno, diventi il demonio.

Comincia il brusio, misto tra acclamazione e il disappunto e la polemica nasce come un tornado. Il tutto ovviamente davanti all’indifferenza del vicino che invece di intervenire e dire “brutta vacca ha chiesto 3 volte permesso e tu per paura di perdere il tuo maritozzo con la panna non ti sei spostata”, rimane in silenzio e magari annuisce.

La cosa che dà fastidio è che tutta questa rabbia, questo astio, questa cattiveria gratuita è spinta da qualcosa di futile, di non necessario. Neanche per una valida motivazione riuscirei a capire un atteggiamento del genere ma per una pasta al bar non riesco proprio.

La paura di morire di fame. La paura di perdere il posto. Terrificante.

Sciupare un momento di pausa e relax agognato durante la settimana lavorativa. Avvelenare la giornata a tutti per un nulla. Abbiamo perso anche il vecchio piacere di andare al bar e bersi un caffè senza fretta, senza orologio. Tra lo sbattere dei piattini, la frenesia di quello dietro che deve bere il caffè prima di te, quello davanti che conquistato il bancone non lo vuole lasciare anche se ha finito. Purtroppo anche in queste piccole cose si nota come l’essere umano sia agitato, frenetico, rissoso e attaccabrighe in qualsiasi cosa faccia.

Come sarebbe bello, entrare in un caffè, salutare ed essere salutati, ordinare un caffè, berlo senza angoscia e uscire dal bar soddisfatti con in bocca l’aroma della caffeina e un sorriso che ti allieta la giornata. 

Perchè in italia non sappiamo fare più la fila?

Perchè all’estero trovo le file ordinate al fornaio, al bar, alla fermata dell’autobus! La prima volta che andai in Spagna ci rimasi male, fanno la fila alla fermata dell’autobus in ordine di arrivo e non si accalcano, non si spingono perché sanno che l’autista non partirà fino a quando non saranno tutti saliti. In Italia il concetto di coda è perso, finito, forse mai esistito.

Se rispetti la fila sei uno sfigato.

Tutti pigiati, tutti appiccicati che spingono, sui mezzi pubblici devi prima salire te, prima ancora di aver fatto scendere le persone. Anche se ritengo sia un segno di incredibile inciviltà, ancora oggi rimango estasiata davanti alla maestria di certe persone per passare avanti. La noncuranza della persona che fino a quel momento ha fatto la fila. La tranquillità e la faccia di corno con cui, al momento del tuo turno, con fare felino si insinuano senza guardarti e con braccio teso e contanti alla mano ordinano alla cassiera. Eh vabbé, noi educati siamo destinati a prenderla in quel posto, ad aspettare il proprio turno e a rispettare le file.

Tanto lo so, prima o poi arriverà anche a loro lo stronzo che gli passerà davanti.

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